Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32083 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15831-2020 proposto da:

L.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARDINAL DE LUCA, 10, presso lo studio dell’avvocato MATTEO MEGNA, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

contro

COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI PERUGIA;

– intimata –

avverso il decreto N. 6827/2018 R.G. del TRIBUNALE di PERUGIA, depositato il 19/03/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIULIA IOFRIDA.

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Perugia, con decreto depositato il 29/3/2020, ha respinto la richiesta di L.M., cittadina del Camerun, di riconoscimento, a seguito di diniego della competente Commissione territoriale, dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria o umanitaria.

In particolare, i giudici di merito hanno sostenuto che il racconto della richiedente (essere fuggita dal Paese d’origine per problemi famigliari, essendo stata oggetto di minacce da parte dell’ex marito, da cui aveva avuto tre figli) non era credibile in ordine al fatto che il marito, decorsi tanti anni dalla separazione ed avendo scelto di tenere con sé i figli, allontanatala da casa, potesse rintracciarla a fini persecutori, e comunque non integrava i presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato (richiesta peraltro neppure avanzata) o della protezione sussidiaria, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), atteso che nel Camerun sud-occidentale, regione di provenienza del ricorrente, non sussisteva una situazione di conflitti interni o violenza generalizzata); non ricorrevano i presupposti per la protezione umanitaria, in difetto di condizioni di particolare vulnerabilità (anche perché un amico avvocato si era offerta di aiutarla a livello giudiziario nel Paese d’origine ma ella aveva scelto di fuggire, temendo reazioni del marito, a danno suo o dei figli) e non essendo da sola sufficiente l’attività lavorativa avviata in Italia.

Avverso la suddetta pronuncia, comunicato il 29/3/2020, L.M. propone ricorso per cassazione (manca notifica via PEC e procura), affidato a tre motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno (che dichiara di costituirsi al solo fine di partecipare all’udienza pubblica di discussione). E’ stata disposta la trattazione con il rito camerale di cui all’art. 380-bis c.p.c., ritenuti ricorrenti i relativi presupposti.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c. nn. 3 e “5”, del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 7, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e art. 35 bis, comma 9, in relazione all’omessa istruttoria sulle dichiarazioni effettuate in ordine alla prigionia subita in Libia ad opera di arabi che poi l’avevano venduta a dei ghanesi, i quali l’avevano liberata dietro riscatto in denaro, che essa aveva dovuto pagare per evitare di essere venduta come schiava, ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato, integrando la fattispecie descritta un’ipotesi di tratta di donne e non essendo necessaria un’espressa richiesta di tale forma di protezione; b) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3 “e 5”, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e art. 35 bis, comma 9, sia dell’art. 7 par. 2 Dir. 2011/95/UE, in relazione al diniego della protezione sussidiaria, senza alcun riferimento alle fonti internazionali aggiornate consultate sulle condizioni del Paese d’origine, nonché L. citata, ex art. 14, lett. b), essendosi omesso ogni accertamento istruttorio sul fatto che le autorità pubbliche non erano state in grado di offrire protezione; c) la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3 “e 5”, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, e art. 35 bis, comma 9, sia del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 19, nonché l’omessa valutazione delle violenze subite nel Paese di transito, in relazione al diniego di protezione umanitaria.

2. La prima censura è fondata.

Come chiarito da questa Corte, in materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 (Cass. 15794/2019).

Ora, la ricorrente lamenta che nessuna valutazione sia stata compiuta dal Tribunale, sia ai fini dello status di rifugiato sia ai fini della protezione sussidiaria o umanitaria, sui fatti allegati, sin dall’audizione dinanzi alla Commissione territoriale, in ordine al periodo di prigionia trascorso in Libia ed al fatto che era stata successivamente venduta a cittadini ghanesi che l’avevano sfruttata, costringendola lavorare per loro, fino a quando i famigliari avevano pagato un riscatto, fatti tutti integranti la fattispecie di tratta di donne.

