LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –
Dott. LORITO Matilde – Consigliere –
Dott. GARRI Fabrizia – rel. Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6937-2019 proposto da:
B.A., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO AMERINI;
– ricorrente –
contro
CONFRATERNITA DI MISERICORDIA DELLA SANTISSIMA ANNUNZIATA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA AGRI, 1, presso studio dell’avvocato MASSIMO NAPPI, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO PICCHI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1058/2018 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 18/12/2018 R.G.N. 724/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/03/2021 dal Consigliere Dott. FABRIZIA GARRI.
RILEVATO
CHE:
1. La Corte di appello di Firenze ha dichiarato inammissibile il reclamo proposto da B.A. avverso la sentenza del Tribunale di Grosseto che aveva a sua volta rigettato l’opposizione avverso l’ordinanza dello stesso Tribunale il quale, in esito alla fase sommaria, aveva confermato la legittimità del licenziamento intimato dalla Confraternita di Misericordia della Santissima Annunziata con lettera dell’11 novembre 2016 pervenuta alla lavoratrice il 15 novembre successivo.
2. Premesso infatti che ai sensi della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 48 il reclamo deve essere proposto nel termine di trenta giorni dalla comunicazione della sentenza a cura della cancelleria, ovvero se anteriore a questa, dalla data della notifica del provvedimento, la Corte di merito ha accertato che la sentenza era stata comunicata alla pec della parte il 26 luglio 2018. Ha poi evidenziato che nel procedimento non opera la sospensione feriale dei termini e perciò il ricorso depositato solo il 23 settembre 2018 era tardivo essendo a quella data decorso il termine di trenta giorni, infondate le eccezioni di costituzionalità proposte.
3. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso B.A. affidato a due motivi al quale ha opposto difese con controricorso la Confraternita di Misericordia della Santissima Annunziata.
CONSIDERATO
CHE:
4. Con il primo motivo è denunciata la violazione dell’art. 133 e dell’art. 434 c.p.c., della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58 degli artt. 3,4 e 24 Cost. ed ancora la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione agli artt. 433 e 434 c.p.c. ed alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.
4.1. Deduce la ricorrente che la della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58 con il quale si dispone che il reclamo deve essere depositato, a pena di decadenza, nel termine di trenta giorni dall’avvenuta comunicazione della sentenza o dalla sua notificazione se anteriore, sarebbe superato dal disposto dell’art. 133 c.p.c. nel testo novellato dalla L. n. 114 del 2014 che dispone che la comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 c.p.c.. Sostiene che la regola introdotta nel 2014 avrebbe implicitamente abrogato quella coniata nel 2012 per il solo “rito Fornero”. Deduce che una diversa lettura delle norme presenterebbe profili di irragionevolezza e che l’urgenza di decidere controversie aventi ad oggetto i licenziamenti non è diversa da quella propria di altri giudizi su materie ugualmente delicate e sensibili quali la previdenza e l’assistenza. Osserva che la struttura del reclamo è stata valutata analoga a quella propria dell’appello e l’accelerazione del termine decadenziale non si giustifica posto che non si tratta di un rimedio caratterizzato da maggiore semplicità. Conseguentemente la disparità di trattamento ne risulterebbe evidente. Sottolinea inoltre che nello specifico ci si duole della decorrenza del termine dalla comunicazione di cancelleria, questione diversa da quella della durata del termine già affrontata dalla Cassazione. Prospetta allora l’illegittimità costituzionale della disposizione della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58 in relazione all’art. 24 ed all’art. 3 Cost., sul rilievo che ne resterebbe compresso il diritto di difesa della parte soccombente diversamente da quanto di regola previsto per tutti gli altri ricorrenti che agiscano al di fuori del rito Fornero con uno strumento, l’appello, in tutto assimilabile al reclamo e per tutte le altre controversie che pure attengono al rapporto di lavoro, previdenziale e assistenziale e che sono regolate dall’art. 133 c.p.c. nel testo novellato.
5. Il motivo è infondato.
5.1. la L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58 prevede espressamente che, contro la sentenza che decide sul ricorso in opposizione è ammesso reclamo davanti alla corte d’appello, “da depositare, a pena di decadenza, entro trenta giorni dalla comunicazione, o dalla notificazione se anteriore”. La “comunicazione” menzionata nella disposizione è quella effettuata dalla cancelleria a mente dell’art. 133 c.p.c., comma 2 – rubricato pubblicazione e comunicazione della sentenza – “mediante biglietto contenente il testo integrale della sentenza” che può essere, ai sensi dell’art. 136 c.p.c., comma 2, “consegnato dai cancelliere al destinatario, che ne rilascia ricevuta, ovvero trasmesso a mezzo posta elettronica certificata, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici”.
