LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7355-2019 proposto da:
C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ATTILIO REGOLO N. 19, presso lo studio dell’avvocato MARILISA PRESTANICOLA, rappresentata e difesa dall’avvocato DOMENICO RUSSELLO, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
C.G., C.M., D.N.A., D.N.G., D.N.S., DI.NI.GI., C.A.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 1718/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 06/09/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/05/2021 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE D.N.A., D.N.G. e D.N.S., convenivano in giudizio C.A., C.G. e C.M. deducendo che, giusta testamento olografo del 17/9/1998, erano stati nominati eredi universali di d.n.g., deceduto il *****, ma che le convenute rivendicavano la qualità di eredi universali in virtù di altro testamento olografo del 28/10/2007.
Sostenevano che il secondo testamento era apocrifo e chiedevano dichiararsene la nullità, con la conseguente prevalenza della loro delazione.
Integrato il contraddittorio nei confronti di Di.Ni.Gi. e di C.A., e nella resistenza delle convenute, il Tribunale di Agrigento con sentenza del 12/4/2015, sebbene recante come data di deposito quella del 19/3/2015, dichiarava la falsità del testamento favorevole alle convenute, le quali proponevano appello avverso tale sentenza.
La Corte d’Appello di Palermo, con la sentenza n. 1718 del 6 settembre 2018, rigettava il gravame.
A tal fine riteneva che fosse in parte fondata l’eccezione di giudicato esterno sollevata dagli appellati i quali avevano prodotto copia della sentenza penale della Corte d’Appello di Palermo, divenuta irrevocabile in data 6/9/2016, con la quale pur dichiarando di non doversi procedere nei confronti delle appellanti per intervenuta prescrizione, erano confermate le statuizioni civili in relazione ai reati di cui agli artt. 489 e 491 c.p., dei quali erano imputate le convenute.
La sentenza penale che conferma, pur avendo dichiarato estinto il giudizio, la condanna in favore della parte civile spiega quindi efficacia di giudicato anche in sede civile, in ordine all’affermazione di responsabilità, che non può successivamente essere contestata in quella sede.
Ciò comporta che risulta accertata con efficacia di giudicato la falsità del testamento del quale intendevano avvalersi le appellanti.
Quanto alla circostanza che in sede penale, a fronte dell’assunzione della qualità di imputate di tutte le appellanti, non vi era stata costituzione di parte civile anche di D.N.S., la sentenza rilevava che in suo favore il giudicato spiegava efficacia riflessa, anche perché non poteva ammettersi un accertamento diverso a fronte di un’affermazione di verità contenuta nel giudicato penale.
Avverso tale sentenza propone ricorso C.A. sulla base di due motivi.
Gli intimati non hanno svolto difese in questa fase.
In via preliminare si rileva che il ricorso non risulta correttamente notificato a C.G. e C.M., in quanto, sebbene le stesse fossero parti appellanti e rappresentate da un difensore in grado di appello, il ricorso è stato loro notificato personalmente, anziché presso il difensore. Tuttavia, occorre ribadire che il rispetto del diritto fondamentale ad una ragionevole durata del processo (derivante dall’art. 111 Cost., comma 2, e della Convenzione Europea dei diritti del l’uomo e delle libertà fondamentali, artt. 6 e 13) impone al giudice (ai sensi degli artt. 175 e 127 c.p.c.) di evitare e impedire comportamenti che siano di ostacolo ad una sollecita definizione dello stesso, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di attività processuali e formalità superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo e, in particolare, dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio, espresso dall’art. 101 c.p.c., da sostanziali garanzie di difesa (art. 24 Cost.) e dal diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (art. 111 Cost., comma 2) dei soggetti nella cui sfera giuridica l’atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti (Cass. 17 giugno 2013 n. 15106; Cass. 8 febbraio 2010 n. 2723; Cass., Sez. Un., 3 novembre 2008, n. 26373; Cass., Sez. 3, 7 luglio 2009, n. 15895; Cass., Sez. 3, 19 agosto 2009, n. 18410; Cass., Sez. 3, 23 dicembre 2009, n. 27129).
In applicazione di detto principio, essendo il presente ricorso (per le ragioni che andranno ad esporsi nel prosieguo) prima facie infondato, appare superflua la fissazione di un termine per la rinnovazione della sua notifica alle dette parti, atteso che la concessione di esso si tradurrebbe, oltre che in un aggravio di spese, in un allungamento dei termini per la definizione del giudizio di cassazione senza comportare alcun beneficio per la garanzia dell’effettività dei diritti processuali delle parti.
Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 651 e 578 c.p.p., nonché dell’art. 2043 c.c., in relazione ai limiti di efficacia del giudicato penale in ordine al giudizio civile.
Si deduce che è erronea l’affermazione della Corte distrettuale che ha sostenuto che la sentenza di proscioglimento per prescrizione nel processo penale spieghi efficacia vincolante in sede civile.
