Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.32261 del 05/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2566/2016 proposto da:

ENTE STRUMENTALE ALLA CROCE ROSSA ITALIANA, quale successore ex lege della Croce Rossa Italiana, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;

– ricorrente –

contro

D.M.L.;

– intimata –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, del 19/11/2015 R.G.N. 904/2014;

avverso la sentenza n. 206/2014 del TRIBUNALE DI CHIETI, depositata il 20/03/2014 R.G.N. 1471/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 08/07/2021 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

RILEVATO

che:

1. con la sentenza impugnata il Tribunale di Chieti accoglieva la domanda di D.M.L. intesa all’accertamento della illegittimità della trattenuta effettuata da Croce Rossa Italiana sui fondi per il miglioramento dell’efficienza degli enti, con conseguente reintegrazione nel predetto fondo della trattenuta annua operata per gli anni 2008, 2009 e 2010 e condanna dell’Ente al pagamento in favore della ricorrente delle somme non corrisposte e/o indebitamente trattenute;

l’originaria ricorrente, dipendente con contratto di lavoro a tempo indeterminato della Croce Rossa Italiana, aveva convenuto l’Ente datore di lavoro per sentirlo condannare alla restituzione delle trattenute sul compenso incentivante operate dall’Ente, in relazione agli anni 2008, 2009, 2010, sulla base della Det. Direttoriale 17 luglio 2007, n. 86, con la quale Croce Rossa Italiana aveva disposto, nei confronti di tutti i dipendenti, il recupero di detto compenso, mediante sottrazione dal Fondo unico per l’incentivazione, previsto da disposizione collettiva, di un importo complessivo di Euro 5.151.216,87 secondo un piano di recupero da realizzare in cinque annualità, dal 2006 al 2010;

riteneva il Tribunale che il compenso incentivante avesse natura retributiva ex art. 28 del c.c.n.l. enti pubblici non economici e che la mancata corresponsione dello stesso, sia pure determinata da esigenze di natura contabile, urtasse con il principio della irriducibilità ed intangibilità della retribuzione.

2. la Corte d’appello di L’Aquila, con ordinanza ex art. 348 bis c.p.c., dichiarava inammissibile l’appello proposto dalla Croce Rossa Italiana ritenendo che l’impugnazione non avesse una ragionevole probabilità di accoglimento;

3. avverso la sentenza del Tribunale e l’ordinanza della Corte d’appello la Croce Rossa Italiana ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi;

4. D.M.L. non ha svolto attività difensiva.

CONSIDERATO

che:

1. il Ministero ha formulato, avverso l’ordinanza resa ai sensi degli artt. 348 bis e ter, il seguente primo motivo di ricorso, articolato in più censure: – violazione degli artt. 348 ter e quater c.p.c. (così la rubrica del primo motivo) (art. 360 c.p.c., n. 4) per essere stata l’ordinanza emessa al di fuori dei casi legislativamente previsti (art. 360 c.p.c., n. 4); omesso esame circa un fatto decisivo della controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5) per non essersi la Corte territoriale pronunciata sui motivi di impugnazione del Ministero concernenti la non condivisibilità della pronuncia del Tribunale in punto di applicabilità del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, alla pubblica amministrazione; violazione del D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, artt. 4 e 5 (art. 360 c.p.c., n. 3) per aver errato la Corte d’appello nell’aver ritenuto che l’Amministrazione avesse inteso sostenere un’applicazione retroattiva del D.P.R. n. 207 del 2010;

2. il motivo, nelle varie censure in cui è articolato, è inammissibile;

3. per quanto espressamente si rileva dall’ordinanza della Corte d’appello di L’Aquila, la declaratoria d’inammissibilità dell’appello è stata resa con espresso riferimento agli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., introdotti dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. a), (c.d. decreto sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012;

ed allora l’identificazione del mezzo di impugnazione esperibile avverso un provvedimento giurisdizionale va operata, a garanzia dell’affidamento della parte, con riferimento esclusivo a quanto previsto dalla legge per le decisioni emesse con le formalità e secondo il rito in concreto adottato (cfr. ex plurimis Cass. 13 febbraio 2015, n. 2948; Cass. 7 ottobre 2010, n. 20811), con ciò venendo soddisfatte le medesime esigenze di tutela salvaguardate dal c.d. principio dell’apparenza (che si pone quale temperamento di quello, anche consolidato, della prevalenza della sostanza sulla forma: v. Cass., Sez. Un., 16 aprile 2007, n. 8949), in riferimento alla qualificazione del contesto operativo in cui il provvedimento è stato reso (che nella specie è stato costituito dall’essere lo stesso intervenuto nell’ambito della subprocedura di “filtro”);

