LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 28405/2015 proposto da:
I.N.P.G.I. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA DEI GIORNALISTI ITALIANI
“GIOVANNI AMENDOLA”, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLE MILIZIE 34, presso lo studio dell’avvocato MARCO PETROCELLI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
ARNOLDO MONDADORI EDITORE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BERTOLONI 44, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI BERETTA, che la rappresenta e difende unitamente dagli avvocati FABRIZIO CONTE, LEONARDO RUSSI, GIOVANNI BERETTA.
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 7896/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 01/12/2014 R. G. N. 2531/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/06/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO;
il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE Giovanni, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza depositata il 1.12.2014, la Corte d’appello di Roma ha confermato, per quanto qui rileva, la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato prescritti i crediti per contributi previdenziali vantati dall’INPGI nei confronti di Arnoldo Mondadori Editore s.p.a. e relativi al periodo ottobre 2001-giugno 2002, anteriore al quinquennio dalla notifica del verbale ispettivo con cui l’ente previdenziale aveva contestato le omissioni contributive.
La Corte, in particolare, ha ritenuto che nessuna efficacia interruttiva della prescrizione dei contributi potesse attribuirsi alla denuncia compiuta dalla lavoratrice della sussistenza di un’omissione contributiva in suo danno e che all’uopo non potessero giovare gli arresti di questa Corte che, con riguardo alla previsione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, avevano affermato che non era necessario che la denuncia venisse comunicata al datore di lavoro, trattandosi di pronunce che concernevano la diversa efficacia della denuncia del lavoratore ai fini del prolungamento del termine prescrizionale di dieci anni per contributi che fossero scaduti anteriormente al 31.12.1995.
Avverso tali statuizioni ha proposto ricorso per cassazione l’INPGI, deducendo tre motivi di censura. Arnoldo Mondadori Editore s.p.a. ha resistito con controricorso. Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di censura, l’Istituto ricorrente denuncia nullità della sentenza ex art. 112 c.p.c., per avere la Corte ritenuto che non fosse in discussione l’applicabilità, in specie, del termine quinquennale di prescrizione dei contributi: ad avviso di parte ricorrente, infatti, dal tenore dell’atto di appello si evincerebbe con chiarezza che la rilevanza della denuncia della lavoratrice era stata prospettata al fine di invocare il più lungo termine prescrizionale di dieci anni.
Con il secondo motivo, si lamenta violazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10, per avere la Corte territoriale ritenuto che la denuncia del lavoratore rileverebbe al solo fine di impedire l’abbreviazione del termine decennale per contributi scaduti prima del 31.12.1995, ma richiesti successivamente a tale data, mentre la prescrizione dei contributi maturati a far data dal 1.1.1996 potrebbe essere interrotta ex art. 2943 c.c., solo da atti compiuti dal titolare del diritto al loro pagamento: ad avviso di parte ricorrente, infatti, l’efficacia della denuncia del lavoratore in relazione a contributi maturati dopo il 1.1.1996 si manifesterebbe nel mantenere “il termine decennale, per tutti i contributi ricompresi nel quinquennio precedente la denuncia” (così il ricorso per cassazione, pag. 14).
Con il terzo motivo, il ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, art. 116 c.p.c., comma 1 e art. 416 c.p.c., comma 3, per avere la Corte di merito ritenuto che non si rinvenissero in atti elementi idonei a stabilire con certezza la data della denuncia della lavoratrice in danno della quale erano stati omessi i contributi oggetto del giudizio, obliterando il fatto che già tra gli allegati al ricorso per ingiunzione (riprodotti in giudizio unitamente alla memoria di costituzione in primo grado) figurava la denuncia in questione, il cui contenuto (e segnatamente la data di presentazione all’Istituto) non era stato oggetto di contestazione ex adverso.
Ciò posto, il primo e il secondo motivo possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione dell’intima connessione delle censure svolte, e sono infondati: questa Corte, infatti, ha recentemente chiarito, sulla scorta di Cass. S.U. n. 15296 del 2014, non soltanto che il raddoppio del termine quinquennale di prescrizione, previsto dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, per il caso di denuncia del lavoratore, non si applica ai crediti per contributi previdenziali maturati in epoca successiva all’1.1.1996, avendo la denuncia in questione unicamente l’effetto di mantenere il termine decennale per i crediti maturati anteriormente a tale data, ma soprattutto che l’autonomia del rapporto contributivo rispetto a quello previdenziale esclude in radice che all’anzidetta denuncia possa essere attribuito il valore di atto interruttivo della prescrizione, trattandosi piuttosto di un atto cui l’espressa volontà di legge riconnette l’effetto di mantenere il termine decennale al fine di correggere effetti negativi derivanti dalla repentina transizione dal regime della prescrizione decennale a quella quinquennale (così Cass. n. 5820 del 2021, alla cui ampia motivazione espressamente si rinvia).
Pertanto, assorbito il terzo motivo, il ricorso va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza.
Tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 2.200,00, di cui Euro 2.000,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021