LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15481-2020 proposto da:
U.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL CASALE STROZZI, 31, presso lo studio dell’avvocato LAURA BARBERIO, rappresentato e difeso dall’avvocato FRANCESCO TARTINI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO (c.f. *****), in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;
– resistente –
avverso il decreto n. cronologico 5051/2020 del TRIBUNALE di VENEZIA, depositato il 15/05/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 01/07/2021 dal Consigliere Relatore Dott. Paola Vella.
RILEVATO
che:
1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35-bis, U.S., nato in ***** il *****, ha adito il Tribunale di Venezia, impugnando il decreto del 15/05/2020 con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, ma invocando in sede giudiziale solo il riconoscimento di un permesso di soggiorno per ragioni umanitarie.
1.1. Il ricorrente esponeva: a) di essere nato e vissuto a *****, in un villaggio colpito dall’esondazione del fiume ***** quando egli aveva cinque anni e si era perciò rifugiato con i genitori in casa dello zio, la quale a distanza di tre anni era stata parimenti spazzata via da un’esondazione; b) di aver potuto studiare solo cinque anni e di aver poi lavorato come bracciante agricolo; c) di aver lasciato il proprio Paese per le condizioni di estrema indigenza della sua famiglia, composta da moglie e due figli, ancora costretti a vivere in una baracca di lamiera presa in affitto; d) di essere stato costretto a contrarre un debito di 5 Lak taka per andare a cercare lavoro in Libia; e) di aver lavorato in Libia per circa un anno per un’impresa di pulizie, senza essere pagato, ma venendo anzi spesso picchiato e sottoposto alle aggressioni di rapinatori nel luogo in cui viveva; f) di aver infine deciso di abbandonare la Libia per venire in Italia; g) di temere, in caso di rimpatrio, di non riuscire a mantenere la sua famiglia e di subire le ritorsioni dei soggetti che gli avevano erogato il prestito, frattanto lievitato per gli interessi usurari a 7 Lak taka.
1.2. Il Tribunale si è pronunciato anche sulla protezione internazionale, ritenendo comunque insussistenti i relativi presupposti.
1.3. Avverso tale decisione il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
1.4. L’intimata Amministrazione dell’Interno non ha svolto difese, limitandosi a depositare un “atto di costituzione” al fine di poter eventualmente partecipare alla discussione orale.
1.5. Il ricorso è stato assegnato all’adunanza in camera di consiglio non partecipata del 1 luglio 2021 ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..
CONSIDERATO
che:
2. Il primo motivo prospetta la nullità del decreto per “mera apparenza e apoditticità della motivazione”, ex art. 132 c.p.c., n. 4, in punto di protezione umanitaria, segnatamene per “motivazione illogica ed apodittica in relazione al timore di ritorsioni da parte degli usurai” e “omesso esame del prospettato timore di essere ucciso per il mancato rimborso del debito”.
2.1. La censura è infondata, poiché sul punto la motivazione del provvedimento impugnato (v. pag. 4 del decreto) supera la soglia del cd. “minimo costituzionale” sindacabile in sede di legittimità (Cass. Sez. U, 8053/2014; cfr. Cass. Sez. U, 22232/2016; Cass. 13977/2019).
3. Il secondo motivo denunzia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, art. 35-bis, n. 9 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per mancato assolvimento del dovere di collaborazione istruttoria e di acquisizione di COI aggiornate.
3.1. La censura è infondata, poiché il tribunale ha acquisito COI provenienti da plurime fonti qualificate e aggiornate al 2019 (mentre quelle allegate dal ricorrente si riducono sostanzialmente al rapporto EASO 2017, citato a pag. 18 del ricorso).
4. Il terzo mezzo lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, avuto riguardo alla situazione di estrema povertà e indigenza in cui versa il ricorrente e la sua famiglia in *****.
4.1. La censura merita accoglimento in quanto, ai fini della protezione umanitaria – misura astrattamente riconoscibile ratione temporis (Cass. Sez. U, 29459/2019), non trovando immediata applicazione in questa sede la nuova disciplina introdotta dal D.L. 22 ottobre 2020, n. 130, convertito con modificazioni dalla 1. 18/12/2020 n. 173 (Cass. 28316/2020) – è stata omessa la valutazione comparativa tra l’integrazione socio-lavorativa raggiunta dal ricorrente in Italia e la sua pregressa situazione di estrema indigenza in *****, dove la moglie e i due figli vivono ancora in una baracca di lamiera.
4.2. Al riguardo il tribunale dovrà attenersi ai principi elaborati da questa Corte (v. Cass. Sez. U, 29459/2019) in base ai quali: i) la norma che prevede tale misura va collegata ai diritti fondamentali che l’alimentano; ii) gli interessi così protetti non possono restare “ingabbiati” in regole rigide e parametri severi, che ne limitino le possibilità di adeguamento, mobile ed elastico, ai valori costituzionali e sovranazionali, sicché l’apertura e la residualità della tutela non consentono tipizzazioni delle categorie soggettive meritevoli di tutela, posto che il giudizio ha ad oggetto la dignità della persona e i suoi diritti fondamentali (ex multis, Cass. 11912/2020, 13079/2019, 13096/2019); l’orizzontalità dei diritti umani fondamentali, supportati dall’art. 8 Cedu, promuove l’evoluzione della norma, elastica, sulla protezione umanitaria a clausola generale di sistema, capace di favorire i diritti umani e di radicarne l’attuazione; iv) secondo l’orientamento di legittimità inaugurato da Cass. 4455/2018 (seguito, ex plurimis, da Cass. 11110/2019, 12082/2019) va assegnato rilievo centrale alla valutazione comparativa, ex art. 8 Cedu, tra il grado d’integrazione effettiva nel nostro Paese e la situazione soggettiva e oggettiva del richiedente nel Paese di origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile e costitutivo della dignità personale (cfr. inter alia, Cass. nn. 2563, 2964, 3780, 5584, 7675, 7809, 8232, 8020, 26148 del 2020); v) il confronto tra il grado di integrazione effettiva raggiunto nel nostro paese e la situazione oggettiva del paese di origine deve essere effettuato secondo il principio di “comparazione attenuata”, nel senso che, quanto più intensa è la vulnerabilità accertata in giudizio, tanto più è consentito al giudice di valutare con minor rigore il “secundum comparationis” (Cass. 1104/2020, 20894/2020).
5. Si impone quindi la cassazione del decreto impugnato, con rinvio del procedimento al Tribunale di Venezia che, in diversa composizione, valuterà la vicenda alla luce dei principi sopra enunciati e liquiderà anche le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo, rigetta il primo e il secondo, cassa il decreto impugnato in relazione al motivo accolto e rinvia la causa al Tribunale di Venezia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 01 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021