LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –
Dott. PAOLITTO Liberato – rel. Consigliere –
Dott. FASANO Annamaria – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – Consigliere –
Dott. CIRESE Marina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 7694/2014 R.G. proposto da:
Naltus Immobiliare S.r.l., in persona del suo legale rappresentante p.t., e dai signori M.L., M.P., F.S., tutti rappresentati e difesi dall’Avv. Luisa Marrone, con domicilio eletto in Roma, via Dante De Blasi n. 98, scala A, presso il Dott. M.P.;
– ricorrenti –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del suo Direttore p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via dei Portoghesi n. 12, ope legis domicilia;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 416, depositata il 30 settembre 2013, della Commissione tributaria regionale della Campania;
e sul ricorso iscritto al n. 24318/2014 R.G. proposto da Naltus Immobiliare S.r.l., in persona del suo legale rappresentante p.t., e dai signori M.L., M.P., F.S., tutti rappresentati e difesi dall’Avv. Luisa Marrone, con domicilio eletto in Roma, via Dante De Blasi n. 98, scala A, presso il Dott. M.P.;
– ricorrenti –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del suo Direttore p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici, in Roma, via dei Portoghesi n. 12, ope legis domicilia;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2219/14, depositata il 6 marzo 2014, della Commissione tributaria regionale della Campania;
udita la relazione della causa svolta, nella Camera di Consiglio del 4 giugno 2021, dal Consigliere Dott. Paolitto Liberato;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Celeste Alberto, che ha concluso per la trattazione congiunta dei ricorsi e per l’accoglimento del ricorso per revocazione.
FATTI DI CAUSA
1. – Con sentenza n. 416, depositata il 30 settembre 2013, la Commissione tributaria regionale della Campania ha accolto l’appello dell’Agenzia delle Entrate, così pronunciando in integrale riforma della sentenza di primo grado che, secondo la gravata sentenza, in parziale accoglimento del ricorso proposto dai contribuenti avverso avvisi di rettifica e liquidazione, aveva rideterminato, riducendolo del 25%, il valore di un terreno oggetto di compravendita registrata in data 21 aprile 2007, e di successivo atto di rinuncia a condizione sospensiva registrato il 10 novembre 2008.
1.1 – Il giudice del gravame ha ritenuto che:
– l’atto impugnato esponeva una compiuta motivazione della pretesa impositiva, e delle sue ragioni fondative, rinviando ad una perizia di stima dell’Agenzia del Territorio;
– l’accertamento di valore del terreno oggetto di compravendita era stato legittimamente riferito al momento in cui si erano prodotti gli effetti traslativi della compravendita, in relazione, dunque, alla registrazione (in data 10 novembre 2008) dell’atto di rinuncia a condizione sospensiva;
– doveva ritenersi congruo il valore accertato dall’Ufficio sulla base di perizia di stima incentrata sul valore cd. di trasformazione, – id est in considerazione della “incidenza dell’area e (del) valore del realizzabile immobile”, – posto che difettavano i presupposti di una stima comparativa;
– i contribuenti avevano offerto al giudizio (due) atti comparativi di compravendita, risalenti però ad oltre tre anni prima dell’atto di rinuncia alla condizione sospensiva, nonché una perizia di parte che, anch’essa incentrata sul criterio di stima del valore di trasformazione, – non poteva ritenersi attendibile in quanto considerava “in luogo della superficie effettiva del terreno compravenduto, pari a mq. 17.296 una diversa superficie, denominata superficie complessiva vendibile, pari a mq. 6060”.
2. – Naltus Immobiliare S.r.l. e M.L., M.P., F.S., ricorrono per la cassazione della sentenza sulla base di sette motivi, illustrati con memoria.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
3. – Con successivo ricorso, iscritto al n. 24318/2014 di R.G., Naltus Immobiliare S.r.l., M.L., M.P. e F.S., sulla base di cinque motivi, illustrati con memoria, ricorrono per la cassazione della sentenza n. 2219/14, depositata il 6 marzo 2014, con la quale la Commissione tributaria regionale della Campania ha dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione proposto dagli stessi odierni ricorrenti avverso la sentenza n. 416/12/13, pronunciata dalla stessa Commissione tributaria regionale della Campania, sul rilievo che i motivi di ricorso involgevano errori di giudizio, di inesatta valutazione delle risultanze di causa, e non anche errori percettivi di fatto.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
4. – Fissati all’udienza pubblica del 4 giugno 2021, i ricorsi sono stati trattati in Camera di Consiglio, in base alla disciplina dettata dal sopravvenuto D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla L. di conversione n. 176 del 2020, senza l’intervento in presenza del Procuratore Generale, che ha depositato conclusioni scritte, e dei difensori delle parti, che non hanno fatto richiesta di discussione orale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – I ricorsi, separatamente pendenti, proposti avverso, rispettivamente, la sentenza di appello n. 416, depositata il 30 settembre 2013 (ricorso iscritto al n. 7694/2014 di R.G.), e la sentenza n. 2219/14, depositata il 6 marzo 2014, che ha dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione della prima (ricorso iscritto al n. 24318/2014 di R.G.), vanno riuniti secondo il consolidato orientamento della Corte che ha rilevato la ricorrenza di una connessione tra le due pronunce, – in quanto sul ricorso per cassazione proposto contro la sentenza di appello può risultare determinante la pronuncia di cassazione riguardante la sentenza resa in sede di revocazione, – così che trova applicazione (analogica) la disposizione di cui all’art. 335 c.p.c. che impone la trattazione in un unico giudizio di tutte le impugnazioni proposte contro la stessa sentenza (così Cass., 16 marzo 1996, n. 2227 cui adde, ex plurimis, Cass., 22 maggio 2015, n. 10534; Cass., 29 novembre 2006, n. 25376; Cass., 11 giugno 1998, n. 5850; Cass. Sez. U., 7 novembre 1997, n. 10933).