La doglianza è evidentemente inammissibile ex art. 360 bis c.p.c., n. 1.
Non si contesta il principio applicato dalla Corte d’Appello secondo cui, anche in caso di pronuncia agli effetti civili ex art. 578 c.p.p., l’accertamento a tali fini dei fatti che avrebbero fondato la responsabilità penale delle imputate, spieghi efficacia tra le parti partecipi del processo penale, anche nel processo civile (principio sul quale si veda Cass. n. 5660/2018; Cass. n. 2083/2013), ma invece si sostiene che, pur non avendo proposto impugnazione avverso la sentenza emessa in sede penale, la medesima sarebbe del tutto immotivata e quindi non potrebbe spiegare la dedotta efficacia di giudicato.
La doglianza mira però a contrastare l’efficacia di giudicato che ha ormai assunto la sentenza penale, con efficacia anche in sede civile (così anche Cass. n. 14921/2010), volendosi in tal modo, una volta esaurita la possibilità di contestazione della correttezza della decisione nelle opportune sedi giudiziarie, porre in discussione la definitività ed irrevocabilità degli accertamenti, laddove l’efficacia del giudicato consiste proprio nell’esigenza di precludere per il futuro ogni futura contestazione.
Il secondo motivo di ricorso denuncia sempre la violazione degli artt. 651 e 578 c.p.p., nella parte in cui la Corte d’Appello ha ritenuto di estendere gli effetti del giudicato penale anche a D.N.S. che però non era costituito parte civile nel processo penale, e ciò in violazione dei limiti soggettivi del giudicato.
Anche tale motivo è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c., n. 1.
Ed, invero se è evidente che (Cass. n. 19337/2017) in tema di rapporti tra giudizio penale e giudizio civile, la sentenza penale che abbia accertato la non autenticità di un documento, in quanto falsamente formato, ha efficacia di giudicato, ai sensi dell’art. 654 c.p.p., nel giudizio civile, pendente tra le stesse parti, avente ad oggetto il credito al quale quel documento si riferisce, controvertendosi intorno ad un diritto il cui riconoscimento dipende, in tutto o in parte, dagli stessi fatti materiali di falsificazione rilevanti ai fini della decisione penale (in senso conforme Cass., n. 8303/2015), ciò rende evidente come, dipendendo il presente giudizio dall’accertamento della falsità del testamento favorevole alla ricorrente, il giudicato formatosi in sede penale rilevi anche ai fini civili.
Tuttavia, accanto all’efficacia diretta, che riguarda le parti che hanno preso parte al processo nel quale si è formato il giudicato, si ammette anche la possibilità di invocare l’efficacia riflessa come nel caso in cui (cfr. Cass. n. 18062/2019) sussista un nesso di pregiudizialità – dipendenza fra situazioni giuridiche, e quando la sentenza contenga l’affermazione di una verità che non ammette un diverso accertamento ed il terzo non vanti un diritto autonomo rispetto a quello su cui il giudicato stesso è intervenuto (in senso conforme Cass. n. 5411/2019, in relazione al giudicato formatosi in un precedente processo, ove era stata dichiarata l’indegnità a succedere dell’erede del debitore, giudicato che si è ritenuto abbia un’efficacia riflessa anche nei confronti del creditore del “de cuius” il quale, rimasto estraneo al primo giudizio, aveva convenuto, in seguito, il detto erede per ottenere il pagamento di quanto dovuto dal defunto).
Nella fattispecie peraltro l’efficacia di giudicato della sentenza penale è invocata proprio da chi non vi aveva partecipato, per non essersi costituito come parte civile, mostrando in tal modo di volersi avvalere degli accertamenti ivi compiuti, il che esclude che ricorra la dedotta violazione, atteso che il limite soggettivo dell’efficacia di giudicato funge da strumento di tutela per i soggetti estranei e non può invece essere opposto da chi invece era partecipe al giudizio nel quale è intervenuto. Peraltro, la decisione gravata risulta essersi conformata al principio espresso da questa Corte (Cass. n. 9070/1999), secondo cui per effetto dell’art. 654 c.p.p. vigente – così come a norma dell’art. 29 di quello abrogato, nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte Cost. n. 55 del 1971 – la declaratoria della falsità di un documento, che sia stata resa nel corso di un procedimento penale (art. 537 c.p.p., e artt. 380 e 480 di quello abrogato) instaurato a carico del presunto autore di detta falsità, non può spiegare autorità di giudicato nel giudizio civile nei confronti dei terzi, che siano rimasti estranei a quel procedimento penale. Tale principio, però, non impedisce di ritenere che la sentenza penale stessa costituisce comunque un documento, dal quale il giudice può trarre elementi di giudizio, sia pure non vincolanti, sicché, ancorché in via di efficacia riflessa, ben poteva ritenersi accertata la falsità nei confronti di tutte le parti appellate.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Nulla per le spese atteso che gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, art. 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021
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