Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32033 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6725-2020 proposto da:

P.W., F.B., P.R., domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato ROSITA CARLONI;

– ricorrenti –

contro

LA CATTOLICA DI ASSICURAZIONE – SOCIETA’ COOPERATIVA A R.L., in persona del Procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA MENDOLA 198, presso lo studio dell’avvocato MARIO MATTICOLI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. rep. 1618/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 04/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 24/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. PORRECA PAOLO.

CONSIDERATO

che:

F.B., P.W. e P.R. convenivano in giudizio B.M. e la Società Cattolica Assicurazioni chiedendo il risarcimento dei danni, anche non patrimoniali da perdita del rapporto parentale, conseguenti alla morte del congiunto che era stato investito dall’automobile del convenuto, assicurata con la società parimenti chiamata in lite, mentre si trovava, di notte, nella semicarreggiata contraria al suo senso di marcia, a terra, in ginocchio, dopo essere caduto mentre cercava di raggiungere la sua automobile che, fermata per un rifornimento di carburante, era avanzata senza guidatore obliquamente lungo la via in pendenza, per essere stata lasciata senza freno a mano e senza marcia innestata, finendo fuori della strada e sul fosso laterale esterno, di raccolta delle acque piovane, posizionato sul lato opposto;

il Tribunale rigettava la domanda con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cui, in base alle risultanze istruttorie ritenute sufficienti, tra cui la perizia disposta dal Pubblico Ministero in sede penale dove l’indagine si era conclusa con una archiviazione:

a) la condotta della vittima era stata qualificabile come assolutamente anomala e imprevedibile;

b) la condotta del conducente investitore era per converso stata corretta ed era l’unica esigibile, percorrendo la via a 60 km/h a fronte di un limite di 90 km/h, in un tratto asfaltato, rettilineo, privo di anomalie di rilievo e con traffico regolare;

c) l’avvistamento dell’auto nel fosso con i fari ancora accesi, e dunque della situazione di pericolo, era stato come tale logicamente precedente a quello della vittima che si trovava a terra, con abiti scuri e di notte;

d) il tempo psicotecnico di percezione della descritta soluzione di pericolo era di circa 8 secondi, e da questo doveva destrarsi il tempo di avvistamento della persona a terra che, considerando la tipologia dei fari propri del mezzo dell’investitore e la sua velocità, era da individuare in 2-3 secondi, non idoneo a permettere una frenata di emergenza, tenuto conto che la velocità per evitare l’impatto avrebbe dovuto essere di 28 km/h, anch’essa affatto esigibile nel concreto contesto;

e) ne derivava il superamento della presunzione di colpa di cui all’art. 2054 c.c., comma 1;

avverso questa decisione ricorrono per cassazione F.B., P.W. e P.R., articolando tre motivi, corredati da memoria;

resiste con controricorso la Cattolica Assicurazione.

RILEVATO

che:

con il primo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 141 C.d.S., e dell’art. 2054 c.c., poiché la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che al momento della percezione della situazione di pericolo il conducente avrebbe dovuto adottare cautele come non aveva fatto, regolando la velocità, posto che la presenza di un pedone nei pressi di un’auto accidentata sulla sede stradale non è imprevedibile, tanto più che la via era nota allo stesso quale residente di zona;

con il secondo motivo si prospetta il difetto di motivazione riguardo all’inespressa ragione per cui non era stato diversamente ritenuto che il conducente avrebbe dovuto ulteriormente regolare la sua velocità, nonostante la percezione della situazione di pericolo, e alla parimenti mancata spiegazione del motivo per cui era stato sottratto, al tempo di percezione della situazione di pericolo, quello di avvistamento della vittima, senz’adottare le cautele del caso, fermo che l’inevitabilità dell’accaduto era stata conclusione assunta dall’utilizzata perizia del Pubblico Ministero che, però, aveva considerato solo il tempo di avvistamento della presenza dell’uomo e non della situazione di pericolo, che era quanto per converso allegato dai deducenti in modo decisivo;

con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c., poiché la Corte di appello avrebbe errato poggiando la sua decisione sulla circostanza della visuale del conducente ostruita dai fari accesi dell’auto della vittima, mai allegata dalla convenuta costituita;

