LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –
Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 12941/2019 r.g. proposto da:
T.F., rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Paolo Marcozzi, con cui elettivamente domicilia in Roma, al Viale Trastevere n. 26, (presso lo studio Raffaelli – Scoccianti).
– ricorrente –
contro
M.R., rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, dall’Avvocato Corrado Serrani, con cui elettivamente domicilia in Roma, alla via Flaminia Vecchia n. 70, (presso lo studio dell’Avvocato Maria Chiara Morabito).
– controricorrente –
avverso la sentenza, n. 2341/2018, della CORTE DI APPELLO DI ANCONA depositata il 25/10/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 13/10/2021 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.
FATTI DI CAUSA
1. M.R. citò T.F., suo marito separato ma con lei convivente, dinanzi al Tribunale di Ancona affermandosene creditrice della complessiva somma di Euro 15.755,54, di cui: Euro 4.727,76, a titolo di conguaglio assegni di mantenimento dovutile dall’inizio della separazione (*****) fino all’ottobre 2007; Euro 2.232,48, per rimborso della quota del 50% delle spese straordinarie da lei anticipate per il mantenimento del figlio F.; Euro 2.211,00, per rimborso della quota del 50% dell’importo del mutuo contratto dai coniugi per i bisogni della famiglia e da lei estinto dopo la separazione; Euro 6.493,40, per rimborso della quota del 50% delle spese da lei sostenute, sempre dopo la separazione, per utenza telefonica, canone RAI, polizza incendio, contributi condominiali, manutenzione caldaia, rinnovo mobilio cucina dell’appartamento in comunione, nel quale aveva continuato ad abitare, con il marito, anche dopo la separazione. Espose, inoltre, che il T., nello stesso periodo, aveva provveduto, soltanto al pagamento delle spese per forniture di gas, acqua, energia elettrica e tassa rifiuti, per complessivi Euro 8.000,00. Chiese, dunque, la declaratoria di compensazione, fino alla reciproca concorrenza, del proprio suddetto credito di Euro 15.755,54 con il controcredito di Euro 4.000,00 vantato dal convenuto per rimborso della quota del 50% delle predette spese per utenze e tassa rifiuti e la condanna del convenuto medesimo al pagamento del residuo importo di Euro 11.755,64.
1.1. Costituitosi tempestivamente, il T. eccepì, in via pregiudiziale, la “incompetenza territoriale” del tribunale adito in favore della sua sezione distaccata di Osimo; contestò puntualmente l’avversa pretesa, chiedendone il rigetto; chiese, in via riconvenzionale principale, la condanna della M. alla liquidazione, in suo favore, del 50% del valore dell’autovettura Volkswagen Polo, tg. *****, in comproprietà, nonché, in via riconvenzionale subordinata, la condanna dell’attrice stessa al pagamento di Euro 3.002,50 a titolo di rimborso della quota del 50% delle somme da lui mutuate presso terzi, dopo la separazione, per esigenze della famiglia.
1.2. Disposta la trasmissione del fascicolo alla sezione distaccata di Osimo, il tribunale, all’esito dell’istruttoria svolta, con sentenza n. 35/2012: i) accertò la esistenza di un credito della M., per le ragioni dedotte in citazione, di complessivi Euro 15.410,65 e di un controcredito del T. per un totale di Euro 7.363,95, di cui Euro 4.000,00 a titolo di rimborso della quota del 50% delle spese per utenze e tassa rifiuti ed Euro 3.363,95 per rimborso della quota del 50% dell’importo di mutui da lui contratti in corso di convivenza per i bisogni della famiglia; ii) dichiarò la compensazione, fino alla reciproca concorrenza, fra i rispettivi crediti/debiti; iii) condannò il T. al pagamento, in favore dell’attrice, della residua somma di Euro 8.046,70, oltre agli interessi legali dalla data della domanda giudiziale al saldo; iv) rigettò la domanda riconvenzionale formulata dal convenuto in via principale; v) compensò integralmente le spese processuali.
2. Pronunciando sui gravami, principale ed incidentale, proposti contro questa decisione, rispettivamente, dalla M. e dal T., la Corte di appello di Ancona, con sentenza del 4 luglio/25 ottobre 2018, n. 2341, ha così statuito: “in parziale riforma della sentenza impugnata, rigetta la domanda riconvenzionale subordinata spiegata da T.F. e, per l’effetto, condanna quest’ultimo al pagamento, in favore di M.R., della somma ulteriore di Euro 3.363,95, oltre interessi al tasso legale dalla giudiziale domanda al saldo; conferma, nel resto, la gravata pronuncia; dichiara integralmente compensate le spese del grado”.
