Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32515 del 08/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

Dott. GIAIME GUIZZI Stefano – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6614-2020 proposto da:

D.A., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato PASQUALE COTICELLI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE SPA *****, COMUNE DI CASTELLAMMARE DI STABIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2695/2019 del TRIBUNALE di TORRE ANNUNZIATA, depositata il 06/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 24/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. PORRECA PAOLO.

CONSIDERATO

che:

D.A. si opponeva alla cartella esattoriale emessa per violazione del codice stradale, con ente creditore il comune di Castellammare di Stabia, deducendo la prescrizione del credito;

il Giudice di Pace accoglieva l’opposizione non disponendo la condanna alle spese processuali a carico dell’ente locale e del concessionario, rimasti contumaci;

il Tribunale, adito dal ricorrente, per quanto qui ancora rileva, per censurare la mancata condanna alla rifusione delle spese, respingeva l’appello osservando che la suddetta compensazione era giustificata dalla mancata messa in esecuzione forzata della cartella;

avverso questa decisione ricorre per cassazione D.A. articolando due motivi.

RILEVATO

che:

con il primo motivo di ricorso si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., poiché il Tribunale avrebbe motivato solo apparentemente mancando di considerare che la notifica della cartella equivale a quella del titolo esecutivo e corrisponde anche a quella del precetto, sicché l’affermazione, posta a giustificazione della mancata condanna al pagamento delle spese processuali, per cui non vi sarebbe stata una richiesta di pagamento azionata, sarebbe equivalsa a un’assenza di parte motiva;

con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., quale interpolato dalla sentenza n. 77 del 2018 della Corte costituzionale, poiché il Tribunale avrebbe errato non esplicitando alcuna ragione grave ed eccezionale atta a giustificare la compensazione in parola;

Vista la proposta formulata del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.;

Rilevato che:

il primo motivo è infondato;

la motivazione del Tribunale è chiaramente sussistente, e non è stata quella dell’assenza di richieste di pagamento da parte dell’amministrazione, ma quella della mancata messa in esecuzione forzata della stessa pretesa (pag. 3, primo capoverso);

il secondo motivo è invece fondato;

la Consulta, nell’arresto richiamato dalla censura, ha specificato (p. 16) che l’irragionevolezza della limitazione delle ipotesi di compensazione delle spese processuali previste, precedentemente alla statuizione, dall’art. 92 c.p.c. – e ulteriori rispetto alla soccombenza reciproca, assente nella fattispecie – va intesa “nel senso che parimenti le ipotesi illegittimamente non considerate dalla disposizione censurata possono identificarsi in quelle che siano… analoghe a quelle tipizzate nominativamente nella norma, nel senso che devono essere di pari, o maggiore, gravità ed eccezionalità. Le quali ultime quindi – l'”assoluta novità della questione trattata” ed il “mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti” – hanno carattere paradigmatico e svolgono una funzione parametrica ed esplicativa della clausola generale”;

le “gravi ed eccezionali ragioni” richieste per giustificare la compensazione totale o parziale, dunque, non sono determinabili “a priori” ma devono essere specificate in via interpretativa dal giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche (cfr., ad esempio, Cass., 26/09/2018, n. 23059, in riferimento alla formulazione “ratione temporis” vigente e ripresa dalla Consulta: nella specie, fu ritenuta erronea la compensazione delle spese processuali giustificata con il pagamento pressoché integrale degli importi dovuti dall’ingiunto, effettuato in esito all’emissione del provvedimento monitorio e prima della pronuncia di primo grado sul giudizio di opposizione, trattandosi di comportamento non caratterizzato da spontaneità e inidoneo a esonerare la parte opposta dall’onere d’impugnazione dell’eventuale pronuncia di accoglimento dell’opposizione proposta; conf. Cass., 09/04/2019, n. 9977);

ora, nel caso di specie è vero che la cartella non era stata azionata esecutivamente da parte delle amministrazioni, peraltro remissive in prime cure quali contumaci, ma la relativa pretesa non era stata sgravata neppure in corso di giudizio, sicché persisteva inducendo a coltivare l’opposizione;

ne consegue il vizio di sussunzione della fattispecie nel regime legale sopra ricostruito, non potendo configurarsi, la circostanza rilevata dal giudice di merito, quale ragione grave ed eccezionale nel senso specificato dal giudice delle leggi ai fini in discussione;

spese al giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, cassa in relazione la decisione impugnata e rinvia al Tribunale di Torre Annunziata perché pronunci anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 24 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021

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