Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.32479 del 08/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21740/2015 proposto da:

R.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GERMANICO n. 99, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO PANETTA, rappresentato e difeso dagli avvocati LORENZINA IEZZI, VITTORIO SUPINO;

– ricorrente –

contro

CONSERVATORIO DI MUSICA “*****” – ISTITUTO SUPERIORE DI STUDI MUSICALE, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE RAGIONERIA TERRITORIALE DELLO STATO – L’AQUILA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 209/2015 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 12/03/2015 R.G.N. 28/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/07/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA.

RILEVATO

Che:

1. La Corte d’ Appello di L’Aquila, con sentenza del 12 marzo 2015, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, dichiarava la legittimità del recupero dei compensi corrisposti a R.S. – docente del Conservatorio di Musica “*****” di L’Aquila – per l’incarico di direttore artistico del Teatro Marrucino di L’Aquila, limitatamente agli anni accademici 2002/2003 e 2006/2007; dichiarava la illegittimità del provvedimento per gli ulteriori anni accademici oggetto di recupero (2003/2004, 2004/2005/, 2005/2006, 2007/2008).

2.La Corte territoriale reputava inammissibile e comunque infondato il primo motivo dell’appello del R., con il quale si deduceva la illegittimità del recupero per mancanza della contestazione disciplinare.

3. Esponeva che il Tribunale aveva escluso la natura disciplinare del provvedimento di recupero. Le ragioni esposte in motivazione, condivise dal Collegio, non erano state oggetto di alcuna confutazione (neppure generica) da parte dell’appellante, che si era limitato a riproporre le censure già svolte.

4. Il secondo ed il terzo motivo di appello – (relativi, rispettivamente, alla natura continuativa dell’attività svolta in favore del Tetro Marrucino ed alla incompatibilità degli incarichi) – andavano accolti soltanto per gli anni per i quali detta attività era stata preventivamente autorizzata e non per gli anni accademici 2002/2003 e 2006/2007, per i quali la autorizzazione non era stata richiesta.

5. Per questi ultimi vi era, ai sensi del D.Lgs n. 165 del 2001, art. 53, comma 6, una presunzione legale di incompatibilità dell’incarico non autorizzato con i doveri d’ufficio del pubblico dipendente, indipendentemente dalla verifica dell’effettivo conflitto di interesse e del pregiudizio per l’efficienza ed il buon andamento della azione amministrativa.

6. Diversamente, per gli incarichi autorizzati trovava applicazione la speciale disciplina di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994, artt. 267 e 273, che consentiva agli enti di produzione musicale di stipulare contratti annuali o biennali, rinnovabili, con il personale docente dei conservatori di musica per lo svolgimento delle loro attività istituzionali.

7. Per gli anni in cui il recupero era legittimo andava rigettato il quarto motivo di appello, relativo alla irrecuperabilità del compenso a tutela della buona fede e dell’affidamento del percipiente, in quanto il compenso era stato percepito in violazione della previsione di legge richiedente la preventiva autorizzazione dell’ente di appartenenza per lo svolgimento da parte del pubblico dipendente di altra attività lavorativa. Tale circostanza, unita al rilievo che il R. negli altri anni aveva regolarmente avanzato richiesta di autorizzazione, escludeva in radice la esistenza della buona fede.

8. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza R.S., affidato a cinque motivi di censura; il CONSERVATORIO DI MUSICA ***** ed il MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, ai quali il ricorso è stato notificato presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato, non si sono costituiti.

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione dell’art. 111 Cost., comma 6, art. 132 c.p.c., comma 2, art. 118 disp. att. c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c., lamentando l’assenza di motivazione in ordine alla statuizione di inammissibilità – e comunque di infondatezza – del primo motivo di appello.

2. Il motivo è infondato.

3. La statuizione di inammissibilità è stata resa, come chiaramente risulta dalla relativa motivazione, per la mancanza di ogni censura alle ragioni della decisione del Tribunale, che aveva escluso la necessità della preventiva contestazione disciplinare sul rilievo che il recupero dei compensi non aveva natura disciplinare. La inammissibilità del motivo di impugnazione è stata dunque dichiarata per violazione degli oneri di contenuto del ricorso in appello di cui all’art. 434 c.p.c. e non già, come dedotto in ricorso, per la mancanza di una ragionevole probabilità di accoglimento dell’appello.

4. Con il secondo mezzo viene lamentata – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione del D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 69 e art. 24 Cost., comma 2 e art. 111 Cost., comma 2, assumendosi la illegittimità della procedura di recupero dei compensi.

5. Il motivo è inammissibile.

6. La Corte territoriale ha dichiarato la inammissibilità del motivo di appello proposto dall’odierno ricorrente avverso la statuizione del Tribunale che aveva ritenuto legittima la procedura di recupero (non trattandosi di sanzione disciplinare). Detta pronuncia in rito non è colta dall’odierno ricorso. La parte ha invece impugnato un mero obiter dictum (sulla infondatezza in ogni caso dell’appello) privo di rilievo decisivo e come tale non impugnabile (Cassazione civile sez. un., 20/02/2007, n. 3840).

7. Con la terza critica viene dedotta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione dell’art. 115 c.p.c..

8. Si assume che la pronuncia di rigetto del terzo motivo di appello – con il quale si sosteneva la compatibilità degli incarichi affidati dal Teatro ***** con lo svolgimento dell’attività di lavoro dipendente- sarebbe stata resa senza esaminare il materiale istruttorio.

