LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SORRENTINO Federico – Presidente –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –
Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12658-2015 proposto da:
SOGISPORT SOCIETA’ SPORTIVA DILETTANTISTICA SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, Piazza Cavour presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato VERONICA VILLA;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 5910/2014 della COMM. TRIB. REG. LOMBARDIA, depositata il 13/11/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/07/2021 dal Consigliere Dott. ANDREA VENEGONI.
RITENUTO
Che:
La Sogisport, società sportiva dilettantistica con sede in *****, riceveva un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate, direzione provinciale di Lecco, a seguito di processi verbali dell’INPS e della Guardia di Finanza, recuperava a tassazione, per l’anno 2007, l’importo di Euro 32.790 oltre addizionali e sanzioni, quali ritenute non versate nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente.
Il contribuente formulava in primo luogo istanza di autotutela, e l’ufficio provvedeva, successivamente, a rideterminare l’importo richiesto in Euro 20.048, sempre oltre accessori e sanzioni.
La società impugnava l’avviso davanti alla CTP di Lecco adducendo, oltre al difetto di motivazione dell’avviso, alla lesione del diritto di difesa ed alla doppia tassazione, il fatto che per le questioni attinenti alle modalità di svolgimento dei rapporti di lavoro, cui si riferivano le somme richieste, era in corso un giudizio davanti al Tribunale civile di Lecco, sez. Lavoro, da ritenere pertanto pregiudiziale.
La CTP di Lecco respingeva il ricorso.
Proponeva appello la società contribuente, deducendo, tra l’altro, il difetto di giurisdizione sulla qualificazione del rapporto di lavoro, la mancata applicazione dell’art. 295 c.p.c., e la CTR della Lombardia rigettava l’appello.
Per la cassazione di quest’ultima sentenza ricorre la contribuente sulla base di tre motivi. Si costituisce l’ufficio con controricorso.
CONSIDERATO
Che:
Con il primo motivo la contribuente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1 e dell’art. 295 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La CTR avrebbe errato nell’applicazione dell’art. 295 c.p.c. sia perché avrebbe erroneamente dedotto che la pregiudizialità non era mai stata invocata nei gradi precedenti, sia perché la pregiudizialità, con conseguente sospensione, poteva essere rilevata d’ufficio.
Rappresentava che, infatti, per lo stesso anno 2007, nel separato connesso giudizio relativo all’atto di irrogazione di sanzioni, una diversa sezione della CTP di Lecco aveva sospeso il giudizio tributario sulle sanzioni in attesa della definizione di quello sul rapporto di lavoro, e lo stesso era avvenuto per gli altri giudizi relativi al 2008 e 2009.
Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 23, del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. m), del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 69, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La CTR avrebbe errato nel ritenere non effettuate compiutamente le ritenute sui compensi corrisposti, perché ciò presupponeva una qualificazione diversa dei rapporti in essere, sulla quale era appunto in corso un parallelo giudizio civile.
Con il terzo motivo deduce violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36. Vizio di motivazione apparente, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
La sentenza impugnata sarebbe nulla perché affetta da motivazione apparente.
L’Agenzia delle Entrate, costituendosi, rilevava che la domanda di applicazione dell’art. 295 c.p.c. era stata effettivamente avanzata dalla contribuente, ma il motivo di ricorso è inammissibile perché ciò di cui si lamenta è più una omessa pronuncia, censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, che una violazione di legge, come dedotto.
Eccepisce che il motivo è comunque infondato perché non vi è identità di parti nei due giudizi (quello tributario e quello civile) e perché ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, comma 3, il giudice tributario risolve in via incidentale ogni questione da cui dipende la controversia rientrante nella propria giurisdizione, con le eccezioni previste da tale norma, in cui non rientra il caso di specie.
Eccepisce l’infondatezza anche del secondo e terzo motivo. Il ricorso è infondato.
Per quanto riguarda il primo motivo, il presupposto della sospensione necessaria (tenendo conto che nella specie opera il regime anteriore alla riforma del 2015, su cui si veda sez. VI-5 n. 4049 del 2019) è quello di evitare conflitto di giudicati (sez. V, n. 21765 del 2017).
Pertanto, se le parti in causa sono diverse, il giudicato nella causa che ha pregiudizialità logica non è comunque opponibile alle parti diverse nell’altra (sez. L, n. 12996 del 2018).