Vista la proposta formulata del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

Rilevato che:

i motivi, da esaminare congiuntamente per connessione, sono inammissibili;

in primo luogo, va sottolineato che la deduzione di vizi motivazionali, in tesi di omesso esame, non sono ammissibili stante il divieto di cui all’art. 348-ter c.p.c., comma 5 (non avendo i ricorrenti dimostrato che le ragioni fattuali del doppio rigetto di prime e seconde cure siano state, in ipotesi, differenti: cfr., ad esempio, Cass., 22/12/2016, n. 26774, Cass., Cass., 06/08/2019, n. 20994);

la seconda censura va dunque letta solo nel quadro dell’art. 132 c.p.c., n. 4, del radicale difetto di motivazione, e non dell’omesso esame di singole risultanze potenzialmente decisive;

anche in questa cornice, però, le censure mirano a una rilettura istruttoria inammissibile in questa sede;

la Corte di appello ha considerato l’accertato tempo di percezione della situazione di pericolo, e ha verificato, sempre in fatto, che doveva considerarsi per differenza quello di avvistamento della vittima, successivo perché quest’ultima era a terra in abiti scuri di notte, mentre l’automobile nel fosso era a fari ancora accesi;

a nulla rileva la giurisprudenza sulla prevedibilità di pedoni nei pressi di automobili sulla sede stradale a seguito di incidenti, poiché in questo caso l’automobile in questione era nel fosso laterale al di fuori della sede stradale, e la vittima era inginocchiata a terra (per ragioni non emerse, come confermato dagli stessi ricorrenti) nella carreggiata, in modo imprevedibile come correttamente affermato sul piano logico dal Collegio di merito anche sul piano della sussunzione della fattispecie concreta in quella legale;

nessun connotato decisivo può poi avere la previa conoscenza dei luoghi da parte del conducente, circostanza inoltre nuova (non essendo dimostrata l’allegazione nelle fasi di merito e il relativo tenore) e come tale ulteriormente inammissibile;

l’ostruzione della visibilità causata dai fari dell’auto nel fosso, al contempo, è componente dell’accertamento fattuale sulla dinamica del sinistro oggetto dell’esame devoluto, e come tale constatabile dal giudice di merito a prescindere dalla sua allegazione in dettaglio, fermo restando che le conclusioni della Corte territoriale sono poggiate sulle complessive risultanze quali infatti descritte, senza che possano ritenersi incise da questo aspetto meramente rafforzativo (v. difatti pag. 6, quarto capoverso, della sentenza impugnata);

va sottolineato, al contempo, che neppure vengono trascritti i passi ritenuti incisivi della perizia svolta in sede d’indagini penali, in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6 (Cass., Sez. U., 27/12/2019, n. 34469);

e’ stato inoltre reiteratamente e anche recentemente ribadito (cfr. Cass., 10/09/2019, n. 22525, Cass., 07/11/2019, n. 28619, Cass., 18/02/2021, n. 4304) che, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116, c.p.c., opera sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché, in questa chiave, la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, bensì un errore di fatto, che dev’essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass., 12/10/2017, n. 23940), fermo il limite dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, nel caso come detto operante stante la doppia conforme di rigetto;

ciò posto, se la violazione dell’art. 116 c.p.c., è idonea per altro verso a integrare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda il sopra ricordato principio in assenza di una deroga normativa mente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta a un diverso regime; viceversa la violazione dell’art. 115 c.p.c., può essere dedotta come analogo vizio solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha finito per attribuire maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre (cfr. Cass., 10/06/2016, n. 11892, Cass., Sez. U., 05/08/2016, n. 16598, pag. 33);

nulla di tutto ciò, che possa sorreggere utilmente le censure svolte, emerge dai motivi in scrutinio;

le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese processuali di parte controricorrente liquidate in Euro 2.500,00 oltre a 200,00 Euro per rimborsi, 15% di spese forfettarie e accessori legali.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte dei ricorrenti in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 24 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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