2.1. Per quanto qui di residuo interesse, quella corte ha opinato, in relazione al gravame incidentale del T.: i) quanto alla dedotta non correttezza del conteggio della rivalutazione dell’assegno di separazione, che “la deduzione, in linea di principio, seppure corretta, essendo l’assegno di mantenimento disposto per l’importo inizialmente fissato su cui è chiamata ad operare la rivalutazione con riferimento alla somma così come determinata, alla quale andrà aggiunto l’aumento sulla base degli indici Istat anno per anno verificatosi, tuttavia l’importo risultante dalla differenza tra i due metodi di calcolo appare, nella specie, di scarsissimo rilievo, essendo esplicitamente limitato l’interesse dell’appellante incidentale unicamente a stabilire “il giusto criterio di calcolo per la determinazione degli aggiornamenti Istat futuri”. Sotto altro, ma connesso, aspetto l’appellante incidentale fa riferimento alla somma da lui versata nel periodo di riferimento alla consorte a titolo di assegno di mantenimento pari ad Euro 28.800,00 “come provato in atti” anziché all’importo determinato dal giudice di prime cure, pari ad Euro 28.100,00, richiamando in proposito ricevute ed assegni che sono stati esclusi dal computo in forza di specifiche deduzioni formulate a pagina 2 della pronuncia impugnata che non hanno trovato la minima confutazione (…) da parte del T., ragion per cui, sotto tale aspetto il relativo motivo deve ritenersi inammissibile”; ii) circa il rimborso della quota del 50% relativo alle spese sostenute per la gestione della casa familiare, che “la circostanza che il T. abbia continuato a vivere presso tale abitazione (circostanza ammessa dallo stesso (…)) comporta la sostanziale correttezza del principio affermato dal Tribunale per cui i relativi oneri gravano sui coniugi in pari quota trattandosi di comproprietari che fruiscono dell’immobile. (…). Di conseguenza sono state correttamente imputate, nella misura del 50%, le spese relative all’utenza telefonica, al pagamento dei contributi condominiali e all’acquisto di una nuova cucina (risalendo quella precedente all’anno 1974), trattandosi di oneri che hanno trovato riscontro documentale, il cui assolvimento può essere correttamente imputato al possessore dell’originale delle relative ricevute di pagamento, dato che le stesse sono, normalmente, nella disponibilità del solvens; né il T. ha, in sostanza, asserito di aver effettuato il relativo pagamento, limitandosi all’affermazione della mancanza di prova che controparte avesse effettuato personalmente gli esborsi, non competendo a quest’ultima, comunque, di fornire anche la dimostrazione che la provvista necessaria all’adempimento sia stata da lei precostituita”; iii) con riguardo alla prospettata pretesa di ripartizione delle spese di gestione con i figli conviventi, “che è sufficiente osservare che tali spese non possono che gravare esclusivamente sui comproprietari dell’immobile, dato che nessun onere può essere posto a carico di altre persone di famiglia che ne fruiscono se non viene provato il titolo in base al quale viene legittimamente azionata una tale pretesa, tanto più in presenza di soggetti aventi diritto al mantenimento fino al raggiungimento dell’autosufficienza economica”; iv) quanto alle spese straordinarie sostenute dalla M. nell’interesse del figlio F., di cui il T. aveva avanzato domanda di rimborso per la quota del 50%, che “le spese in argomento si riferiscono al periodo 2003-2005 (riguardanti, in particolare, il pagamento del noleggio di un macchinario necessario a seguito di un intervento chirurgico alla mano; il pagamento di un’oblazione a titolo di estinzione del reato di cui all’art. 186 C.d.S.; il pagamento di cure odontoiatriche e tasse universitarie), epoca in cui erano ancora vigenti i provvedimenti temporanei ed urgenti adottati dal Presidente del Tribunale, essendo stato riconosciuto il venir meno del diritto al contributo soltanto in sede di sentenza di separazione pubblicata in data 27 novembre 2006”; v) circa, infine, la domanda riconvenzionale riguardante la liquidazione della quota del 50% dell’autovettura in comunione, che “il prospettato suo utilizzo esclusivo da parte della M., circostanza contestata da costei che ha asserito come, in realtà, il veicolo sia stato utilizzato da entrambi i coniugi, consente di confermare anche tale capo della pronuncia gravata, non essendovi dimostrazione di sorta della fruizione del mezzo soltanto da parte della comproprietaria, onere probatorio gravante sul deducente ex art. 2697 c.c.”.