Va, quindi, prioritariamente trattato il ricorso per la cassazione della sentenza che ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso proposto per revocazione.
2. – Col primo motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione di legge con riferimento all’art. 111 Cost., al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, all’art. 132 c.p.c., ed all’art. 118 disp. att. c.p.c., deducendo, in sintesi, nullità della gravata sentenza resa in difetto di ogni indicazione quanto allo svolgimento del processo, alle richieste di parte, ai motivi di revocazione ed alle ragioni fondative della stessa pronuncia.
Il secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, espone anch’esso la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 111 Cost., al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, n. 4, all’art. 132 c.p.c., n. 4, ed all’art. 118 disp. att. c.p.c., così i ricorrenti reiterando la censura di nullità della gravata sentenza in ragione della sua motivazione meramente apparente, di natura apodittica e tale da non consentire la ricostruzione dell’iter logico postovi a fondamento.
Col terzo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione di legge in relazione agli artt. 112,115,116 e 277 c.p.c., agli artt. 2699 e 2700 c.c., all’art. 395 c.p.c., ed al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 1 e 64, assumendo, in sintesi, che, – diversamente da quanto ritenuto dal giudice del gravame, – nella fattispecie venivano in considerazione (proprio) errori di percezione che afferivano al travisamento fattuale: a) – di un atto notarile, prodotto (utilmente) a comparazione, e recante la data certa (infratriennale, in relazione all’atto sottoposto a tassazione) del 7 giugno 2006 piuttosto che quella del 27 ottobre 2003; b) – dei dati rilevanti, ai fini della decisione, esposti in una perizia di parte, ove, dunque, la superficie vendibile (di mq. 6060) era stata confusa con l’estensione del lotto (di mq. 17.296), l’uno e l’altro dato chiaramente esposto in perizia e, ciò non di meno, travisato dalla pronuncia oggetto della richiesta di revocazione; c) dell’esito del giudizio di primo grado che, – di integrale accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio, – il giudice aveva immutato in un parziale accoglimento, con la conseguente implicazione che ne era stata tratta, – quanto all’omessa valutazione dei “motivi di doglianza assorbiti in primo grado e riproposti in appello”, – in ragione dell’omessa proposizione di un appello incidentale.
Il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, espone la denuncia di violazione dell’art. 111 Cost., e dell’art. 112 c.p.c., sull’assunto che la gravata sentenza non aveva pronunciato su alcuno “dei tre motivi di revocazione” che erano stati proposti.
Col quinto motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 111 Cost., dell’art. 51 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 6, e dell’art. 6 CEDU, deducendo la nullità del procedimento, e della pronuncia impugnata, in ragione dell’omessa astensione di un componente del collegio in ragione del suo rapporto di coniugio con funzionario dell’Agenzia delle Entrate.
3. – I primi due motivi, ed il quarto motivo di ricorso, – da esaminare congiuntamente perché accomunati dalla medesima quaestio iuris di fondo, – sono destituiti di fondamento.
La gravata pronuncia, – per quanto in termini decisamente essenziali, e ciò non di meno, – ha reso esplicita la propria ratio decidendi rilevando che la revocazione era stata proposta a fronte di errori di giudizio, di valutazione probatoria di fatti e di documenti, e non anche in presenza di un errore consistente in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente ed immediatamente rilevabile.
Tale rilievo, – che i ricorrenti investono (anche) con il terzo motivo di ricorso, – esclude, dunque, che il provvedimento impugnato risulti inidoneo a disvelare la ratio decidendi che vi è stata posta a fondamento, per quanto debba (pur) rimarcarsi che il denunciato vizio di motivazione della sentenza, perché meramente apparente, in violazione dell’art. 132 c.p.c., non può essere accolto qualora la questione giuridica sottesa sia comunque da disattendere, non essendovi motivo per cui un tale principio, formulato rispetto al caso di omesso esame di un motivo di appello, e fondato sui principi di economia e ragionevole durata del processo, non debba trovare applicazione anche rispetto al caso, del tutto assimilabile, in cui la motivazione resa dal giudice dell’appello sia, rispetto ad un dato motivo, sostanzialmente apparente, ma suscettibile di essere corretta ai sensi dell’art. 384 c.p.c. (così Cass., 1 marzo 2019, n. 6145).