ciò, evidentemente, in conformità ai principi fondamentali della certezza dei rimedi impugnatori e dell’economia dell’attività processuale, evitandosi l’opinabilità del giudizio circa la reale natura dell’atto e l’irragionevolezza di imporre di fatto all’interessato di tutelarsi proponendo impugnazioni a mero titolo cautelativo;

di conseguenza, quando è lo stesso giudice di appello che, con provvedimento reso a fase iniziale del giudizio e prima di procedere alla trattazione, sentite le parti, afferma sussistere un’ipotesi in cui è consentita l’adozione dell’ordinanza d’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., ed esplicitamente compie, a termini di tale norma, una valutazione prognostica circa l’insussistenza di una ragionevole probabilità del suo accoglimento, non può che concludersi che, intervenuta tale ordinanza, è la sentenza di primo grado ad essere ricorribile per cassazione a norma dell’art. 360 c.p.c.;

si aggiunga che in ogni caso non potrebbe ritenersi sussistente un vizio proprio dell’ordinanza di inammissibilità resa a norma dell’art. 348 bis c.p.c., tale da integrare una violazione della legge processuale deducibile per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, considerato che non si verte in una ipotesi in cui l’inammissibilità dell’appello dovesse essere pronunciata con sentenza (comma 1 dell’art. 348 bis c.p.c.) né in una ipotesi in cui fosse mancante il presupposto della insussistenza di “una ragionevole probabilità di accoglimento” dell’impugnazione, essendo in tali termini limitato l’ambito applicativo dell’ordinanza medesima (v. Cass., Sez. Un., 2 febbraio 2016, n. 1914; Cass. 26 settembre 2018, n. 23151);

le suddette considerazioni non risultano in contrasto con quanto da questa Corte affermato nella sentenza n. 15644 del 23 giugno 2017, atteso che in quel caso vi era stata un’esplicita e chiara correzione della motivazione della sentenza del Tribunale “in quanto inesatta” ed il ricorso per cassazione era stato proposto avverso tale decisione della Corte d’appello;

4. con il secondo motivo di ricorso, formulato, avverso la sentenza della Corte d’appello, il Ministero denuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 40, 40 bis e 60, artt. 31 e 32 CCNL del personale non dirigente comparto enti pubblici non economici, quadriennio normativo 1998/2001, degli artt. 2103 e 2033 c.c., art. 36 Cost., L. n. 448 del 1999, art. 20, comma 1 lett. e);

evidenzia la ricorrente che, a seguito di rilievi formulati da parte del Collegio dei Revisori, con nota n. 7336 del 18.5.2006, il Ragioniere Generale dello Stato aveva incaricato l’Ispettorato Generale di Finanza di eseguire una verifica amministrativo-contabile presso il Comitato Centrale della Croce Rossa Italiana in merito alla regolarità della costituzione e della erogazione dei Fondi relativi al trattamento accessorio del personale;

dalla relazione conclusiva dell’Ispettore di Finanza, comunicata alla C.R.I. con nota n. 137691 del 23.10.2006, era emerso che l’Ente aveva corrisposto, a titolo di compenso incentivante, somme in eccesso per gli anni 2003 e 2004;

le irregolarità evidenziate riguardavano: – il pagamento di Fondi di incentivazione per gli anni 2002, 2003, 2004 e 2005 in assenza della certificazione del Collegio dei Revisori e dell’approvazione dei Ministeri Vigilanti; – il pagamento del Fondo 2003 in esubero rispetto allo stanziamento di bilancio; – l’inserimento nei fondi di incentivazione per gli anni 2003, 2004, e 2005 di somme a titolo di maggiori entrate e di minori spese, inesistenti e/o in eccesso rispetto al quantum inseribile; – il mancato accantonamento nei Fondi per il 2003, 2004 e 2005 delle somme necessarie al pagamento delle “progressioni orizzontali”;

per gli anni 2003 e 2004 i Fondi erano già stati integralmente corrisposti ai dipendenti, mentre con riferimento al Fondo 2005 erano stati versati degli acconti, giacché a seguito dell’intimazione del Collegio dei Revisori il pagamento del saldo – di regola corrisposto nel mese di maggio dell’anno successivo – era stato sospeso, senza erogazione di ulteriori importi, fino alla conclusione della verifica ispettiva;

