Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32195 del 05/11/2021

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13595-2020 proposto da:

A.P., A.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DI PANICO 72, presso lo studio dell’avvocato EUTIMIO MONACO, rappresentata e difesa dagli avvocati ANDREA D’ANGELO, MATTEO NOVELLI, MARCO SAVIOTTI;

– ricorrenti –

contro

C.J.C., C.C.G., C.C., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G.P. DA PALESTRINA, 63, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA CONTALDI, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato CRISTINA RONCALLO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 66/2020 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 17/01/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 19/05/2021 dal Consigliere Dott. TEDESCO GIUSEPPE.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Per quanto interessa in questa sede la Corte d’appello di Genova ha confermato la sentenza di primo grado intervenuta nella causa promossa da C.J.C., C.C.G., C.C. nei confronti di A.P.. Gli attori, deducendo di essere creditori del convenuto, avevano chiesto di essere autorizzati ad accettare, in nome e luogo del loro debitore, l’eredità di Ca.An.. Gli attori avevano precisato che la domanda si giustificava in quanto il convenuto, chiamato alla successione in quanto figlio della Cagnin, non aveva risposto all’actio interrogatoria esperita nei suoi confronti dai creditori, avendo quindi perduto il diritto di accettare l’eredità. Nel giudizio di primo grado era intervenuta A.E., figlia del convenuto, la quale aveva fatto valere l’esistenza di un testamento olografo della defunta, che la nominava erede universale. Il Tribunale, dichiarata la falsità di tale testamento su querela di falso proposta dagli attori, ha autorizzato gli istanti, ai sensi dell’art. 524 c.c., ad accettare, in nome e luogo di A.P., l’eredità di Ca.An..

La Corte d’appello di Genova ha confermato la sentenza.

Per la cassazione della decisione A.E. e A.P. hanno proposto ricorso affidato tre motivi. Con il primo i ricorrenti denunciano la nullità della sentenza per violazione dell’art. 158 c.p.c., in quanto pronunciata da un giudice ausiliario. Con il secondo motivo essi denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 524 c.c.: si sostiene che la norma consente ai creditori l’impugnazione della rinuncia all’eredità da parte del chiamato e non anche della decadenza derivante dall’inutile decorso del termine accordato al chiamato ai sensi dell’art. 481 c.c.. Con il terzo motivo, infine, si denuncia omesso esame di un fatto decisivo. La Corte d’appello non ha pronunziato sulla domanda con la quale A.P., con la comparsa di costituzione in appello, aveva chiesto accertarsi l’esistenza di un testamento orale con il quale la defunta aveva istituito erede A.E..

C.J.C., C.Cingari G., C.C. hanno resistito con controricorso.

La causa è stata fissata dinanzi alla Sesta sezione civile della Suprema Corte su conforme proposta del relatore di manifesta infondatezza del ricorso.

I controricorrenti hanno depositato memoria.

Il primo motivo è infondato. La questione di costituzionalità della norma, che consente la partecipazione dei giudici ausiliari nei giudizi d’appello, è stata definita dalla Corte costituzionale nel senso che sono incostituzionali le norme che hanno previsto, come magistrati onorati, i giudici ausiliari presso le Corti d’appello. Le quali, tuttavia, potranno continuare ad avvalersi legittimamente dei giudici ausiliari per ridurre l’arretrato fino a quando, entro la data del 31 ottobre 2025, si perverrà ad una riforma complessiva della magistratura onoraria, nel rispetto dei principi costituzionali Corte Cost. n. 41 del 2021).

E’ infondato anche il secondo motivo. E’ controverso se il rimedio previsto dall’art. 524 c.c. sia utilizzabile dai creditori soltanto in presenza di una rinunzia “formale” oppure anche nelle ipotesi di decadenza del chiamato dal diritto di accettare l’eredità a seguito dell’esperimento dell’astio interrogatoria ex art. 481 c.c. o ai sensi dell’art. 487 c.c., comma 3, ovvero nel caso di maturata prescrizione. Pur trattandosi di questione dibattuta in dottrinaisi rileva che nella giurisprudenza della Corte si è affermata la tesi estensiva, quanto meno con riferimento al meccanismo decadenziale previsto dall’art. 481 c.c. (Cass. n. 7735/2007). La stessa giurisprudenza, in linea con l’opinione dominante in dottrina, esclude il ricorso all’impugnazione ai sensi dell’art. 524 c.c. allorquando il diritto di accettare l’eredità si sia prescritto ai sensi dell’art. 480 c.c. (Cass. n. 15664/2020).

A tale orientamento occorre dare continuità. Il rimedio, previsto dall’art. 524 c.c., deve essere accordato ai creditori del chiamato anche nel caso in cui il chiamato stesso abbia lasciato infruttuosamente decorrere il termine intimatogli ai sensi dell’art. 481 c.c. In quanto all’obiezione formulata nel ricorso, fondata sulla natura eccezionale della norma, è del tutto condivisibile il rilievo, proposto in dottrina che, in riferimento al sistema dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, non può dirsi eccezionale una norma che, pur configurando uno strumento singolare, è riconducibile al principio di organizzazione del sistema. Questa soluzione è corroborata dal principio di uguaglianza, essendo le due ipotesi assimilabili dal punto di vista del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori del chiamato. Sarebbe quindi iniquo accordare il rimedio al caso di rinuncia e negarlo nel caso di inerzia a seguito di actio interrogatoria. Il terzo motivo è inammissibile. Sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto è censurata la mancata decisione su una domanda proposta solo in grado d’appello. Si tratterebbe al limite di omessa pronuncia, solo che “il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice di appello non è configurabile in relazione ad una domanda nuova, giacché la proposizione di una domanda inammissibile non determina l’insorgere di alcun potere-dovere del giudice adito di pronunciarsi su di essa” (Cass. n. 7951/2010; n. 6094/2006).

Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato con addebito di spese. Ci sono le condizioni per dare atto D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto”.

P.Q.M.

rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti, al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio, che liquida nell’importo di Euro 3.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 19 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472