LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 17583/2015 proposto da:
AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– ricorrente –
contro
M.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA OVIDIO N. 26, presso lo studio dell’avvocato ANTONIA LUCCHESI, rappresentato e difeso dall’avvocato FILIPPO TORTORICI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2376/2014 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 19/01/2015 R.G.N. 21/2013;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/06/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA;
il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE Giovanni, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’ Appello di Palermo, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, accoglieva la domanda proposta da M.G., dirigente di seconda fascia dell’AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI (in prosieguo: AGENZIA), per il pagamento delle differenze di retribuzione maturate per lo svolgimento dal 19 aprile 2004 al 20 febbraio 2005, in aggiunta all’incarico svolto, delle funzioni di direttore regionale delle dogane per la Sicilia, incarico di dirigente di prima fascia, nella temporanea vacanza del posto.
2. La Corte territoriale osservava che la AGENZIA, nel costituirsi in giudizio, aveva incentrato le difese sul dato formale del rispetto delle norme sul conferimento dell’incarico e sull’assenza di un contratto individuale di disciplina del trattamento economico ma nulla aveva eccepito in ordine all’effettivo svolgimento delle mansioni ed al rango superiore di esse, di dirigente di prima fascia.
3. Pertanto, era viziata da extrapetizone la sentenza del Tribunale, fondata sulla mancata allegazione delle mansioni superiori svolte, non avendo l’Agenzia contestato l’esercizio delle funzioni né la riconducibilità di esse alla fascia dirigenziale invocata.
4. Erano dovute le differenze retributive, limitatamente al trattamento economico fondamentale, per il periodo di svolgimento delle funzioni.
5. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza la AGENZIA, affidato a tre motivi di censura, cui ha resistito M.G. con controricorso, illustrato con due distinte memorie.
6. Il PM ha concluso per l’accoglimento del terzo motivo di ricorso, respinti gli altri.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo l’AGENZIA ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 – violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 – nullità della sentenza, assumendo la apparenza o perplessità della motivazione, per avere fatto ricorso al principio di non contestazione laddove nel ricorso introduttivo del giudizio non erano state allegate circostanze specifiche circa le mansioni svolte sicché non poteva sussistere un onere di contestazione. Si assume che non erano dimostrate l’effettiva esecuzione dell’ordine di servizio con il quale venivano affidate le mansioni di conduzione della direzione regionale e la portata della investitura.
2. Il motivo è infondato.
3. Il vizio di motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile e di motivazione apparente, che dà luogo a nullità della sentenza, ricorre quando la motivazione non renda percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni che, per il loro carattere contraddittorio o meramente apodittico sono obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito dal giudicante per la formazione del suo convincimento (Cass. SS.UU. n. 22232 del 2016).
4. Nella fattispecie di causa l’iter argomentativo della decisione del giudice è chiaramente percepibile e consiste nella mancata contestazione dello svolgimento da parte dell’originario ricorrente delle funzioni di direttore regionale dell’AGENZIA, seppure sulla base di un ordine di servizio.
5. Con la seconda critica si deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e segg. e dei principi sulla ripartizione dell’onere probatorio, sempre sul rilievo del mancato assolvimento dell’onere probatorio che gravava sulla parte ricorrente.
6. Il motivo è infondato.
7. La norma dell’art. 2697 c.c., viene in rilievo nelle fattispecie in cui il giudice del merito, in assenza della prova del fatto controverso, applichi la regola di giudizio che individua come soccombente la parte onerata della relativa prova; è in tale eventualità che il soccombente può dolersi della non-corretta ripartizione del carico probatorio.
8. Nell’ipotesi di causa la Corte territoriale ha ritenuto non essere oggetto del theme probandum, in quanto non contestato, lo svolgimento da parte del M. di un incarico dirigenziale di prima fascia, sicché non hanno influito sulla decisione la distribuzione dell’onere probatorio e le conseguenze del suo mancato assolvimento.
9. Con la terza critica l’AGENZIA ha impugnato la sentenza – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 24, comma 3, assumendo che, in ragione della qualifica dirigenziale dell’originario ricorrente, non vi era luogo al pagamento di emolumenti in relazione all’ulteriore incarico svolto, stante la omnicomprensività del trattamento economico dei dirigenti.
10. Il motivo è fondato.
11. Giova preliminarmente ribadire che nel pubblico impiego privatizzato la dirigenza non esprime più una carriera, caratterizzata da qualifiche diverse e gerarchicamente ordinate, ma una qualifica unica, articolata in due fasce.
12. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, alla qualifica dirigenziale – (per i dirigenti statali in virtù di espressa previsione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19) – corrisponde soltanto l’attitudine professionale all’assunzione di incarichi dirigenziali di qualunque tipo; nel conferimento dell’incarico e nel passaggio ad un incarico diverso non è applicabile l’art. 2103 c.c., non risultando compatibile con lo statuto del dirigente pubblico la regola del rispetto di determinate specifiche professionalità acquisite (v. Cass. 22 dicembre 2004; Cass. 15 febbraio 2010, n. 3451; Cass. 22 febbraio 2017, n. 4621; Cass. 20 luglio 2018, n. 19442; Cass. 28 febbraio 2020, n. 5546).