In termini generali, difatti, si è rilevato, in relazione alla stessa denunciata omessa pronuncia, che la Cassazione può procedere alla correzione della motivazione della gravata sentenza (cui non è di ostacolo il denunciato error in procedendo; v., ex plurimis, Cass., 1 marzo 2019, n. 6145; Cass. Sez. U., 2 febbraio 2017, n. 2731; Cass., 3 marzo 2011, n. 5139; Cass., 1 febbraio 2010, n. 2313; Cass., 28 luglio 2005, n. 15810; Cass., 23 aprile 2001, n. 5962), purché la correzione (solo in diritto) non implichi accertamenti e valutazioni di fatto (v., ex plurimis, Cass., 6 settembre 2017, n. 20806; Cass., 25 ottobre 2013, n. 24165; Cass., 18 marzo 2005, n. 5954; Cass., 16 maggio 1998, n. 4939); e, nella fattispecie, – come reso esplicito dal terzo motivo di ricorso, – tutti i motivi di revocazione avevano riguardo all’errore di fatto, da intendere quale svista materiale del giudice obiettivamente rilevabile ex actis.
4. – Anche il quinto motivo di ricorso è destituito di fondamento nella misura in cui, come ripetutamente rilevato dalla Corte, la stessa violazione dell’obbligo di astensione, nei termini in cui dai ricorrenti viene prospettata, non determina la nullità della sentenza; è stato, difatti, rilevato che l’inosservanza dell’obbligo di astensione di cui all’art. 51 c.p.c., n. 1, determina la nullità del provvedimento emesso solo ove il componente dell’organo decidente abbia un interesse proprio e diretto nella causa che lo ponga nella qualità di parte del procedimento; in ogni altra ipotesi, invece, la violazione di tale obbligo assume rilievo come mero motivo di ricusazione, rimanendo esclusa, in difetto della relativa istanza, qualsiasi incidenza sulla regolare costituzione dell’organo decidente e sulla validità della decisione, con la conseguenza che la mancata proposizione di detta istanza, nei termini e con le modalità di legge, preclude la possibilità di fare valere il vizio in sede di impugnazione, quale motivo di nullità del provvedimento (così, ex plurimis, Cass., 28 gennaio 2019, n. 2270).
5. – Neppure il terzo motivo di ricorso può trovare accoglimento, per quanto debba integrarsi la motivazione della gravata pronuncia.
5.1 – Deve, innanzitutto, escludersi che la pronuncia impugnata abbia tratto una qualche implicazione processuale dalla denunciata erronea rilevazione, – in termini di parziale accoglimento del ricorso introduttivo del giudizio, – del decisum oggetto (allora) di impugnazione; così che al denunciato travisamento di detto decisum non si è affatto correlata una qualche conseguenza in punto di necessità di un appello, incidentale, questione che, in effetti, la pronuncia in esame non tratta in alcun modo.
5.2 – Come, poi, reso esplicito dal contenuto di detta pronuncia, nella fattispecie veniva all’esame del giudice del gravame un avviso di rettifica fondato su di un accertamento di (maggior) valore di aree edificabili compravendute; accertamento, questo, a sua volta affidato ad un metodo di stima, cd. del valore di trasformazione, alternativo alla stima per comparazione ed incentrato, in sintesi, sulla determinazione del valore dell’area edificabile quale differenza ottenuta tra il valore venale dell’edificato (quale risultato finale dell’edificazione o, come altrimenti detto dal giudice del merito, “del realizzabile immobile”) ed i costi correlati alla sua realizzazione.
5.2.1 – Nel rilevare, allora, l’inaffidabilità della perizia di parte, che esponeva “in luogo della superficie effettiva del terreno compravenduto, pari a mq. 17.296 una diversa superficie, denominata superficie complessiva vendibile, pari a mq. 6060”, il giudice del merito non è incorso, come rilevato dal giudice della revocazione, in un errore di natura percettiva, – in una svista risultante in modo incontrovertibile dagli atti, – ma, piuttosto, in un’erronea valutazione concernente la rilevanza probatoria dei dati esposti in detta perizia; errore di giudizio che ha interrotto la (necessaria) consequenzialità tra premesse del ragionamento probatorio (il metodo di stima utilizzato) e suo svolgimento (rilevanza dei dati nel contesto del metodo assunto in premessa).