9. Il motivo è inammissibile.

10. Esso non è conferente alla ratio decidendi della sentenza impugnata, secondo la quale la mancanza di autorizzazione del pubblico dipendente allo svolgimento dell’attività extralavorativa determina una presunzione ex lege di incompatibilità dell’incarico con l’attività di lavoro dipendente, a prescindere dalla verifica in concreto del conflitto di interesse e del pregiudizio della amministrazione pubblica. Tale ratio, fondata su disposizioni di legge, non è posta in discussione dalla censura in esame, relativa ad un accertamento di fatto che il giudice non ha compiuto, ritenendolo irrilevante.

11. Con la quarto mezzo si lamenta – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione del D.Lgs n. 150 del 2009, art. 69,D.Lgs. n. 165 del 2011, art. 56, comma 6 (rectius: art. 53, commi 6 e 7), artt. 1,3,4,36 Cost., art. 98 Cost., comma 1.

12. Si sostiene che la norma sul cumulo di incarichi e sul recupero dei compensi corrisposti in assenza di autorizzazione, ove interpretata nel senso indicato dal giudice dell’appello, impedirebbe il bilanciamento tra il bene preservato (la esclusività del servizio in favore della amministrazione) ed il diritto al lavoro, costituzionalmente protetto. La violazione dell’art. 3 Cost., viene dedotta sotto il profilo: della applicazione del trattamento sanzionatorio tanto nei casi di effettiva violazione del dovere di fedeltà ed esclusività che nel caso di attività che non incide sui doveri del pubblico dipendente; della ingiustizia sociale del recupero in danno di chi per ragioni di bisogno ha sacrificato il proprio tempo libero; della applicazione della sanzione sia nel caso di attività svolta clandestinamente che in quella di attività regolarmente dichiarata, anche ai fini fiscali. Si deduce altresì la disparità di trattamento rispetto al dipendente del settore privato e si denuncia l’ostacolo frapposto allo sviluppo della persona umana. Sotto il profilo dell’art. 36 Cost., si assume che la previsione della restituzione integrale della retribuzione priverebbe il lavoratore e la sua famiglia dei mezzi economici necessari ad assicurare loro una esistenza dignitosa. Da ultimo, si censura di incostituzionalità il mancato bilanciamento, attraverso una analisi da operare in concreto, tra l’utilità della azione amministrativa e la posizione individuale del pubblico dipendente.

13. Il motivo è infondato.

14. Come già evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 7, prevede una sanzione ex lege, consistente nel versamento all’Amministrazione di appartenenza dei corrispettivi percepiti in occasione di incarichi non autorizzati. La norma ha una chiara finalità disincentivante per il dipendente, il quale è consapevole di non poter trattenere alcun vantaggio dalle prestazioni svolte in violazione del dovere di fedeltà (in termini: Cass. SU 9 marzo 2021 n. 6473).

15. La questione di legittimità costituzionale posta con il motivo appare manifestamente infondata.

16. Il dipendente pubblico, a norma dell’art. 98 Cost., ha un dovere di fedeltà alla nazione che in sé rende ragionevole e giustificato l’intervento operato dal legislatore, sia con il richiedere l’autorizzazione della amministrazione di appartenenza allo svolgimento di altra attività lavorativa sia con il sanzionare lo svolgimento di tale attività in assenza della previa autorizzazione. La norma realizza, poi, un ragionevole contemperamento di interessi, in quanto destina i compensi, maturati o percepiti, per le prestazioni svolte in difetto di autorizzazione ad incremento dei fondi di produttività e di fondi equivalenti e, dunque, al finanziamento della retribuzione accessoria.

17. Trattandosi di compensi ulteriori rispetto a quelli corrisposti per il rapporto di impiego, è escluso in limine ogni dubbio di violazione del diritto del lavoratore a ricevere una retribuzione adeguata ex art. 36 Cost..

18. Con il quinto motivo il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione degli artt. 1375,1337 e 1366 c.c., nonché dell’art. 3 Cost., comma 1 e art. 36 Cost..

19. La censura afferisce alla statuizione resa sulla eccepita irrepetibilità del compenso, in quanto percepito in buona fede; il ricorrente ha assunto che il proprio affidamento e la propria buona fede sarebbero provati dall’adempimento degli obblighi amministrativi di richiesta di autorizzazione e di pagamento dei tributi sui compensi percepiti e dal fatto di avere sempre ottenuto l’autorizzazione a svolgere le mansioni di direttore artistico del Teatro *****.

20. Ha dedotto che il legittimo affidamento e la buona fede sarebbero ostativi al recupero delle somme corrisposte.

21. Il motivo è inammissibile.

22. Il giudice dell’appello ha escluso la esistenza della buona fede del percipiente per gli anni accademici in cui era stata omessa la richiesta di autorizzazione.

23. Trattasi di un accertamento di fatto, non censurabile sotto il profilo della violazione di norme ma unicamente nei limiti di deducibilità di un vizio della motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, deducibilità che peraltro nella fattispecie di causa è esclusa a mente dell’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, per il giudizio conforme reso sul punto nei due gradi di merito.

24. La definitività di tale accertamento storico esclude qualsiasi questione di irripetibilità dei compensi percepiti.

25. Il ricorso deve essere conclusivamente respinto.

26. Tale esito esime, per il principio della durata ragionevole del giudizio, dal disporre la rinnovazione della notificazione agli enti convenuti presso l’Avvocatura generale, nonostante la nullità della notifica eseguita presso l’Avvocatura distrettuale (sul principio, ex aliis, Cass. 13/01/2021, n. 394; Cass. 26/11/2020, n. 26997; Cass. n. 6924/2020).

27. Non vi è luogo a provvedere sulle spese per la mancata costituzione degli intimati.

28. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass. SU 20 febbraio 2020 n. 4315).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 15 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021

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