In tal caso non si ravvisa, pertanto, il rischio di contrasto di giudicati perché il giudicato della sentenza tributaria riguarda l’ammontare delle ritenute, la qualificazione del rapporto di lavoro è solo incidentale, mentre il giudicato della causa davanti al giudice del lavoro riguarda, da quanto emerge, la legittimità delle sanzioni INPS, ed anche in quel caso la qualificazione del rapporto di lavoro è oggetto di valutazione incidentale.
Del resto, in base al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, la giurisdizione del giudice tributario include anche la possibilità di valutazione incidentale di questioni non tributarie, senza necessità di sospensione del giudizio, con l’unica eccezione della querela di falso e delle cause sullo stato e la capacità delle persone.
Questa Corte (Sezioni unite civili, n. 7792 del 2005), ha statuito che la giurisdizione tributaria, avendo ad oggetto sia l’an che il quantum della pretesa tributaria, comprende anche l’individuazione del soggetto tenuto al versamento dell’imposta o dei limiti nei quali esso, per la sua qualità, sia obbligato.
Ne’ incide sulla controversia in questione la sentenza della Corte Costituzionale n. 130 del 2008, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, comma 1, nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione tributaria le controversie relative alle sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari, anche laddove esse conseguano alla violazione di disposizioni non aventi natura tributaria. Nel caso di specie, infatti, non vengono in rilievo le sanzioni non tributarie attinenti alla irregolarità del rapporto di lavoro, ma solo le sanzioni tributarie per le ritenute che, secondo l’ufficio, sono state omesse (come si deduce da pag. 2 del ricorso), cosicché la valutazione incidentale sul rapporto di lavoro rileva ai fini della valutazione della corretta tassazione e delle corrispondenti sanzioni.
In ogni caso, sez. VI-5 n. 12008 del 2014 (per quanto relativa ad una fattispecie fattuale differente) ha affermato che il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 39 (secondo cui “il processo è sospeso quando è presentata querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio”) attiene ai rapporti tra giurisdizione tributaria ed ogni altra giurisdizione, ordinaria o amministrativa, e pone una deroga – in ipotesi predeterminate – al criterio secondo il quale le questioni pregiudiziali sono risolte, “incidenter tantum”, dal giudice munito di giurisdizione sulla domanda. Ne consegue che il processo tributario non può essere sospeso in ragione della ritenuta necessità della risoluzione di ulteriori e diverse questioni ravvisate pregiudiziali, che sono devolute, di regola, alla cognizione del giudice ordinario o di quello amministrativo, dovendo, invece, il giudice tributario procedere alla definizione della controversia sottoposta al suo esame, previa risoluzione, “incidenter tantum”, delle suddette questioni.
Il motivo prospettato dalla parte, quindi, è infondato; il giudice tributario poteva valutare incidentalmente il rapporto di lavoro, come prevede il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2.
Il fatto che in altri procedimenti analoghi la CTP abbia sospeso il giudizio non interferisce, evidentemente, con il presente procedimento e non ha rilievo in esso.
Tra l’altro, come già rilevato in precedenza, la causa prospettata come pregiudiziale riguarda l’impugnazione delle sanzioni INPS; non è quindi una causa intentata da uno dei soggetti che hanno ricevuto i compensi, su cui sono state applicate le ritenute di cui si discute, per la qualificazione in via principale del rapporto di lavoro. E’ la causa contro il verbale dell’INPS che riguarda, anche in quel caso, l’impugnazione di un atto, nella specie di irrogazione sanzioni, e dove il giudizio richiederà una valutazione, anche in quel caso, incidentale sul rapporto di lavoro.
Il secondo motivo è ugualmente infondato. Alla luce di quanto sopra, la CTR ha correttamente proceduto alla valutazione incidentale sul rapporto di lavoro per desumerne la correttezza o meno della tassazione.
Il terzo motivo e’, infine, infondato, non ricorrendo il vizio di motivazione apparente. La sentenza espone chiaramente il motivo per cui considera che la ritenuta per tali rapporti sia nella misura del 23%, e cioè perché alla luce dei verbali dell’INPS ha qualificato i rapporti come di lavoro dipendente. E’ vero che la motivazione è estremamente stringata, ma ha una sua “ratio” che emerge chiaramente e permette di comprendere il percorso logico e giuridico seguito per pervenire alla conclusione affermata.
Il ricorso deve, quindi, essere respinto.
Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza. Sono, pertanto, a carico del ricorrente e, tenuto conto del valore della causa, si liquidano in Euro 4.100 oltre spese prenotate a debito.
Trattandosi di ricorso successivo al gennaio 2013, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio liquidate in Euro 4.100 oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021