LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIA Lucia – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 12585/2015 proposto da:
C.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TERENZIO, 21, presso lo studio dell’avvocato SERGIO SPATOLA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato SALVATORE VITTORIO;
– ricorrente –
contro
AZIENDA USL N. ***** DI VIAREGGIO, in persona del Direttore Generale e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 38, presso lo studio dell’avvocato ROCCO AGOSTINO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIULIO GUARNIERI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 803/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, emessa il 13/11/2014 R.G.N. 1036/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/04/2021 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;
il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.
FATTI DI CAUSA
1. C.P. ha agito in giudizio al fine di ottenere l’accertamento, con le pronunce conseguenti, dell’erronea applicazione, da parte dell’Azienda USL n. ***** di Viareggio, dei criteri relativi all’attribuzione delle fasce economiche previste dal c.c.n.l. Comparto Sanità 20 settembre 2001 (Biennio economico 2000/2001) e dal Contratto Integrativo Aziendale del 4 ottobre 2000.
1.1. In particolare, la ricorrente ha censurato l’applicazione fatta dalla datrice di lavoro dell’art. 9 c.c.n.l. e dell’art. 7 Allegato B del Contratto Integrativo Aziendale, posto che l’Azienda, nel disciplinare il passaggio della ricorrente dalla categoria C (fascia C2) alla D, ne aveva abbattuto, nella misura del 15%, l’anzianità di servizio, così determinando l’erroneo inquadramento nella fascia D1 anziché in quella D2.
2. L’adito Tribunale di Lucca ha respinto il ricorso.
3. La Corte di appello di Firenze, nel confermare la sentenza di primo grado, ha rilevato come il passaggio di categoria, diversamente da quanto sostenuto dalla lavoratrice, non configurasse una pura e semplice operazione di trasformazione del profilo professionale (da “operatore professionale sanitario” a “collaboratore professionale sanitario”), non superiore né inferiore al precedente, avendo invece i contraenti collettivi, nell’esercizio della loro autonomia, inteso disporre, con l’art. 9 c.c.n.l., la promozione alla categoria superiore di un intero gruppo di lavoratori adibiti a specifiche mansioni nel settore sanitario, allo scopo di far loro conseguire benefici anche retributivi.
3.1. Si era trattato, ad avviso della Corte di appello, di una vera e propria “promozione” di tali lavoratori, senza concorso e senza selezione, se pure l’art. 9 del c.c.n.l. recasse l’ambigua rubrica “Trasformazione dei posti e passaggi” e contenesse, all’interno delle proprie previsioni, la formula “assumono (gli operatori professionali del ruolo sanitario) la denominazione” della cat. D; e che si trattasse, nella specie, di una effettiva “promozione automatica” era con certezza desumibile, nella lettura della Corte, dalla circostanza che le categorie C e D erano già previste dalla contrattazione collettiva nazionale del 1999 e che anche la successiva contrattazione nazionale del 2000 aveva continuato a disciplinare dettagliatamente le categorie A, B, B super, C, D, D super, con relative fasce e posizioni economiche.
4. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la lavoratrice, con unico motivo, cui ha resistito l’Azienda USL n. 12 di Viareggio con controricorso.
5. Il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il motivo proposto, deducendo la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 8 e 9 c.c.n.l. Comparto Sanità (Biennio economico 2000-2001) nonché dell’art. 5 del c.c.n.l. Integrativo, in relazione agli artt. 1362 c.c. e segg., la ricorrente censura la sentenza impugnata per non avere interpretato la norma specifica (art. 9) valutandola all’interno del testo contrattuale considerato nel suo complesso; in particolare, la ricorrente si duole che la Corte di merito, in palese violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.: – non avesse considerato che dell’art. 9, comma 2 c.c.n.l. Comparto sanità (Biennio economico 2000-2001) le parole “trasformazione dei posti”, contenute nella rubrica, e “assumono la denominazione” (di “collaboratore professionale sanitario” – cat. D) sono specificate dalle parole “nei profili e discipline già corrispondenti a quella della categoria di provenienza”; – non avesse considerato che il comma 1 dello stesso articolo fa sempre riferimento alla parola “trasformazione” e afferma testualmente che si tratta di “modifiche” alle categorie e non di deroghe alle norme contrattuali previste per i passaggi dall’una all’altra; – non avesse tenuto conto del rinvio, contenuto dell’art. 9, comma 1, all’art. 8 del medesimo c.c.n.l., il quale specifica le motivazioni sottese alla “trasformazione dei posti”; – non avesse preso in considerazione il comma 5 (dell’art. 9), là ove era previsto, per i vincitori di concorso successivi, il diretto inquadramento nella categoria D; – non avesse inoltre valutato l’art. 5 c.c.n.l. Integrativo del c.c.n.l. Comparto Sanità, che, dando attuazione all’art. 9 di quest’ultimo, aveva disposto la soppressione del profilo professionale di “operatore professionale sanitario” dalle declaratorie di cui alla categoria C.