3. Avverso questa sentenza ricorre per cassazione il T. sulla base di cinque motivi. Resiste, con controricorso, la M..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e/o falsa applicazione della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 5, comma 7 e correlativa trasgressione dell’art. 342 c.p.c.”, ascrive alla corte dorica di aver rigettato l’impugnazione incidentale proposta dal T. avverso il capo della sentenza di primo grado che aveva ritenuto corretti i conteggi della rivalutazione dell’assegno di mantenimento depositati dalla M., benché detta rivalutazione fosse stata ivi applicata sulla sorte rivalutata annualmente anziché sul capitale originario. Si assume che “…la singolare conversione a mero interpello esegetico, interinale alla qualità costitutiva del reclamo formale, risulta gratuita ed illegittima di fronte alla ben articolata e puntigliosa doglianza, nutrita, sul piano contabile, anche di un consistente quadro sinottico di comparazione (…). Con siffatta, sorprendente de qualificazione, si è arbitrariamente alterato il senso ed il significato della chiusa finale – atteso l’esiguo scarto finale acclarato – versata ad assicurare soltanto la fattualità “in fieri”…”.
1.1. Questa doglianza si rivela inammissibile atteso che, come recentemente ribadito da Cass. n. 25343 del 2021 (cfr., in motivazione, pag. 10 e ss.), il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione (cfr. Cass. n. 16700 del 2020. Si veda pure Cass., SU, n. 23745 del 2020, a tenore della quale, “in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa”).
1.1.1. La corte anconetana, peraltro, pur dando atto della fondatezza, in linea di principio, della dedotta non correttezza della modalità di calcolo della rivalutazione dell’assegno di separazione, ha precisato, tuttavia, che “…l’importo risultante dalla differenza tra i due metodi di calcolo appare, nella specie, di scarsissimo rilievo… – (Euro 5,76, come riconosciuto dallo stesso T. alla pag. 6 del suo ricorso. Ndr) – essendo esplicitamente limitato l’interesse dell’appellante incidentale unicamente a stabilire “il giusto criterio di calcolo per la determinazione degli aggiornamenti Istat futuri””: si fa riferimento, dunque, ad un’avvenuta “esplicita” limitazione dell’interesse dell’appellante nei termini appena esposti, la cui censura in questa sede, non corredata dalla indicazione, in ricorso, dello specifico tenore del motivo di gravame esaminato dalla corte distrettuale, si rivela, perciò solo, carente di autosufficienza.
1.2. Solo per mera completezza, quindi, si evidenzia che: i) una volta chiarito (come innegabilmente emerge dalla impugnata decisione) il criterio da utilizzarsi, in futuro, tra le parti per la rivalutazione dell’assegno di separazione, il credito residuo di Euro 5,76, ancora oggi invocato dal T., risulta di entità economica oggettivamente minima, così da far venir meno un effettivo, concreto interesse del menzionato ricorrente, ex art. 100 c.p.c., ad insistere sullo stesso, senza che da una siffatta conclusione ne derivi la violazione dell’art. 24 Cost., in quanto la tutela del diritto di azione va contemperata, per esplicita od anche implicita disposizione di legge, con le regole di correttezza e buona fede, nonché con i principi del giusto processo e della durata ragionevole dei giudizi ex art. 111 Cost. e art. 6 CEDU (cfr. Cass. n. 24691 del 2020; Cass. n. 4228 del 2015); nemmeno è stata specificamente impugnata l’ulteriore, autonoma ratio decidendi (la carenza di prova adeguata quanto all’effettiva somma versata dal T. per tale causale nel periodo in discussione) utilizzata dalla corte distrettuale per disattendere il corrispondente motivo di gravame dell’appellante incidentale, sicché deve trovare applicazione il principio secondo cui, ove la corrispondente motivazione della sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata sul punto, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in alcun caso l’annullamento, in parte qua, della sentenza (cfr., ex multis, Cass. n. 3194 del 2021; Cass. n. 15075 del 2018, in motivazione; Cass. n. 18641 del 2017; Cass. n. 15350 del 2017).