Ora, questa Corte ha affermato che, nel caso in cui la domanda di asilo sia presentata da una donna e, nel giudizio, emerga un quadro indiziario, ancorché incompleto, che faccia temere che quest’ultima sia stata vittima, non dichiarata, di tratta, il giudice non può arrestarsi di fronte al difetto di allegazione (o anche all’esistenza di allegazione contraria), ma deve avvalersi degli strumenti di cui dispone per conoscerne la vera storia, ricorrendo, in particolare, allo strumento dell’audizione, paradigmaticamente indispensabile, al fine di consentire alla intravista realtà, occultata dalla stessa richiedente, di emergere in sede giurisdizionale (Cass. 24573/2020).

Vero che laddove le dichiarazioni del richiedente siano inattendibili esse non richiedono approfondimento istruttorio officioso, per quanto riguarda il racconto che concerne la vicenda personale del richiedente, che può rilevare ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Invece, il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, una volta assolto da parte del richiedente la protezione il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, in relazione alla fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) (Sez.1, 31/1/2019 n. 3016). Inoltre questa Corte ha ritenuto che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisca un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, o come motivazione apparente, o come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Cass. 3340/2019; Cass. 33096/2018).

Ma, nella specie, tali dichiarazioni non risultano minimamente vagliate dal tribunale sia pure ai fini della credibilità o meno del racconto.

3. La seconda censura è parimenti fondata.

Questa Corte (Cass. 1922/2020) ha ribadito, da ultimo, che “in tema di protezione internazionale, l’onere di allegazione del richiedente la protezione sussidiaria, nell’ipotesi descritta nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), diversamente dalle ipotesi di protezione sussidiaria cd. individualizzanti, previste dall’art. 14, lett. a) e lett. b), e in conformità con le indicazioni della CGUE (sentenza 17 febbraio 2009, causa C465/07), è limitato alla deduzione di una situazione oggettiva di generale violenza indiscriminata – dettata da un conflitto esterno o da instabilità interna – percepita come idonea a porre in pericolo la vita o incolumità psico-fisica per il solo fatto di rientrare nel paese di origine, disancorata dalla rappresentazione di una vicenda individuale di esposizione al rischio persecutorio. Ne consegue che, ove correttamente allegata tale situazione, il giudice, in attuazione del proprio dovere di cooperazione istruttoria, è tenuto ad accertarne l’attualità con riferimento alla situazione oggettiva del paese di origine e, in particolare, dell’area di provenienza del richiedente”.

Inoltre, la valutazione di inattendibilità del racconto del richiedente, per la parte relativa alle vicende personali di quest’ultimo, non incide sulla verifica dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. c), in quanto la valutazione da svolgere per questa forma di protezione internazionale è incentrata sull’accertamento officioso della situazione generale esistente nell’area di provenienza del cittadino straniero, e neppure può impedire l’accertamento officioso, relativo all’esistenza ed al grado di deprivazione dei diritti umani nella medesima area, in ordine all’altra ipotesi di protezione umanitaria fondata sulla valutazione comparativa tra il grado d’integrazione raggiunto nel nostro paese ed il risultato della predetta indagine officiosa (Cass. 16122/2020; Cass. 13940/2020).

Ancora si è precisato che ” il principio in virtù del quale quando le dichiarazioni dello straniero sono inattendibili non è necessario un approfondimento istruttorio officioso, se è applicabile ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello “status” di rifugiato o di quelli per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non può invece essere invocato nell’ipotesi di cui al medesimo decreto, art. 14, lett. c), poiché in quest’ultimo caso il dovere del giudice di cooperazione istruttoria sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione non credibile dei fatti attinenti alla vicenda personale del richiedente, purché egli abbia assolto il proprio dovere di allegazione” (Cass.- 10286/2020; Cass. 14283/2019). Ora, nella specie, il Tribunale, pur avendo affermato che, nel Paese d’origine, nella citta di Douala, non era presente una situazione di violenza generalizzata, non ha chiarito quali fonte avesse consultato, mentre la ricorrente deduce, in ricorso, così soddisfacendo il requisito necessario di specificità ed autosufficienza, che sulla base di Report Viaggiare Sicuri 2019 questa citta è indicata come sensibile obiettivo di attacchi terroristici di Boko Haram.

4. Il terzo motivo è assorbito.

5. Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento dei primi due motivi del ricorso, assorbito il terzo, va cassato il decreto impugnato, con rinvio al Tribunale di Perugia in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi del ricorso, assorbito il terzo, cassa il decreto impugnato, con rinvio a Tribunale di Perugia in diversa composizione, anche in punto di liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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