5.2.2 – Anche l’erronea datazione dell’atto notarile, del quale si è esclusa la rilevanza probatoria, – ai fini, dunque, della contestazione dell’accertamento di valore operato dall’Agenzia, – non integra un errore revocatorio perché, in ragione di quanto sin qui esposto, non risultava essenziale, e decisivo, ai fini della definizione della controversia.
Come rilevato dalla Corte, nella fase rescindente del giudizio di revocazione, il giudice, verificato l’errore di fatto (sostanziale o processuale) esposto ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4, deve valutarne la decisività alla stregua del solo contenuto della sentenza impugnata, operando un ragionamento di tipo controfattuale che, sostituita mentalmente l’affermazione errata con quella esatta, provi la resistenza della decisione stessa; difatti, l’errore di fatto ha carattere revocatorio laddove decisivo e, per tale, deve intendersi l’errore che sia in nesso di causalità con la decisione resa, nesso, questo, a sua volta rilevante in senso logico-giuridico in quanto si tratta di stabilire se la decisione della causa avrebbe dovuto essere diversa, in mancanza di quell’errore, per necessità, appunto, logico-giuridica (v. Cass., 23 aprile 2020, n. 8051; Cass., 29 marzo 2016, n. 6038; Cass., 24 marzo 2014, n. 6881; Cass., 18 febbraio 2009, n. 3935; Cass. Sez. U., 23 gennaio 1999, n. 1666).
Orbene è del tutto evidente, allora, che rispetto all’accertamento di (maggior) valore in contestazione, – in quanto fondato su di un metodo di stima che non implicava la comparazione con atti aventi ad oggetto beni (id est terreni edificabili) “di analoghe caratteristiche e condizioni” (D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3), – non poteva avere una qualche concludenza dimostrativa lo stesso atto notarile prodotto dai contribuenti a titolo comparativo (quanto, dunque, all’effettivo valore delle aree compravendute) e ciò perché, per l’appunto, l’accertamento dell’Agenzia si muoveva su di un piano operativo del tutto diverso, ed importava, in giudizio, il riscontro probatorio circa l’affidabilità, e la stessa concludenza, del procedimento di stima indiretta.
6. – Disatteso, così, il ricorso proposto per la cassazione della sentenza resa in sede di revocazione, la Corte deve esaminare l’impugnazione proposta contro la sentenza pronunciata nel giudizio di appello ed oggetto della richiesta revocazione.
6.1 – Col primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, i ricorrenti denunciano violazione dell’art. 111 Cost., degli artt. 2909, 2729 c.c. e ss., degli artt. 112, 113, 116 e 324 c.p.c., deducendo, in sintesi, che la gravata sentenza, nel ritenere condivisibile l’accertamento di valore operato dall’Agenzia, – che aveva rettificato, in Euro 42 al mq., il valore del terreno compravenduto indicato dalle parti in Euro 30,00 al mq., – aveva omesso di considerare che, – con sentenza passata in giudicato (n. 61/7/06, della Commissione tributaria provinciale di Avellino), resa su avviso di rettifica che era stato emesso relativamente ad un atto (del 27 ottobre 2003) dal quale proveniva quello (ora) in contestazione, – il valore dei terreni era stato accertato in Euro 20,00 al mq., tenuto conto delle specifiche, ed immutate, caratteristiche degli stessi, e qual correlate alla loro “difficoltosa e dispendiosa utilizzazione ai fini edificatori” (anche in relazione alla loro ubicazione, posta non a confine con la pubblica via e di difficoltoso accesso).
Il secondo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, espone la denuncia di violazione di legge in relazione agli artt. 112,115,116 e 132 c.p.c., al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 7 e 36, ed al D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, nonché di omessa pronuncia e di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, assumendo i ricorrenti che l’accertamento di valore, quale operato dal giudice del gravame, aveva pretermesso la considerazione tanto delle delibere dell’Ente locale, – che avevano determinatò, in Euro 23,04 al mq., il valore delle aree edificabili cui quelle in rettifica risultavano assimilabili, quanto dell’atto di comparazione (del 7 giugno 2006) prodotto da essi esponenti che, a riguardo di dette aree, esponeva un valore unitario al mq. di Euro 20,84.