2. Il motivo è fondato.
3. Si deve premettere che, secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte, “In tema di interpretazione del contratto – che costituisce operazione riservata al giudice di merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizio di motivazione – ai fini della ricerca della comune intenzione dei contraenti, il primo e principale strumento è rappresentato dal senso letterale delle parole e delle espressioni utilizzate nel contratto, con la conseguente preclusione del ricorso ad altri criteri interpretativi, quando la comune volontà delle parti emerga in modo certo ed immediato dalle espressioni adoperate, e sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa. Il rilievo da assegnare alla formulazione letterale deve essere peraltro verificato alla luce dell’intero contesto contrattuale, e le singole clausole vanno considerate in correlazione tra loro, dovendo procedersi al loro coordinamento a norma dell’art. 1363 c.c. e dovendosi intendere per “senso letterale delle parole” tutta la formulazione letterale della dichiarazione negoziale, in ogni sua parte ed in ogni parola che la compone, e non già in una parte soltanto, quale una singola clausola di un contratto composto di più clausole, dovendo il giudice collegare e raffrontare tra loro frasi e parole al fine di chiarirne il significato” (Cass. n. 28479/2005; conforme, fra le molte, Cass. n. 4176/2007).
3.1. E’ stato poi ripetutamente affermato che, sebbene la ricostruzione della comune intenzione delle parti contraenti debba essere, in primo luogo, operata sulla base del criterio dell’interpretazione letterale delle clausole, assume valore rilevante anche il criterio logico-sistematico di cui all’art. 1363 c.c., che impone di desumere la volontà manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa, tenendosi, altresì, conto del comportamento, anche successivo, delle parti stesse (Cass. n. 20294/2019; conformi, fra altre: n. 16181/2017; n. 10434/2006); con la precisazione che, imponendo l’art. 1363 c.c., di procedere al coordinamento delle varie clausole e di interpretarle complessivamente le une a mezzo delle altre, così da attribuire a ciascuna di esse il senso risultante dall’intero negozio, “la violazione del principio di interpretazione complessiva delle clausole contrattuali si configura non soltanto nell’ipotesi della loro omessa disamina, ma anche quando il giudice utilizza esclusivamente frammenti letterali della clausola da interpretare e ne fissa definitivamente il significato sulla base della sola lettura di questi, per poi esaminare ex post le altre clausole, onde ricondurle ad armonia con il senso dato aprioristicamente alla parte letterale, oppure espungerle ove con esso risultino inconciliabili” (Cass. n. 9755/2011).
4. A tali canoni interpretativi la sentenza di appello non si è manifestamente attenuta, in quanto: (a) non ha preso in esame, quanto all’art. 9 c.c.n.l. Comparto Sanità del 20 settembre 2001 (II Biennio economico 2000-2001), il complessivo tenore della disposizione collettiva (in particolare, il contenuto del comma 2, nella completezza della sua formulazione, e la previsione di cui al comma 5), limitandosi ad isolarne talune espressioni e ad esse attribuendo una connotazione di “ambiguità” semantica, peraltro senza alcuna reale motivazione; (b) ha trascurato una lettura della disposizione in coordinamento con il precedente art. 8, nonostante quest’ultimo fosse esplicitamente richiamato nel testo dell’art. 9; (c) non ha considerato il comportamento complessivo dei contraenti, anche posteriore alla conclusione del contratto collettivo, in particolare l’art. 5 del c.c.n.l. Integrativo del c.c.n.l. Comparto Sanità.
5. In conclusione, accolto il ricorso, l’impugnata sentenza n. 803/2014 della Corte di appello di Firenze deve essere cassata e la causa rinviata, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, alla stessa Corte in diversa composizione, che provvederà a fare applicazione dei principi sopra richiamati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Firenze in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021
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