Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32092 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3374-2021 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBERICO II, 4, presso lo studio dell’avvocato FARINA MARIA ROSARIA, rappresentato e difeso dall’avvocato COSEANO PAOLO;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA UTG UDINE;

– intimata –

avverso l’ordinanza n. 365/2020 del GIUDICE DI PACE di UDINE, depositata il 18/12/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 23/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. FIDANZIA ANDREA.

RILEVATO

– che M.A., cittadino del Pakistan, ha proposto, affidandolo a tre motivi, ricorso per cassazione avverso il provvedimento con cui il Giudice di Pace di Udine, con provvedimento del 18.12.2020, ha rigettato il ricorso avverso il decreto di espulsione del prefetto della provincia di Udine emesso in data 06.10.2020;

– che l’intimato non ha svolto difese;

– che sono stati ritenuti sussistenti i presupposti ex art. 380-bis c.p.c.;

– che il ricorrente ha depositato la memoria ex art. 380-bis c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. che con il primo motivo è stata dedotta la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 13, comma 7 nonché degli artt. 3 e 24 Cost, per non essere il provvedimento di espulsione stato tradotto nella lingua di origine (l’urdu) del ricorrente, ma nella lingua veicolare (inglese), risultando, peraltro, non provata l’asserita (dalla prefettura) traduzione orale del provvedimento da parte del mediatore culturale della questura all’atto della notifica del decreto prefettizio;

2. che il motivo è inammissibile;

– che va osservato che il giudice di merito, con una valutazione in fatto che non è censurabile in sede di legittimità, se non a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (profilo non censurato), ha accertato che, al momento della notifica al ricorrente del decreto prefettizio, lo stesso è stato tradotto oralmente dal mediatore culturale della questura;

– che, secondo la ricostruzione del giudice di pace, tale circostanza è stata riportata nella stessa notifica (e “non contestato nell’atto gravato”), avendo così consentito al ricorrente l’esercizio del diritto di difesa;

– che l’odierna contestazione da parte del ricorrente è generica, non riportando, in ossequio al principio di autosufficienza, l’estratto preciso del proprio ricorso in opposizione all’espulsione nel quale tale contestazione sarebbe stata espressamente formulata o in cui sarebbe stato eventualmente riportato il diverso contenuto della relata di notifica;

3. – che con il secondo motivo è stata dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in rapporto all’art. 161 c.p.c. in relazione all’omesso esame sulle eccezioni e questioni dedotte dal ricorrente, oltre alla violazione degli artt. 33 Convenzione di Ginevra, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 comma 1, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett e) e g), D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14;

– che, in particolare, lamenta il ricorrente che il giudice di pace, nel ritenere l’insussistenza di una situazione di rischio nella sua regione di provenienza, aveva richiamato acriticamente la valutazione della Commissione territoriale, pronunciatasi sulla sua richiesta di protezione sussidiaria;

che, invece, il ricorrente aveva, in sede di opposizione all’espulsione, evidenziato quale fosse la situazione attuale del suo paese d’origine, circostanza non valutata dal giudice di pace;

4. che il secondo motivo è inammissibile;

– che il ricorrente non si è confrontato con il preciso rilievo del giudice di pace, il quale non si è limitato a richiamare genericamente la valutazione della Commissione territoriale investita della domanda di protezione sussidiaria, ma ha direttamente accertato il difetto di prova della esposizione dello stesso ricorrente al rischio di un danno grave, non potendo all’uopo ritenersi sufficiente la deduzione della situazione generale del paese;

– che, in proposito, anche nel ricorso il ricorrente si è limitato a riportare peraltro sulla base di quanto tratto da un sito non specializzato, quale il quotidiano la Repubblica – notizie relative all’agosto 2019 (quindi oltre un anno prima della emissione del decreto di espulsione) riguardanti, in generale, la cancellazione da parte dell’India dell’autonomia del Kashmir, situazione che avrebbe potuto provocare la reazione del Pakistan e costituire la vigilia di una guerra civile, che, tuttavia, secondo le stesse notizie fornite dallo stesso ricorrente non risultava ancora scoppiata nel dicembre 2020 (data del provvedimento impugnato);

che, pertanto, coerentemente il giudice di pace ha ritenuto non essere stati forniti dal ricorrente elementi individualizzanti in ordine alla sua esposizione al rischio di danno grave in caso di rimpatrio nel paese d’origine;

5. che con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 2, lett d), norma che parifica la convivenza con il coniuge alla donna in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi;

– che, in particolare, il ricorrente afferma di essersi sposato con rito tradizionale con una donna in stato di gravidanza (per la secondogenita), allo stato, non convivente con lo stesso, in quanto inserita temporaneamente in una struttura di accoglienza;

6. che il motivo è inammissibile nonché manifestamente infondato; che, in primo luogo, la valutazione in fatto del giudice di pace, secondo cui lo stato matrimoniale del ricorrente non risultava provato, non è sindacabile in sede di legittimità e comunque lo stesso ricorrente ha fatto solo genericamente riferimento ad un matrimonio contratto con un imprecisato “rito tradizionale”; che, in ogni caso, la causa di esenzione dall’espulsione si applica alla donna incinta (o nei sei mesi successivi) e non al (asserito) marito;

7. che non si provvede alla liquidazione delle spese, non avendo il Ministero dell’Interno svolto attività difensiva;

PQM

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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