Col terzo motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione di legge con riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., agli artt. 112,113,115,116,132 e 277 c.p.c., agli artt. 2697,2699,2727 e 2729 c.c., nonché al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 7 e 36, sull’assunto che, – pretermettendo le allegazioni, anche probatorie, e le deduzioni di essi esponenti, e sinanche travisando il contenuto della pronuncia di prime cure (di annullamento degli atti impugnati, non anche di rideterminazione del valore dei terreni oggetto di rettifica), – la pronuncia del giudice del gravame aveva violato i principi del contraddittorio, e di difesa, risolvendosi in una motivazione apparente, apodittica ed avulsa dai dati processuali e, così, in una pronuncia affetta da nullità; soggiungono i ricorrenti che, – tenendo in non cale la sentenza passata in giudicato, le delibere dell’Ente locale di determinazione del valore di aree edificabili, lo stesso atto di compravendita prodotto a comparazione, – la gravata pronuncia aveva alluso ad atti comparativi, con data antecedente di oltre tre anni rispetto all’atto di rinuncia alla condizione sospensiva, senza avvedersi che uno di detti atti si identificava con quello di provenienza dei terreni in contestazione e, per di più, aveva attribuito alla perizia di parte un dato (6060 mq.) che non concerneva la “superficie effettiva del terreno compravenduto”, – in perizia indicato nella corretta estensione di 17.296 mq., – quanto piuttosto la cd. “superficie complessiva vendibile” che il perito aveva, per l’appunto, indicato in mq. 6060 a confutazione di quella maggiore (per mq. 6250) utilizzata nella perizia di stima dell’Agenzia.
Il quarto motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, reca la denuncia di violazione e falsa applicazione di legge in relazione all’art. 116 c.p.c., all’art. 2697 c.c., al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 7 e 36, all’art. 6 CEDU, all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, all’art. 11-107 del Trattato sulla Costituzione Europea, ed alla L. n. 88 del 2009; assumono, al riguardo, i ricorrenti che l’accertamento operato dal giudice del gravame si era risolto in una ingiustificata e, ancor più, apodittica valorizzazione della perizia di stima dell’Agenzia, perizia cui si era attribuito, per l’appunto, un valore probatorio privilegiato, e senz’alcuna considerazione dei dati istruttori che, offerti al giudizio da essi esponenti, ne esplicitavano l’incongruità e l’inattendibilità con riferimento, – non solo all’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato, alle delibere dell’Ente locale di determinazione del valore di aree edificabili ed all’atto di compravendita prodotto, a comparazione, ma anche, – agli stessi contenuti valutativi, ove, dunque, l’accertamento di valore non considerava l’esistenza di vincoli sui terreni, – soggetti, in zona sismica, alla disciplina vincolistica a tutela (anche) delle bellezze naturali ed a fascia di rispetto fluviale, l’inesistenza di un accesso diretto alla strada comunale, e di servizi primari, ed erroneamente aveva valutato tanto la superficie vendibile quanto i costi di lottizzazione e la percentuale di incidenza.
Col quinto motivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113,115,277 e 342 c.p.c., nonché del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, deducendo, in sintesi, che il giudice del gravame aveva omesso di rilevare l’eccepita inammissibilità del motivo di appello proposto dall’Agenzia che non aveva specificamente censurato la ratio decidendi della pronuncia di prime cure che, a sua volta, per un verso aveva escluso la legittimità della stima (indiretta) operata dall’Agenzia, – in quanto preclusa dalla ricorrenza dei presupposti di una stima comparativa, – e, per il restante, aveva statuito che la stessa stima andava correlata alla data (certa) della registrazione del contratto preliminare di vendita.
Col sesto motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione di legge con riferimento agli artt. 1360,2643 e ss., 2644 e 2704 c.c., al D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 18 e 27 e art. 43, comma 1, lett. a), ed al Provv. dell’Agenzia delle Entrate 27 luglio 2007, deducendo, in sintesi, che, – ai fini dell’accertamento di valore operato dall’Agenzia, e diversamente da quanto ritenuto dalla gravata sentenza, – avrebbe dovuto tenersi conto del momento in cui il prezzo veniva tra le parti pattuito, – e, dunque, avendo riguardo al contratto preliminare di vendita concluso in data 23 ottobre 2006 (successivamente registrato il 10 novembre 2006 e trascritto il 13 novembre 2006), non anche al (successivo) atto di rinuncia alla condizione sospensiva (che era stato registrato il 10 novembre 2008), – posto che la data certa del preliminare, e la sua stessa trascrizione, lo rendevano opponibile ai terzi ed alla stessa amministrazione.
Col settimo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, i ricorrenti denunciano violazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, nonché omessa pronuncia su fatto decisivo, assumendo, da un lato, che il ricorso alla stima indiretta, qual operata dall’Agenzia, rimaneva, nella fattispecie, precluso dalla prevalenza legale del criterio di stima diretta, per comparazione, – quale applicabile in ragione dell’atto comparativo (del 7 giugno 2006) da essi ricorrenti prodotto, – e, dall’altro, che, ad ogni modo, la gravata sentenza aveva omesso di pronunciare sull’eccepita violazione dell’art. 51, cit., con riferimento ad atti, – quali la stima che risultava riferita al triennio successivo (all’atto registrato), e al valore di appartamenti di nuova costruzione, nonché ad un contratto di compravendita del 6 febbraio 2009, ad indagini di mercato, ed a un’offerta di agenzia immobiliare, relative all’anno 2010, – che, utilizzati dall’amministrazione ai fini della stima indiretta, risultavano datati in un momento ben successivo alla stessa registrazione dell’atto di rinuncia alla condizione sospensiva.