2. Il secondo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1292 e 1314 c.c., nonché dell’art. 315-bis c.p.c.”, assume la erroneità della sentenza impugnata per aver rigettato il gravame incidentale proposto dal T. avverso il capo della sentenza di primo grado recante la sua condanna al rimborso del 50% delle spese “domestiche” (utenze gas, luce, acqua, tassa rifiuti e manutenzioni ordinarie impianti) sostenute dalla M. e relative all’appartamento, in comproprietà, dove entrambi i coniugi avevano continuato a convivere dopo la loro separazione. Si sostiene, in sintesi, che le spese per i “servizi di utenza” dell’appartamento adibito ad abitazione della famiglia devono essere ripartiti tra tutti i conviventi e, quindi, nella specie, fra tutti i quattro membri della famiglia stessa, a prescindere dalla titolarità del diritto di proprietà dell’abitazione.
2.1. Anche questa doglianza si rivela complessivamente insuscettibile di accoglimento.
2.2. E’ innegabile, infatti, che le spese per “servizi di utenza”, quali quelle per gas, luce ed acqua, nonché le annuali tasse rifiuti (unici profili su cui il ricorrente ha espressamente limitato la sua odierna impugnazione), debbano essere ripartite al 50% nell’ipotesi di coniugi separati ma comunque conviventi nello stesso immobile di cui sono comproprietari. Nella specie, peraltro, la M. ha dichiarato (cfr. pag. 10 del controricorso) che tali voci di spesa non rientravano tra quelle da lei reclamate perché sostenute proprio dal T. e compensate, per il 50% con il controcredito invocato dalla odierna controricorrente.
2.2.1. Quanto, poi, alle spese di “manutenzione”, reclamate – pro quota – dalla M., benché limitatamente a quelle per la caldaia, si è evidentemente al cospetto di un esborso concernente non i consumi, bensì la manutenzione dell’impianto della casa di abitazione, per cui – ai sensi degli artt. 1100 e 1104 c.c. – esso grava sui proprietari che ivi coabitano. Eventuali conviventi ulteriori (nella specie i figli della coppia separata) non proprietari, invece, non sono obbligati a contribuire nelle spese necessarie per la conservazione e per il godimento della cosa, salvo diverso titolo, neppure dedotto davanti al giudice di merito ed in questa sede. Il tutto, senza dimenticare la carenza di autosufficienza della doglianza nella misura in cui nemmeno consente di verificare se i figli conviventi della coppia T. – M. fossero, all’epoca delle spese in questione, economicamente autosufficienti.
3. Inammissibile è il terzo motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’artt. 815 c.c. e disposizioni speciali ivi richiamate, nonché trasgressione dell’art. 2697 c.c.”, volto a denunciare l’erroneità della sentenza impugnata per aver respinto la domanda riconvenzionale del T. (riproposta in sede di appello incidentale) di liquidazione della quota del 50% del valore di mercato dell’autovettura in comunione, per difetto di prova del dedotto utilizzo esclusivo da parte della M.. Si sostiene che la prova della fruizione esclusiva dell’autovettura da parte della odierna controricorrente si ricaverebbe dagli atti, poiché scaturirebbe dal fatto che quest’ultima mai aveva rivendicato, unitamente alle altre poste, il rimborso del 50% delle spese di circolazione del veicolo (polizza RCA, bollo, carburante, pneumatici, arredo abitacolo, olio motore, riparazioni varie, carrozzeria, manutenzioni ordinarie e straordinarie, etc.).
