LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11497-2020 proposto da:
CALFIN S.R.L., rappresentata e difesa dall’Avvocato STEFANIA PAROLA per procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
NUOVA REAL COSTRUZIONI S.R.L., rappresentata e difesa dall’Avvocato ANDREA PETTI per procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la SENTENZA n. 5202/2019 della CORTE D’APPELLO DI ROMA, depositata il 31/7/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/5/2021 dal Consigliere GIUSEPPE DONGIACOMO.
FATTI DI CAUSA
La corte d’appello, con la pronuncia in epigrafe, ha rigettato l’appello che la CALFIN s.r.l. aveva proposto nei confronti della sentenza con la quale, il 19/3/2013, il tribunale, pronunciandosi sull’opposizione al decreto ingiuntivo chiesto dalla Nuova Real Costruzioni s.r.l., l’aveva condannata al pagamento, in favore di quest’ultima, della somma di Euro 102.246,80, oltre interessi, quale corrispettivo dell’opera ad essa affidata in appalto.
La corte, in particolare, per quanto ancora rileva, dopo aver evidenziato che: – la CALFIN s.r.l. non ha contestato né le causali né gli importi riportati dalle fatture prodotte dall’appaltatrice; – la Nuova Real Costruzioni s.r.l., relativamente alle fatture oggetto del giudizio, per un importo totale di Euro 188.936,00, ha ammesso di aver ricevuto in pagamento la somma complessiva di Euro 86.500,00, per cui residua un credito in capo alla stessa di Euro 102.436,00; – la CALFIN, rispetto a tale credito, ha dedotto di aver saldato, in contanti e con un assegno di Euro 16.500,00, l’intero importo; ha, in sostanza, ritenuto, per un verso, che non vi era alcuna necessità di espletare una consulenza tecnica d’ufficio relativa ai lavori svolti in esecuzione del contratto d’appalto e alla quantificazione degli stessi, avendo il creditore dimostrato l’esistenza della relativa obbligazione quanto meno in ragione della non contestazione, e, per altro verso, che la CALFIN, pur avendone l’onere, non aveva fornito in giudizio la prova dei pagamenti dedotti: ed infatti, ha osservato la corte, la quietanza di pagamento apposta sulla copia dell’assegno di Euro 16.500,00, rilasciata dalla Nuova Real Costruzioni, non dimostra la consapevole rinuncia da parte della stessa a tutte le ulteriori somme dovute dalla CALFIN s.r.l. posto che la dicitura “ricevo assegno di Euro 16.500,00 a saldo lavori eseguiti nel cantiere di Roma – Via Prenestina. Seguirà fattura” non fa alcun riferimento alla globalità dell’appalto, né è riferibile al pagamento di fatture già emesse al momento della dazione dell’assegno poiché “seguirà fattura” non reca alcuna data che possa identificare il tempo di consegna dell’assegno né il riferimento certo ad una qualche fattura, anche successiva. Il fatto, poi, che dopo l’incasso dell’assegno sia stata emessa quantomeno un’altra fattura (e cioè la n. 13 del 2008) dimostra che “vi erano ancora altre partite aperte tra le parti”. Tali circostanze – in uno alla poco credibile affermazione che l’appellante avrebbe pagato in contanti quanto meno la somma a differenza di Euro 72.766,10, il cui pagamento non è stato suffragato da alcuna prova – concorrono ad affermare, ha concluso la corte, che la quietanza rilasciata si riferisse alle sole somme portate dall’assegno e che fosse stata rilasciata in relazione a specifici lavori, che sarebbero stati fatturati, e per la sola somma portata dall’assegno fotocopiato, e non vi fosse, in definitiva, alcun intento abdicativo rispetto a tutte le somme dovute per l’appalto. L’appellante, che aveva sollevato l’eccezione di pagamento, avrebbe dovuto, piuttosto, dimostrare sia i pagamenti fatti, sia di aver imputato la detta somma ad un dato debito, nonché la rinuncia ad ogni altra somma nella quietanza rilasciata. In mancanza di una certa riferibilità dell’importo dell’assegno ad una specifica fattura e ad un’imputazione da parte del debitore al momento del pagamento, la relativa somma doveva essere detratta, come fatto dal creditore, dalla fattura n. 5.
La CALFIN s.r.l., con ricorso notificato il 2/3/2020, ha chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza.
La Nuova Real Costruzioni s.r.l. ha resistito con controricorso.
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che la scrittura posta in calce alla copia dell’assegno di Euro 16.500,00 non potesse riferirsi alla globalità dell’appalto senza, tuttavia, considerare che una dizione così tranciante come quella utilizzata, e cioè “a saldo”, dovesse essere completata dal riferimento all’intero corrispettivo dovuto per l’appalto. In realtà, ha proseguito la ricorrente, la Nuova Real Costruzioni s.r.l., con la dichiarazione in calce alla fotocopia dell’assegno, aveva l’intenzione di affermare che, dopo l’incasso dell’assegno, nulla era più dovuto dalla CALFIN per i lavori eseguiti nel cantiere di *****, e che, a tal fine, avrebbe emesso fattura, come poi ha fatto con la fattura n. 13 del 2008. Tale ricostruzione, del resto, ha proseguito la ricorrente, è suffragata da altri elementi che, però, la corte d’appello non ha tenuto nella debita considerazione, come le relazioni tecniche depositate in giudizi pendenti tra le medesime parti innanzi al tribunale di Roma e la sentenza con la quale il tribunale, nel 2015, in forza del medesimo contratto d’appalto, ha condannato la Nuova Real Costruzioni al pagamento in favore della CALFIN della somma di Euro 21.150,00.