7. – Seguendo l’ordine logico delle questioni poste dai ricorrenti, ritiene la Corte che non possano trovare accoglimento il quinto, il sesto ed il settimo motivo di ricorso.
7.1 – In relazione al quinto motivo, occorre premettere che i ricorrenti omettono di riprodurre il contenuto essenziale del gravame proposto dall’Agenzia davanti alla Commissione tributaria regionale, gravame che, difatti; forma, per lo più, oggetto delle valutazioni qualificatorie espresse in ricorso e che risulta trascritto (solo) in un suo specifico passaggio argomentativo.
In siffatti termini articolato, il motivo di ricorso si rivela, pertanto, inammissibile (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6) in quanto non consente alla Corte di ripercorrere l’operazione interpretativa che è rimasta sottesa alla pronuncia di accoglimento del giudice del gravame, dovendosi considerare, sul punto, che, come rilevato dalla Corte, l’interpretazione del contenuto dell’atto processuale va correlata al suo tenore complessivo, ove, dunque, le ragioni di critica del decisum fatto oggetto di impugnazione debbono desumersi, anche per implicito, dall’intero atto di impugnazione considerato nel suo complesso, comprese le premesse in fatto, la parte espositiva e le conclusioni (v., ex plurimis, Cass., 26 gennaio 2021, n. 1571; Cass., 21 novembre 2019, n. 30341; Cass., 24 agosto 2017, n. 20379; Cass., 31 marzo 2011, n. 7393; Cass., 12 gennaio 2009, n. 346; Cass., 19 gennaio 2007, n. 1224).
E’, poi, da rimarcare che, come in immediato seguito meglio si dirà, lo stesso specifico passaggio riportato in ricorso dà conto, sia pur nel suo sintetico contenuto, di una critica che trova il suo fondamento nella disciplina di legge dell’imposta di registro, qual in effetti implicata dai successivi motivi di ricorso.
7.2 – Il sesto motivo è destituito di fondamento nella misura in cui si pone in frontale contrasto con la piana interpretazione dei dati normativi oggetto di censura, e con riferimento alla disciplina che si ricava dal D.P.R. n. 131 del 1986, art. 27, comma 2 (“Quando la condizione si verifica, o l’atto produce i suoi effetti prima dell’avverarsi di essa, si riscuote la differenza tra l’imposta dovuta secondo le norme vigenti al momento della formazione dell’atto e quella pagata in sede di registrazione.”) e art. 43, comma 1, lett. a) (“La base imponibile, salvo quanto disposto negli articoli seguenti, è costituita: a) per i contratti a titolo oneroso traslativi o costitutivi di diritti reali dal valore del bene o del diritto alla data dell’atto ovvero, per gli atti sottoposti a condizione sospensiva, ad approvazione o ad omologazione, alla data in cui si producono i relativi effetti traslativi o costitutivi”); difatti, secondo un consolidato orientamento della Corte, nel caso di contratto ad effetti traslativi o costitutivi di diritti reali sottoposto a condizione sospensiva, la determinazione della base imponibile va ancorata, ai sensi dell’art. 43, comma 1, lett. a), cit., al momento in cui si verifica il fatto generatore degli effetti e, cioè, l’evento dedotto in condizione o la concorde rinuncia delle parti alla condizione originariamente pattuita, e non alla data della stipula del contratto, a cui tali effetti retroagiscono, che rileva, invece, ai fini dell’individuazione della disciplina applicabile in virtù del precedente art. 27 (v. Cass., 2 dicembre 2015, n. 24514; Cass., 30 dicembre 2014, n. 27493; Cass., 18 maggio 2012, n. 7878; Cass., 18 maggio 2012, n. 7877; Cass., 11 maggio 1999, n. 4657).
7.3 – In relazione, poi, al settimo motivo va ribadito che, diversamente da quanto assumono i ricorrenti, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, comma 3, espone un triplice ordine di presupposti (equiordinati e) legittimanti l’accertamento del maggior valore venale del bene immobile oggetto di compravendita, avendo questa Corte precisato, con risalente indirizzo, che l’avviso di rettifica del valore dichiarato, ai fini dell’imposta di registro, può fondarsi, oltre che sul parametro comparativo e su quello del reddito, anche su “altri elementi di valutazione”, elementi, questi, tra i quali rientra, – oltreché una stima operata dall’Agenzia del territorio (v. Cass., 26 gennaio 2018, n. 1961; Cass., 10 febbraio 2006, n. 2951), – il riferimento al criterio tabellare della rendita catastale aggiornata e rivalutata (Cass., 13 novembre 2018, n. 29143) ovvero alla destinazione, alla collocazione, alla tipologia, alla superficie, allo stato di conservazione, all’epoca di costruzione dell’immobile oggetto di valutazione (v., ex plurimis, Cass., 18 settembre 2019, n. 23217; Cass., 24 febbraio 2006, n. 4221; Cass., 18 settembre 2003, n. 13817; Cass., 8 marzo 2001, n. 3419) -.