Tuttavia questa Corte ha chiarito che la modifica dell’art. 133 c.p.c. – con la quale si è disposto che “la comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325” – attiene al regime generale della comunicazione dei provvedimenti da parte della cancelleria e non può investire, neppure indirettamente, le previsioni speciali che, appunto, in via derogatoria, comportino la decorrenza di termini – anche perentori – dalla semplice comunicazione del provvedimento e tale è certamente il caso previsto dalla L. n. 92 del 2012, art. 1, commi 58 e 62 (cfr. Cass. 13/03/2018 n. 6059, n. 26/07/2018n. 19862 e già Cass. 28/09/2016 del 19177, 05/11/2014 n. 23526 avallata da Cass. SS.UU. 2015 n. 25208).
5.2. Ne’ l’interpretazione della disposizione proposta si espone ai dubbi di costituzionalità denunciati. Rientra nella sfera del merito legislativo l’individuazione dei termini e delle modalità di decorso degli stessi e norme speciali come quella oggi in esame ben possono stabilire modalità semplificate ed acceleratorie rispetto a quelle previste in via generale dalle disposizioni codicistiche (cfr. le considerazioni di questa Corte con riguardo alla durata del termine previsto per il rito Fornero in Cass. 28/11/2017 n. 28406).
5.3. La previsione di un termine più breve per l’impugnazione così come l’ancoraggio della decorrenza alla comunicazione del provvedimento a cura della cancelleria non sono di ostacolo al concreto esercizio del diritto di difesa, assicurato dalla piena conoscenza dell’atto da impugnare che deve essere allegato alla comunicazione perché questa produca il suo effetto e realizza al contrario un ragionevole equilibrio tra celerità ed affidabilità del rito.
6. Con il secondo motivo di ricorso è denunciata la violazione della L. n. 749 del 1969, art. 3 della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58 degli artt. 3,4,24 e 117 Cost.; dell’art. 112 c.p.c. in relazione agli artt. 433 e 434 c.p.c. e della L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 per avere la Corte ritenuto che alla controversia non trovasse applicazione la sospensione feriale dei termini e per avere, conseguentemente, ritenuto tardivo il reclamo. Anche per tale aspetto la ricorrente ritiene che l’interpretazione avvalorata dalla Corte di merito esponga la norma a profili di incostituzionalità con riguardo al parametro dell’art. 24 Cost. e dell’art. 6 della CEDU restando il diritto di difesa del reclamante ristretto in un termine troppo breve di trenta giorni e rendendo ineffettivo l’esercizio dell’impugnazione.
7. Anche tale censura è infondata.
7.1. Ritiene il Collegio che al caso in esame si applichino i principi già dettati da questa Corte, dai quali non v’e’ ragione di discostarsi, che con la sentenza n. 21003 del 16/10/2015 con riguardo al tema generale della mancata sospensione durante il periodo feriale dei termini nel processo del lavoro ha ritenuto manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. della L. n. 742 del 1969, art. 3 che esclude le controversie di lavoro e quelle in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie dalla sospensione dei termini durante il periodo feriale (cfr. anche Cass. 09/02/2009 n. 3192 e con specifico riferimento al termine breve nel rito del lavoro già Cass. 14/04/1998 n. 3767 recentemente poi v. Cass. n. 34734 del 2019). Si è osservato infatti che non sussistono dubbi di legittimità costituzionale della L. n. 742 del 1969, art. 3 che esclude le controversie di lavoro (e quelle in materia di previdenza ed assistenza obbligatorie) dalla sospensione dei termini durante il periodo feriale, in linea con i principi affermati dalla Corte costituzionale (sentenza n. 130 del 1974, ordinanza n. 61 del 1985, ordinanza n. 61 del 1992), dovendosi escludere che la norma sia idonea a produrre una lesione dei diritti di difesa dei dipendenti precisandosi che la suddetta esclusione dalla sospensione dei termini trova giustificazione nel rilevante valore sociale proprio dell’oggetto di tali controversie e non è tale da pregiudicare il diritto delle parti alla tutela giudiziaria (Cass. ult. cit.).
8. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza ed inoltre va dato atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R., se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in Euro 5.250,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma 1 bis citato D.P.R., se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 10 marzo 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021