2. Con il secondo motivo, la ricorrente, lamentando la violazione o la falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha dimostrato di non aver compreso il significato da attribuire al documento relativo alla ricevuta di pagamento a saldo, attribuendo allo stesso un significato completamento errato rispetto a quanto risulta dal suo contenuto. Ne’ rileva, ha aggiunto la ricorrente, la mancanza di un’imputazione di pagamento da parte della CALFIN posto che i criteri di imputazione previsti dall’art. 1193 c.c. si applicano solo nel caso in cui vi siano più debiti della medesima specie tra le stesse parti e non anche nel caso, come quello di specie, in cui il debitore ha provveduto al saldo dell’intero debito. Le quietanza, quindi, ha concluso la ricorrente, se fosse stata correttamente valutata, e cioè come ricevuta a saldo, avrebbe dovuto indurre la corte d’appello a considerare soddisfatto l’onere della prova che, a norma dell’art. 2697 c.c., comma 2, grava sul convenuto che ha eccepito di aver eseguito il pagamento dell’intera somma dovuta.
3.1. I due motivi, da esaminare congiuntamente, sono inammissibili.
3.2. Deve escludersi, invero, ogni rilievo alle censure rivolte all’interpretazione che la corte d’appello ha dato della dichiarazione di quietanza apposta in calce alla copia dell’assegno, non avendo dedotto quali norme ermeneutiche siano state in concreto violate né specificato in qual modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sia discostato, limitandosi, piuttosto, a contrapporre la propria interpretazione di tale dichiarazione a quella fornita dalla corte d’appello. Ed e’, invece, noto che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni, per cui, quando di una dichiarazione negoziale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che abbia proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (cfr. Cass. n. 24539 del 2009; Cass. n. 27136 del 2017).
3.3. Quanto al resto, la ricorrente lamenta, in sostanza, la valutazione, asseritamente erronea, che la corte d’appello ha fatto delle prove raccolte in giudizio: lì dove, in particolare, le stesse avrebbero dimostrato il pagamento integrale del (residuo) corrispettivo dalla stessa dovuto all’appaltatrice. Così facendo, però, la ricorrente incorre nell’equivoco di ritenere che la violazione o la falsa applicazione di norme di legge processuale dipendano o siano ad ogni modo dimostrate dall’erronea valutazione del materiale istruttorio, laddove, al contrario, un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 c.p.c. può porsi solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali ovvero abbia disatteso prove legali valutandole secondo il suo prudente apprezzamento o considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. n. 27000 del 2016). La valutazione degli elementi istruttori, anche se si tratta di prove raccolte in altri giudizi, costituisce, infatti, un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.). Non è compito di questa Corte, invero, quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008).
3.4. Ed una volta escluso, come la corte d’appello ha ritenuto senza che tale apprezzamento in fatto sia stato censurato (nell’unico modo possibile, e cioè, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5) per aver del tutto omesso l’esame di uno o più fatti decisivi risultanti dal testo della sentenza o dagli atti del giudizio, che la committente avesse dimostrato in giudizio di aver effettivamente pagato l’intero corrispettivo dovuto all’esecutrice dei lavori così come descritti nelle fatture poste a fondamento del decreto ingiuntivo opposto, non si presta, evidentemente, a censure, per violazione dell’art. 2697 c.c., la decisione che la sentenza impugnata ha conseguentemente assunto, e cioè l’accoglimento della domanda proposta da quest’ultima, in quanto volta al pagamento del saldo del corrispettivo dovuto. In effetti, in materia contrattuale, il creditore che agisce per l’adempimento ha l’onere di provare solo la fonte del suo diritto (ed il relativo termine di scadenza), potendo limitarsi, dopo aver adempiuto a tale onere, alla mera allegazione dell’inadempimento della controparte, cui spetta, infine, la prova dell’adempimento o di altro fatto estintivo.
3.5. La violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., del resto, si configura solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma: non anche quando la censura abbia avuto ad oggetto, com’e’ accaduto nel caso in esame, la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti lì dove ha ritenuto (in ipotesi erroneamente) assolto (o non assolto) tale onere ad opera della parte che ne era gravata in forza della predetta norma, che è sindacabile, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 (cfr. Cass. n. 17313 del 2020; Cass. n. 13395 del 2018).
4. Il ricorso e’, quindi, inammissibile.
5. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
6. La Corte dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
PQM
La Corte così provvede: dichiara l’inammissibilità del ricorso; condanna la ricorrente a rimborsare alla controricorrente le spese di lite, che liquida in Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali nella misura del 15%; dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 2, il 27 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021
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