LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 13525 – 2020 R.G. proposto da:
B.F. – c.f. ***** – elettivamente domiciliato in Roma, alla via Mirabello, n. 18, presso lo studio dell’avvocato Umberto Richiello che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato Paolo Bastianini lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale su foglio allegato in calce al ricorso.
– ricorrente –
contro
MINISTERO dell’ECONOMIA e delle FINANZE – c.f. ***** – in persona del Ministro pro tempore.
– intimato –
avverso il decreto della Corte d’Appello di Firenze dei 14.2/9.3.2020, udita la relazione nella camera di consiglio del 19 maggio 2021 del consigliere Dott. Luigi Abete, MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO 1. Con ricorso ex L. n. 89 del 2001 alla Corte d’Appello di Firenze B.F. si doleva per l’irragionevole durata di un giudizio intrapreso nell’anno 2005 innanzi al T.A.R. della Toscana e definito con sentenza n. 511 del 2019.
Chiedeva ingiungersi al Ministero dell’Economia e delle Finanze il pagamento di un equo indennizzo.
2. Con decreto n. 342/2019 il consigliere designato accoglieva il ricorso ed ingiungeva al Ministero il pagamento della somma di Euro 1.334,00, oltre interessi dalla domanda e spese della procedura.
Il consigliere designato determinava in dieci anni la durata irragionevole del giudizio “presupposto” e, in dipendenza della soccombenza del ricorrente nel medesimo giudizio, abbatteva il “moltiplicatore” annuo, quantificato nell’importo minimo di Euro 400,00, sino ad 1/3, ovvero sino ad Euro 133,33, ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 1-ter.
3. B.F. proponeva opposizione L. n. 89 del 2001, ex art. 5 ter. Resisteva il Ministero dell’Economia e delle Finanze.
4. Con decreto dei 14.2/9.3.2020 la Corte d’Appello di Firenze accoglieva in parte l’opposizione e, per l’effetto, condannava il Ministero a pagare a B.F. la somma di Euro 2.667,00, con gli interessi dalla domanda; condannava il Ministero a rimborsare all’opponente le spese di lite, unitariamente liquidate in Euro 1.400,00, oltre rimborso forfetario ed accessori di legge.
Reputava la corte manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, 1 comma 1-ter, sollevata dall’opponente.
Reputava altresì la corte che la riduzione massima operabile in ipotesi di rigetto delle istanze del ricorrente nel giudizio “presupposto” fosse da intendere pari non già a 2/3 bensì ad 1/3 del “moltiplicatore” annuo all’uopo determinato.
Reputava infine che non ostava alla decurtazione ex citato art. 2-bis, comma 1-ter. La circostanza per cui pendesse, avverso la sentenza n. 511 del 2019 del T.A.R. della Toscana, appello innanzi al Consiglio di Stato.
5. Avverso tale decreto ha proposto ricorso B.F.; ne ha chiesto in base ad un unico motivo la cassazione con ogni conseguente provvedimento.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto difese.
6. Il relatore ha formulato proposta di manifesta infondatezza del ricorso ex art. 375 c.p.c., n. 5); il presidente ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 1, ha fissato l’adunanza in camera di consiglio.
7. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 2 bis.
Deduce che non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 89 del 2001, art. 2-bis, comma 1-ter,.
Deduce che il diritto a che la domanda sia esaminata entro un termine ragionevole, deve essere svincolato dall’esito della domanda stessa; che del resto il patimento correlato alla durata irragionevole del giudizio non può essere influenzato dall’esito del medesimo giudizio.
Deduce altresì che è irragionevole ammettere che si possa far luogo alla riduzione dell’indennizzo, allorché la soccombenza nel giudizio “presupposto” non è ancora divenuta definitiva.
Deduce infine che è irrisorio ed in contrasto con i principi desumibili dall’art. 6 C.E.D.U., par. 1, la quantificazione del “moltiplicatore” annuo, all’esito della riduzione ex art. 2 bis, citato comma 1-ter, ad Euro 267,00.
8. Va debitamente premesso che, nonostante la rituale notificazione del decreto presidenziale e della proposta del relatore, il ricorrente non ha provveduto al deposito di memoria.
In ogni caso, pur al di là del teste’ riferito rilievo, il collegio appieno condivide la proposta, che ben può essere reiterata in questa sede.
Il motivo di ricorso è dunque infondato e da respingere.
9. Si condividono in toto le argomentazioni della Corte di Firenze in ordine alla manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale reiterata con il ricorso.
In particolare, si condivide il rilievo per cui la riduzione dell’indennizzo prevista dalla L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 1-ter, risulta ancorata ad un dato oggettivo, ovvero al “minor patimento per l’attesa o il ritardo irragionevole sofferto dal ricorrente in ipotesi in cui questo sia poi rimasto soccombente nel giudizio presupposto” (così decreto impugnato, pag. 5).
In particolare, si condivide il rilievo per cui l’equo indennizzo è stato richiesto in pendenza di gravame innanzi al Consiglio di Stato, il che ha implicato accettazione del rischio, da parte del ricorrente, di vedersi decurtato l’indennizzo dovutogli (cfr. decreto impugnato, pag. 6); del resto – ha correttamente soggiunto la corte distrettuale – l’art. 2 bis, citato comma 1-ter, non subordina l’applicabilità della decurtazione alla definitività della decisione assunta nel giudizio “presupposto”.
10. Per altro verso, il caso di colui che abbia agito consapevole dell’infondatezza della sua domanda ed il caso di colui che invece l’abbia vista semplicemente respinta per nulla possono essere assimilati.
In maniera ragionevole risultano pertanto distinte l’ipotesi di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 bis, comma 1-ter (in cui non si va “ad intaccare l’an dell’indennizzo ma a calibrare il ristoro sulla base di un parametro oggettivo”: così decreto impugnato, pag. 5) e l’ipotesi di cui alla medesima Legge, art. 2, comma 2-quinquies, lett. a), (alla cui stregua, viceversa, “non è riconosciuto alcun indennizzo: a) in favore della parte che ha agito o resistito in giudizio consapevole della infondatezza originaria o sopravvenuta delle proprie domande o difese, anche fuori dai casi di cui all’art. 96 c.p.c.”).
11. Quanto poi ai rilievi di cui alla lett. b) del ricorso (pag. 10) risulta pertinente e sufficiente ribadire l’insegnamento di questa Corte antecedente alla novella n. 208 del 2015, tenendo conto, per giunta, della legittimità della decurtazione correlata al rigetto della domanda nel giudizio “presupposto”.
Ovvero l’insegnamento secondo cui, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, la Corte E.D.U. (le cui pronunce costituiscono un fondamentale punto di riferimento per il giudice nazionale nell’interpretazione delle disposizioni della C. E. D. U.) in numerosi giudizi di lunga durata davanti alle giurisdizioni amministrative, nei quali gli interessati non risultavano aver sollecitato la trattazione o la definizione del processo mostrando di avervi scarso interesse, ha liquidato un indennizzo forfetario per l’intera durata del giudizio che, suddiviso per il numero di anni, ha oscillato, di regola, tra gli importi di Euro 350 e quello di Euro 550 per anno (cfr. Cass. 6.9.2012, n. 14974).
12. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze non ha svolto difese. Nonostante il rigetto del ricorso nessuna statuizione in ordine alle spese del presente giudizio va pertanto assunta.
13. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, non è soggetto a contributo unificato il giudizio di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001; il che rende inapplicabile il medesimo D.P.R. art. 13, comma 1-quater,
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021