Nella fattispecie, inoltre, per come incontestatamente accertato dal giudice del gravame, l’accertamento di valore è stato fondato su di una perizia di stima con contenuti valutativi correlati al metodo analitico-ricostruttivo denominato del valore di trasformazione, metodo, questo, incentrato sulla “determinazione del valore dell’area fabbricabile sulla base della differenza tra il ricavato (valore dell’edificato), “come si configurerebbe ad edificazione avvenuta della cubatura realizzabile per l’area presa in considerazione”, ed i costi necessari all’edificazione stessa (costi di trasformazione).” (così Cass., 20 ottobre 2017, n. 24872; v. altresì, in motivazione, Cass., 9 marzo 2018, n. 5763; Cass., 2 marzo 2018, n. 4953), così che nemmeno rileva quella denunciata datazione degli atti utilizzati a detti fini siccome non venendo in considerazione il criterio comparativo di valutazione.
Per vero, – come sempre avviene nelle operazioni concettuali legate a complesse metodologie di valutazione, – rileva, nella fattispecie, un procedimento di stima del quale va verificata la correttezza, avuto riguardo alla riscontrabilità dei dati fattuali postivi a fondamento ed al rigore del procedimento inferenziale sotteso all’utilizzazione del metodo di stima.
8. – Quanto, ora, ai residui motivi di ricorso, considera, innanzitutto, la Corte che, – seppur i motivi formulati con ridondante evocazione dei parametri di riferimento normativo del sindacato devoluto alla Corte, e delle stesse disposizioni oggetto della denuncia di violazione di legge, – come rilevato dalle Sezioni Unite, la formulazione, con un unico motivo, di plurime censure, ciascuna delle quali avrebbe potuto essere prospettata come un autonomo motivo, non e’, di per sé sola, ragione d’inammissibilità dell’impugnazione se non quando “nell’ambito della parte argomentativa del mezzo d’impugnazione non risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure”; così che se tale scindibilità sia possibile, – ovvero la formulazione del ricorso consenta “di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, onde consentirne, se necessario, l’esame separato”, – “deve ritenersi ammissibile la formulazione di unico articolato motivo, nell’ambito del quale le censure (così come i quesiti di diritto ex art. 380 bis, ove ratione temporis prescritti) siano tenute distinte…” (cfr. Cass. Sez. U., 24 luglio 2013, n. 17931 cui adde, ex plurimis, Cass., 19 novembre 2019, n. 29992; Cass., 23 ottobre 2018, n. 26790; Cass., 17 marzo 2017, n. 7009; Cass. Sez. U., 6 maggio 2015, n. 9100).
Va, ancora, premesso che, come denunciano i ricorrenti col quarto motivo, la posizione paritaria che le parti assumono davanti al giudice tributario, – a sua volta chiamato a verificare la fondatezza della pretesa impositiva con esame (nel merito) del rapporto giuridico che vi è implicato, – non consente di attribuire alla relazione di stima utilizzata dall’Ufficio un’efficacia dimostrativa ex se (o quale atto pubblico, quanto al suo contenuto), indipendentemente, dunque, dall’effettiva idoneità persuasiva (per certezza e concludenza dei dati evidenziati) delle fonti di prova addotte all’interno di un processo che, per la sua struttura, ammette un maggior spazio di operatività delle prove cosiddette atipiche (v., ex plurimis, Cass., 24 febbraio 2020, n. 4864; Cass., 8 maggio 2015, n. 9357; Cass., 6 febbraio 2015, n. 2193; Cass., 25 giugno 2014, n. 14418; Cass., 23 febbraio 2011, n. 4363; Cass., 13 aprile 2007, n. 8890; Cass., 12 aprile 2006, n. 8586; Cass., 30 maggio 2002, n. 7935).
8.1 – Tanto premesso, il primo motivo di ricorso è destituito di fondamento quanto alla denunciata violazione di legge, considerato che, – oltre al difetto di piena identità soggettiva delle parti dei distinti giudizi, – nella fattispecie, com’e’ inequivoco, viene in considerazione un accertamento di valore che, – avuto riguardo alla diversa determinazione del momento impositivo ed alla stessa diversità soggettiva dei rapporti d’imposta, – non può affatto ritenersi corrispóndente ad un elemento della fattispecie impositiva tendenzialmente permanente e, così, ad efficacia ultrattiva.
