LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 13583-2020 proposto da:
Z.G., P.V., domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato NATALE MARCHESE;
– ricorrente –
contro
M.G., T.G., domiciliate in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentate e difese dall’avvocato GIOVANNI RAUDINO;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 86/2020 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 14/01/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 24/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE GRASSO.
FATTO E DIRITTO
ritenuto che la vicenda, per quel che ancora qui residua d’utilità, può riassumersi nei termini seguenti:
– P.V. e Z.G. citarono in giudizio M.G. con “actio negatoria servitutis”, chiedendo che fosse escluso il diritto vantato dalla convenuta di servitù di passaggio e di attingimento d’acqua da una cisterna;
– il Tribunale rigettò la domanda e affermò il diritto di servitù di passaggio e di attingimento in favore della convenuta;
– la Corte d’appello di Catania, con la sentenza di cui in epigrafe, rigettò l’impugnazione proposta da P.V. e Z.G., sulla base, in sintesi, delle seguenti considerazioni:
– D.R. e T.G., con atto del 1971, acquistarono da B.A. e B.A.L. il compendio immobiliare e la comproprietà della stradella d’accesso; Z.G., con atto del 1983, acquistò dal D. e dalla T. fabbricato con la pertinente cisterna; M.G., con atto del 2002, acquistò dal D. e dalla T. fabbricato;
– dall’atto del 1983 non era dato trarre che alla Z. fosse stata trasferita anche la quota di comproprietà della stradella d’accesso, in quanto l’indicazione dell’esistenza di essa nell’atto aveva il solo scopo di descrivere l’immobile trasferito e le “modalità di accesso allo stesso”;
– sulla base anche degli accertamenti svolti dal ctu era da ritenere che l’originario proprietario avesse creato fra i due fondi di sua proprietà una oggettiva situazione di servizio, persistente fino al momento del trasferimento;
– analogamente andava reputato per la cisterna, la quale, pur di proprietà della parte appellante, era stata posta dall’unico primigenio proprietario al servizio comune dei suoi fondi;
ritenuto che gli insoddisfatti appellanti ricorrono sulla base di unitaria censura e che la controparte resiste con controricorso, ulteriormente illustrato da memoria;
ritenuto che i ricorrenti denunziano violazione o falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, addebitando alla sentenza d’appello di nona avere correttamente interpretato “quanto risultante dagli atti dominicali del 7.9.1971 e del 1.7.1983 e della ctu” assumendo che:
– con l’atto del 1983 la Z. aveva acquistato non solo i fabbricati, ma anche “la comproprietà del cortile d’ingresso e il diritto di attingere” dalla cisterna;
– la prova che i D.- T., con l’atto del 1983, avessero ceduto il diritto esclusivo di servitù di passaggio in favore dei ricorrenti doveva trarsi dal fatto che i venditori si erano obbligati a raggiungere la loro proprietà da un altro percorso, che avrebbero dovuto ricavare sul retro del loro immobile;
– quanto alla cisterna la Corte locale aveva errato avendo affermato “che in assenta di una manifestazione negoziale contraria ovvero di una modifica dello stato dei luoghi, da parte del precedente unico proprietario, lo stato di servigio si sia mantenuto, seppure nella mutata titolarità soggettiva del fondo servente (part. 288) e del fondo dominante (part. 290), con ciò costituendosi un diritto di servitù di attingimento in favore della M.”;
considerato che la doglianza non supera il vaglio d’ammissibilità per concorrere di una pluralità di ragioni:
a) deve rilevarsi lo scopo eccentrico della denunziata violazione dell’art. 116 c.p.c., diretto a contestare il vaglio probatorio, poiché, come noto, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., da ultimo, Sez. 6-1, n. 27000, 27/12/2016, Rv. 642299), stante che il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (Sez. 3, n. 23940, 12/10/2017, n. 645828);
b) questa Corte ha più volte chiarito che ove il ricorrente abbia lamentato un travisamento della prova, solo l’informazione probatoria su un punto decisivo, acquisita e non valutata, mette in crisi irreversibile la struttura del percorso argomentativo del giudice di merito e fa escludere l’ipotesi contenuta nella censura; infatti, il travisamento della prova implica non una valutazione dei fatti, ma una constatazione o un accertamento che quella informazione probatoria, utilizzata in sentenza, è contraddetta da uno specifico atto processuale (Cass. n. 3796/2020, Rv. 657055; conf., ex multis, Cass. nn. 1163/2020, 28174/2018, 10749/2015);
c) nel caso di specie la Corte etnea, con motivazione coerente, perfettamente ripercorribile, non contraddetta da alcuna acquisizione decisiva non valutata, facendo legittimo esercizio del proprio potere di vaglio probatorio, sulla base dei titoli negoziali e degli accertamenti esperiti dal ctu, ha affermato sussistere servitù prediale e d’attingimento dalla cisterna per destinazione del padre di famiglia;
d) l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (ex multis, cfr. S.U. n. 8053, 7/4/2014, Rv. 629830 e Rv. 629833; Sez. 6, n. 21257, 8/10/2014, Rv. 632914); non residuano spazi per ulteriori ipotesi di censure che investano il percorso motivazionale, salvo, appunto, l’ipotesi, che qui non ricorre e, peraltro, neppure viene adombrata, del difetto assoluto di motivazione;
e) la evocazione della regola sull’onere probatorio perciò solo non determina nel giudizio di legittimità lo scrutinio della questione astrattamente evidenziata sul presupposto che l’accertamento fattuale operato dal giudice di merito giustifichi la prospettata violazione di legge, essendo, all’evidenza, occorrente che l’accertamento fattuale, derivante dal vaglio probatorio, sia tale da doversene inferire la conclusione nel senso auspicato dal ricorrente, evenienza che qui niente affatto ricorre, richiedendosi, in definitiva, che la Corte di legittimità, sostituendosi inammissibilmente alla Corte d’appello, faccia luogo a nuovo vaglio probatorio e diversa interpretazione degli atti negoziali, dei quali non ha la disponibilità;
considerato che, di conseguenza, siccome affermato dalle S.U. (sent. n. 7155, 21/3/2017, Rv. 643549), lo scrutinio ex art. 360-bis c.p.c., n. 1, da svolgersi relativamente ad ogni singolo motivo e con riferimento al momento della decisione, impone, come si desume in modo univoco dalla lettera della legge, una declaratoria d’inammissibilità, che può rilevare ai fini dell’art. 334 c.p.c., comma 2, sebbene sia fondata, alla stregua dell’art. 348-bis c.p.c. e dell’art. 606 c.p.p., su ragioni di merito, atteso che la funzione di filtro della disposizione consiste nell’esonerare la Suprema Corte dall’esprimere compiutamente la sua adesione al persistente orientamento di legittimità, così consentendo una più rapida delibazione dei ricorsi “inconsistenti”;
considerato che i ricorrenti vanno condannati a rimborsare le spese in favore della controricorrente, tenuto conto del valore, della qualità della causa e delle attività svolte, siccome in dispositivo;
che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
PQM
dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge;
ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17), si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021
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