Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32143 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3245-2020 proposto da:

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso lo studio dell’avvocato ANTONIETTA CORETTI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati EMANUELE DE ROSE, CARLA D’ALOISIO, LELIO MARITATO, ANTONINO SGROI;

– ricorrente –

contro

C.G.A., elettivamente domiciliata presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentata e difesa dall’avvocato MICHELINA DI SPIRITO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 494/2019 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 08/07/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20/05/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELLA MARCHESE.

RILEVATO

che:

la Corte d’appello di Salerno ha respinto l’appello dell’INPS, confermando la pronuncia di primo grado con cui era stata accolta la domanda di C.G.A. e dichiarata l’insussistenza dell’obbligo di iscrizione alla Gestione separata di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 2, comma 26, in relazione all’attività libero professionale dalla medesima svolta quale avvocato iscritto all’Albo Forense ma non alla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense, in ragione del mancato conseguimento del reddito nella misura utile per l’insorgenza del relativo obbligo;

la Corte territoriale ha osservato come l’INPS, su cui incombeva l’onere di provare il fondamento della domanda di pagamento, quale creditore in senso sostanziale, non avesse dimostrato l’esercizio abituale dell’attività di avvocato “nel mentre” il reddito prodotto, nell’anno oggetto di causa (id est: nel 2010), era stato “ampiamente” inferiore ai 5.000,00 Euro;

avverso tale sentenza l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, successivamente illustrato con memoria; l’avvocato ha resistito con controricorso;

la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..

CONSIDERATO

che:

con l’unico motivo di ricorso l’INPS -ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – ha dedotto violazione e/o falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 2, commi 26-31, del D.L. n. 98 del 2011, art. 18, commi 1 e 2, conv. con mod. dalla L. n. 111 del 2011, art. 21, comma 8, della L. n. 247 del 2012, art. 44, comma 2, D.L. n. 269 del 2003, conv. con mod. dalla L. n. 326 del 2003, per avere la Corte di appello ritenuto insussistente l’obbligo di versamento della contribuzione in ragione dell’ammontare del reddito conseguito dal professionista nell’anno di riferimento, inferiore al limite indicato dal D.L. n. 269 del 2003, art. 44, comma 2, (id est: Euro 5.000,00);

l’Istituto ha ribadito l’obbligo di iscrizione alla gestione separata per gli avvocati (per i quali non sorga l’obbligo di iscrizione alla cassa forense) che svolgono in modo abituale l’attività professionale, in base al disposto della L. n. 335 del 1995 cit., art. 2, comma 26, come interpretato autenticamente dal D.L. n. 98 del 2011 cit., art. 18, comma 12, non venendo in considerazione il D.L. n. 269 del 2003 cit., art. 44, comma 2, che disciplina la diversa ipotesi del lavoro occasionale;

ha sostenuto che, nel caso di specie, in base al dato pacifico della iscrizione della parte controricorrente all’albo di appartenenza, in uno, alla titolarità della partita IVA, la Corte di merito avrebbe dovuto affermare il diritto dell’Istituto alla contribuzione pretesa;

il ricorso non può trovare accoglimento;

questa Corte ha affermato che l’obbligatorietà dell’iscrizione alla Gestione separata da parte di un professionista iscritto ad albo o elenco è collegata all’esercizio abituale, ancorché non esclusivo, di una professione che dia luogo ad un reddito non assoggettato a contribuzione da parte della cassa di riferimento; la produzione di un reddito superiore alla soglia di Euro 5.000,00 costituisce invece il presupposto affinché anche un’attività di lavoro autonomo occasionale possa mettere capo all’iscrizione presso la medesima Gestione, restando invece normativamente irrilevante qualora ci si trovi in presenza di un’attività lavorativa svolta con i caratteri dell’abitualità (Cass. n. 4419 del 2021; n. 12419 del 2021; n. 12358 del 2021);

dirimente, ai fini dell’obbligo di iscrizione alla Gestione separata, deve considerarsi, secondo le sentenze richiamate, il modo in cui è svolta l’attività libero-professionale, se in forma abituale o meno; con la precisazione che nell’accertamento in fatto del requisito di abitualità possono rilevare “le presunzioni ricavabili, ad es., dall’iscrizione all’albo, dall’accensione della partita IVA o dall’organizzazione materiale predisposta dal professionista a supporto della sua attività” oppure, in senso contrario, “la percezione da parte del libero professionista di un reddito annuo di importo inferiore ad Euro 5.000,00”, senza che nessuno di tali elementi possa di per sé imporsi all’interprete come univocamente significativo;

osserva il Collegio come, nel caso di specie, la sentenza impugnata abbia attribuito rilievo prevalente all’entità del reddito prodotto “ampiamente” inferiore a 5.000,00 Euro e valutato detto elemento indiziario in uno alla assenza di elementi probatori di segno diverso della cui deduzione era onerato l’INPS;

la Corte di appello, diversamente da quanto dedotto dall’INPS, non ha deciso la controversa individuando nella soglia di Euro 5.000,00 il presupposto costitutivo dell’obbligo contributivo. A base dell’espresso convincimento vi è piuttosto la valutazione dell’entità del reddito, unitamente ad altri elementi di giudizio;

si e’, dunque, in presenza di un tipico accertamento di merito, riservato al giudice, che l’INPS avrebbe dovuto censurare ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (secondo l’enunciato di Cass., S.U. n. 5083 del 2014) e non in termini di violazione di legge;

il motivo di ricorso dell’INPS che pretende di ricavare, in via automatica, il requisito di abitualità della professione dall’iscrizione della controricorrente all’albo degli avvocati e dalla titolarità della partita IVA non considera che “non è possibile desumere alcuna presunzione iuris et de iure tale per cui un’attività libero-professionale che possa essere svolta solo previa iscrizione ad un albo o elenco debba necessariamente qualificarsi come “abituale” ai fini dell’iscrizione alla Gestione separata” (Cass. n. 4419 del 2021, cit.);

sulla base delle svolte argomentazioni, il ricorso va dunque respinto;

le spese seguono la soccombenza (v. in merito alle spese, in analoga fattispecie, Cass. n. 7231 del 2021) e si liquidano come da dispositivo;

sussistono, altresì, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ove il versamento risulti dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 500,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 20 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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