Come, difatti, rilevato dalla Corte, “Qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo”, così che detta efficacia, riguardante anche i rapporti di durata, “non trova ostacolo, in materia tributaria, nel principio dell’autonomia dei periodi d’imposta, in quanto l’indifferenza della fattispecie costitutiva dell’obbligazione relativa ad un determinato periodo rispetto ai fatti che si siano verificati al di fuori dello stesso, oltre a riguardare soltanto le imposte sui redditi ed a trovare significative deroghe sul piano normativo, si, giustifica soltanto in relazione ai fatti non aventi caratteristica di durata e comunque variabili da periodo a periodo (ad esempio, la capacità contributiva, le spese deducibili), e non anche rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi d’imposta (ad esempio, le qualificazioni giuridiche preliminari all’applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente.” (così Cass. Sez. U., 16 giugno 2006, n. 13916 cui adde, ex plurimis, Cass., 16 maggio 2019, n. 13152; Cass., 3 gennaio 2019, n. 37; Cass., 1 luglio 2015, n. 13498; Cass., 30 ottobre 2013, n. 24433; Cass., 29 luglio 2011, n. 16675; Cass., 22 aprile 2009, n. 9512; v. altresì, in tema di ICI, Cass., 19 gennaio 2018, n. 1300; Cass., 16 settembre 2011, n. 18923; Cass., 29 luglio 2011, n. 16675).
8.2 – In ordine, invece, ai profili di censura che, con riferime’nto al denunciato omesso esame di fatti decisivi, astringono il secondo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, – insussistente, per vero, la (pur) denunciata nullità per motivazione apparente della pronuncia impugnata, – rileva, innanzitutto, la Corte che, per assunto espresso dallo stesso giudice del gravame, l’accertamento di valore rilevante nella fattispecie riposava su di un metodo di stima (di natura analitica-ricostruttiva) alternativo a quello comparativo; e che, pertanto, – una volta dato accesso, siccome legittimo, ad un siffatto metodo di valutazione (cd. del valore di trasformazione), – si poneva la conseguente necessità di un suo rigoroso riscontro in ordine ai dati (economici, temporali e, ad ogni modo, connotativi dello stato dei terreni edificabili e della loro potenzialità edificatoria) postivi a fondamento ed alle conseguenti implicazioni valutative che ne venivano tratte (anche in ordine ai costi da sostenere).
Ciò non di meno la gravata sentenza non ha dato mostra di farsi carico di un siffatto riscontro e, per vero, ha evidenziato (anche) una qual certa inconsapevolezza degli stessi criteri di valutazione che, nella fattispecie, venivano in considerazione, valorizzando la datazione di atti (indicati nominativamente) prodotti a titolo comparativo, – valutazione, questa, impropria proprio perché sconnessa rispetto al metodo di stima che, come assunto dallo stesso giudice del gravame, non aveva natura comparativa, – e, per di più, escludendo ogni rilevanza probatoria della perizia di parte sol perché esposta una “superficie complessiva vendibile, pari a mq. 6060” in quanto tale diversa dalla “superficie effettiva del terreno compravenduto, pari a mq. 17.296”; così, per l’appunto, apertamente obliterando che il metodo di accertamento assunto in premessa tende (esattamente) alla determinazione del valore dell’area edificabile sulla base della differenza tra i ricavi conseguibili (cd. valore dell’edificato), in relazione alla cubatura realizzabile, ed i costi necessari all’edificazione stessa (costi di trasformazione).
Letto in questa prospettiva, il decisum del giudice del gravame non resiste, per sua stessa intrinseca e manifesta inconsistenza, al denunciato omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, posto che ne risulta pretermessa ogni considerazione: – sullo stato, ubicazione e conformazione dei terreni oggetto di valutazione; – sulla loro effettiva potenzialità edificatoria; – sui vincoli esistenti in relazione alla cubatura realizzabile; – sui conseguenti ricavi e costi di trasformazione.
E, in siffatti termini, risultano fondati, e vanno accolti, il terzo e il quarto motivo di ricorso, laddove destituito di fondamento rimane il secondo motivo che, – evocando dati utili (in tesi) ai fini di una valutazione comparativa, – si muove sullo stesso piano delle antinomie valutative appena sopra rilevate in ordine decisum del giudice del gravame.
9. – L’impugnata sentenza va, pertanto, cassata con rinvio della causa, anche per la disciplina delle spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Campania che, in diversa composizione, procederà al riesame della controversia procedendo agli accertamenti omessi in relazione al criterio di accertamento assunto a premessa della rettifica di valore dall’Agenzia delle Entrate operata.
10. – Le spese del giudizio di legittimità introdotto con impugnazione della sentenza resa in sede di revocazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza di parti ricorrenti nei cui confronti sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, se dovuto (D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater).
PQM
La Corte, riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso iscritto al n. 24318/2014 R.G.; accoglie il terzo ed il quarto motivo del ricorso iscritto al n. 7694/2014 R.G., inammissibile il quinto ed infondati i residui motivi del ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione; condanna l’ricorrenti al pagamento in solido, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 3.500,00, oltre spese prenotate a debito; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso iscritto al n. 24318/2014 R.G., a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio tenuta da remoto, il 4 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021
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