3.1. Una siffatta doglianza, però, oblitera completamente che: i) la violazione dei precetto di cui all’art. 2697 c.c., si configura soltanto ove il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di un’eventuale incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia ritenuto assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. n. 17313 del 2020; Cass. n. 19064 del 2006; Cass. n. 2935 del 2006), nella specie non prospettato (e comunque da rapportarsi – in thesi – al testo novellato di cui alla citata norma, introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis, risultando impugnata una sentenza resa il 25 ottobre 2018); la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ivi formalmente proposta, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), posto che non è consentita in sede di legittimità una valutazione delle prove ulteriore e diversa rispetto a quella compiuta dal giudice di merito, a nulla rilevando che quelle prove potessero essere valutate anche in modo differente rispetto a quanto ritenuto dal giudice di merito (cfr., ex multis, Cass. n. 1636 del 2020; Cass. n. 7394 del 2010; Cass. n. 13954 del 2007; Cass. n. 12052 del 2007; Cass. n. 7972 del 2007; Cass. n. 5274 del 2007; Cass. n. 2577 del 2007; Cass. n. 27197 del 2006; e così via, sino a risalire a Cass. n. 1674 del 1963, la quale affermò il principio in esame, poi ritenuto per sessant’anni: e cioè che “la valutazione e la interpretazione delle prove in senso difforme da quello sostenuto dalla parte è incensurabile in Cassazione”). Non spetta, invero, a questa Corte condividere, o meno, la ricostruzione fattuale della decisione impugnata, né procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, onde sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudici di merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008).
4. Inammissibile è pure il quarto motivo di ricorso, rubricato “Violazione e falsa applicazione dell’art. 193 c.c.” e volto a contestare la sentenza impugnata per aver respinto il gravame incidentale proposto dal T. contro la decisione del tribunale che lo aveva condannato al rimborso del 50% della spesa sostenuta dalla M. per l’acquisto della nuova cucina che arreda l’appartamento in comproprietà, dove entrambi i coniugi separati risiedono. Si sostiene che tale acquisto, per effetto della sopravvenuta cessazione del regime patrimoniale della comunione dei beni, avrebbe dovuto impegnare soltanto il soggetto acquirente. In ogni caso, anche a voler ritenere ancora attuale il menzionato regime, sarebbe mancato, nella specie, il carattere “essenziale ed insostituibile” dell’acquisto predetto per i bisogni familiari.
4.1. Di una siffatta questione, però, non vi è traccia nell’impugnata sentenza (nemmeno censurata di omessa pronuncia a questo proposito), avendo la corte territoriale, come già il giudice di primo grado, disatteso la doglianza dell’appellante incidentale quanto all’obbligo di rimborso suddetto non già alla stregua dell’art. 193 c.c., bensì perché entrambi i coniugi separati erano comproprietari dell’immobile utilizzato da loro come abitazione comune ed al quale era stato destinato il mobilio di cucina acquistato dalla M..
4.1.1. In questo senso, allora, l’odierna doglianza si palesa nuova e, perciò, inammissibile, atteso che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio (cfr., ex aliis, Cass. n. 20694 del 2018; Cass. n. 15430 del 2018; Cass. n. 23675 del 2013).
5. Il quinto motivo di ricorso, infine, denuncia la “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 147-148 c.c.”, per avere la sentenza impugnata respinto, erroneamente, la censura proposta dal T. contro la statuizione di primo grado che lo aveva condannato al rimborso del 50% delle spese straordinarie sostenute dalla M. nell’interesse del figlio F.. Si assume che si trattava di spese autodeterminate dalla stessa odierna controricorrente e relative a prole già maggiorenne ed autosufficiente.
5.1. Questa doglianza si rivela infondata, atteso che, come si è già riferito (cfr. p. 2.2. dei “Fatti di causa”), la corte territoriale ha spiegato che trattavasi di spese relative al “periodo 2003-2005 (…), epoca in cui erano ancora vigenti i provvedimenti temporanei ed urgenti adottati dal Presidente del Tribunale, essendo stato riconosciuto il venir meno del diritto al contributo soltanto in sede di sentenza di separazione pubblicata in data 27 novembre 2006”. Pertanto, si era al cospetto di spese straordinarie (mediche, di istruzione, etc.) sostenute dalla M. nell’interesse del figlio, all’epoca, evidentemente, non ancora economicamente autosufficiente: spese alla cui contribuzione, dunque, l’odierno ricorrente non poteva sottrarsi e rimaste prive di qualsivoglia puntuale contestazione circa la loro concreta entità.
6. In conclusione, il ricorso del T. deve essere respinto, restando le spese di questo giudizio di legittimità regolate dal principio di soccombenza, altresì dandosi atto, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto, per il suo ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.
7. Va, disposta, infine, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
PQM
La Corte rigetta il ricorso del T. e lo condanna al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il suo ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Dispone, per l’ipotesi di diffusione del presente provvedimento, l’omissione delle generalità e degli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di cassazione, il 13 ottobre 2021.
Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2021