alla stregua delle risultanze ispettive, il Ministero dell’Economia e delle Finanze aveva imposto all’ente di “formulare un piano di rientro da realizzare nell’arco temporale più breve possibile ai fini del recupero delle somme illegittimamente corrisposte”;

onde ottemperare a tale prescrizione, la C.R.I. aveva, quindi, deliberato di recuperare nell’arco di cinque anni l’importo complessivo pari ad 5.154.216,87 mediante riduzione degli stanziamenti dei Fondi relativi agli anni successivi;

tanto premesso in ordine allo svolgimento della vicenda, incontestata nel suoi termini fattuali, l’odierna ricorrente deduce che tale operazione di recupero doveva ritenersi del tutto legittima, in quanto la contrattazione collettiva nazionale fissa solo il tetto massimo ed invalicabile per la costituzione del Fondo, ma non esclude che l’importo possa essere determinato al ribasso, specialmente nel caso in cui debba arginarsi un pregresso sforamento e debba operarsi il recupero di quanto corrisposto in eccesso;

conclude dunque per la piena legittimità della Determinazione Direttoriale impugnata e del piano di rientro ivi previsto;

5. il motivo è fondato alla luce delle condivisibili pronunce di questa Corte su ricorsi proposti da Croce Rossa Italiana aventi il medesimo oggetto (cfr. ex multis Cass. n. 7838 del 2017; Cass. n. 24834 del 2015; Cass. n. 25161 del 2015; Cass. nn. 1245, 1180, 826, 825, 589, 484, 278, 153, 151, 77, 16 del 2016);

6. con tali decisioni è stato innanzitutto precisato che l’assunto secondo cui l’Ente ricorrente avrebbe operato una ripetizione di indebito regolata dall’art. 2033 c.c., come pure prospettato dalla difesa dei lavoratori, non corrisponde all’esatta qualificazione giuridica dei fatti, i quali non sono sussumibili nell’alveo di tale fattispecie;

la C.R.I. non ha, infatti, proceduto ad un vero e proprio recupero per ricalcolo del compenso incentivante erogato a ciascun lavoratore negli anni interessati dalla verifica ispettiva, pur avendo costoro percepito l’incentivo in misura superiore a quanto sarebbe spettato ove la parte datoriale avesse correttamente operato, in esatta applicazione delle regole della contrattazione nazionale e in osservanza dei vincoli di bilancio;

l’Ente, proprio ritenendo (sulla base di un parere reso dall’Avvocatura generale) che non potesse ricorrere un’ipotesi di erogazione sine titulo, a fronte di una prestazione lavorativa già resa, ha proceduto al recupero delle eccedenze indebitamente erogate per il passato attraverso la rimodulazione dei compensi accessori dovuti per gli anni dal 2006 al 2010;

7. tale riduzione e il conseguente recupero del compenso incentivante di cui all’art. 28, comma 1, lett. e) del c.c.n.l. 1998-2001, in relazione agli anni 2006 e 2007 e agli anni successivi, sono stati ritenuti legittimi in considerazione del fatto che il relativo diritto non si era sia perfezionato nei suoi elementi costitutivi, integrati dalla prestazione lavorativa, dalla compiuta verifica del raggiungimento degli obiettivi e dalla ripartizione dell’apposito fondo a seguito di accordo sindacale;

in relazione al Fondo 2005, per il quale l’Ente aveva versato degli acconti sospendendo, a seguito dell’intimazione del Collegio dei Revisori, il pagamento del saldo (che sarebbe dovuto avvenire nel maggio 2006) è stato, invece, ritenuto che essendosi già perfezionati tutti gli elementi costitutivi del diritto al compenso in oggetto anteriormente alla D.D. n. 6 del 2007, non vi erano i presupposti per negare il pagamento del residuo;

7. quindi, in base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, alla quale si ritiene di dare continuità, il motivo di ricorso è fondato afferendo la pretesa restitutoria agli anni successivi al 2005;

8. a tanto consegue l’accoglimento del secondo motivo di ricorso (dichiarato inammissibile il primo) e la cassazione della sentenza impugnata con rinvio restitutorio, anche ai fini del regolamento delle spese del giudizio di legittimità, allo stesso giudice che avrebbe dovuto pronunciare sull’appello (art. 383 c.p.c., comma 4) e cioè alla Corte d’appello di L’Aquila;

9. non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e dichiara inammissibile il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di L’Aquila.

Così deciso in Roma, all’adunanza Camerale, il 8 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021

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