13. In applicazione del suddetto principio si è affermato che la cessazione di un incarico di funzione e la successiva attribuzione di un incarico di studio non determina un demansionamento (si veda: Cass. 9 aprile 2018, n. 8674; Cass. 28 febbraio 2020, n. 5546).
14. Allo stesso modo, l’attribuzione ad un dirigente di seconda fascia di un incarico di prima fascia non configura esercizio di mansioni superiori. La possibilità che ai dirigenti di seconda fascia sia conferito, nei modi previsti dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 19, un incarico di prima fascia – (id est: un incarico di direzione di un ufficio dirigenziale di livello generale) – è contemplata come evenienza ordinaria dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 23, alla quale è collegato il passaggio automatico del dirigente alla prima fascia dopo il decorso del periodo di tempo ed alle condizioni fissati dalla medesima norma.
15. Ne discende che la attribuzione al dirigente di seconda fascia di un incarico di prima fascia in mancanza del procedimento formale di investitura nella funzione – atto di nomina e stipula del contratto individuale – non costituisce esercizio di fatto di mansioni superiori.
16. Erroneamente la Corte territoriale ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte relativa alla reggenza di un ufficio dirigenziale vacante da parte di un funzionario, fattispecie nella quale, invece, può effettivamente configurarsi, in assenza delle condizioni di temporaneità proprie dell’istituto della reggenza, l’esercizio di mansioni superiori da parte di un dipendente sprovvisto della qualifica dirigenziale.
17. Parimenti inconferente è la giurisprudenza di questa Corte in tema di retribuibilità delle mansioni superiori, richiamata dal controricorrente in memoria.
18. Nella fattispecie di causa ricorre l’ipotesi della reggenza di un ufficio dirigenziale della pubblica amministrazione temporaneamente vacante da parte di un dirigente; tale fattispecie è stata già esaminata da questa Corte, che, escluso l’esercizio di mansioni superiori, ha affermato che la pretesa a percepire ulteriori compensi è ricollegabile soltanto alla avvenuta stipula del contratto individuale.
19. Il principio, già affermato da Cass. 26 novembre 2008 n. 28276, è stato ribadito da Cass. 08 febbraio 2018 n. 3094.
20. Si è ivi osservato che del D.Lgs n. 165 del 2001, art. 24, dopo avere indicato, ai commi 1 e 2, le modalità di determinazione della retribuzione dei dirigenti, stabilisce, al comma 3, che il trattamento economico così determinato remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai dirigenti in base a quanto previsto dallo stesso D.Lgs. “nonché qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del loro ufficio o comunque conferito dall’amministrazione presso cui prestano servizio o su designazione della stessa…”. Pertanto, anche a voler ipotizzare che la legge non consenta di attribuire l’incarico di reggenza in assenza della stipula del contratto individuale, dalla illegittimità di tale determinazione non potrebbe comunque derivare il diritto del dirigente a percepire compensi collegati esclusivamente alla stipula del contratto (in applicazione di tale principio è stata ritenuta immune da censure la sentenza di merito, che aveva integralmente respinto le rivendicazioni economiche avanziate da un dirigente di seconda fascia del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali in relazione alla attività aggiuntiva svolta come direttore della Agenzia regionale per l’impiego).
21. In sostanza, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 24, comma 3, sancisce il principio dell’omnicomprensività della retribuzione dei dirigenti, ricadendo l’ipotesi della reggenza di altro ufficio dirigenziale vacante nell’eventualità, considerata nella seconda parte del primo periodo, di altro incarico “comunque conferito” dalla amministrazione presso cui il dirigente presta servizio.
22. Ne’ rileva il fatto, su cui il controricorrente pone l’accento in memoria, che l’incarico sia stato svolto presso il medesimo ufficio pubblico nel quale egli prestava servizio invece che presso un ufficio pubblico diverso, trattandosi di ipotesi pienamente equiparate dal richiamato art. 24 (che prevede, altresì, l’attribuzione alla amministrazione cui il dirigente appartiene dei compensi dovuti dai terzi).
23. Neppure rileva l’avvenuto pagamento da parte della AGENZIA dell’importo di Euro 40.273,76 quale differenza di retribuzione dovuta per l’incarico di prima fascia, come esposto da parte controricorrente in memoria, trattandosi di doverosa esecuzione della sentenza qui impugnata.
24. Il terzo motivo di ricorso deve essere pertanto accolto, con conseguente cassazione della sentenza.
25. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto della domanda originaria.
26. Le spese dell’intero processo si compensano tra le parti, in ragione dell’esito alterno dei gradi di merito e del formarsi in corso di causa della giurisprudenza qui ribadita.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso; rigetta i primi due. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda originaria.
Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.
Così deciso in Roma, il 8 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021