LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BALESTRIERI Federico – Presidente –
Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
Dott. PICCONE Valeria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1044/2015 proposto da:
V.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TOMMASO D’AQUINO 83, presso lo studio dell’avvocato TOMMASO LONGO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIAN PAOLO MANNO;
– ricorrente –
contro
DE MANINCOR S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA BALDUINA 7, presso lo studio dell’avvocato CONCETTA TROVATO, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso il provvedimento n. 395/2014 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 10/10/2014 R.G.N. 327/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 14/04/2021 dal Consigliere Dott. MATILDE LORITO.
RILEVATO
Che:
V.A. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Genova la s.p.a. De Manincor per conseguirne la condanna al pagamento di compensi provvigionali, indennità di scioglimento del contratto e di recesso per giusta causa spettanti in relazione al rapporto di agenzia intercorso fra le parti;
costituitasi, la società resisteva al ricorso chiedendone la reiezione;
il Giudice adito respingeva le domande, e condannava il ricorrente alla restituzione alla preponente di provvigioni non spettanti;
detta pronuncia veniva parzialmente riformata dalla Corte distrettuale che condannava la s.p.a. Manincor al versamento in favore di parte appellante, della somma di Euro 8.050,00 a titolo di provvigioni relative ad affari andati a buon fine, confermando nel resto le conclusioni alle quali era pervenuto il giudice di prima istanza e compensando integralmente le spese del grado;
la cassazione di tale decisione è domandata da V.A. sulla base di cinque motivi successivamente illustrati da memoria ex art. 380 bis c.p.c.;
resiste con controricorso la società intimata.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1748 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
si critica la statuizione con la quale il giudice del gravame ha ritenuto che la conclusione dell’affare relativo al Ristorante *****, fosse stata condizionata sin dalla sua conclusione, all’ottenimento di autorizzazioni amministrative poi non conseguite e la cui mancanza si era rivelata ostativa al riconoscimento della provvigione richiesta;
si esclude che il contratto de quo fosse stato sottoposto a condizione, come emerso del resto dalle acquisizioni probatorie; si osserva in ogni caso che ai sensi della richiamata disposizione codicistica, la provvigione spetta all’agente dal momento e nella misura in cui il preponente ha eseguito o avrebbe dovuto eseguire la prestazione in base al contratto concluso con il terzo, sul rilievo che sarebbe penalizzante per l’agente subire limitazioni al proprio diritto per volontà altrui; si soggiunge che, ove fosse stata apposta una condizione al contratto nei sensi descritti dai giudici del gravame, non sarebbe nemmeno stato versato un acconto prima dell’ottenimento delle autorizzazioni amministrative;
il Collegio di merito avrebbe potuto comunque prevedere la liquidazione di una provvigione in misura equitativa, ai sensi del citato art. 1748 c.c., comma 5;
2. il motivo palesa profili di inammissibilità giacché sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione di legge, degrada in realtà verso l’inammissibile richiesta a questa Corte di una rivalutazione dei fatti storici da cui è originata l’azione e del materiale probatorio acquisito non consentito nella presente sede (cfr. Cass., S.U. 17 dicembre 2019, n. 33373, Cass. S.U. 27/12/2019 n. 34476);
il giudice di seconda istanza ha infatti acclarato, all’esito dello scrutinio delle acquisizioni probatorie, che l’affare con il cliente ***** era stato “condizionato fin dalla sua conclusione (cui era presente V.) all’ottenimento di autorizzazioni amministrative non conseguite”; né può trovare ingresso, il vizio come dedotto dal ricorrente, nel regime di sindacato minimale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, novellato, nel giudizio di legittimità essendo denunciabile solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, in quanto attiene all’esistenza della motivazione in sé (cfr. Cass. S.U. 7/4/2014 n. 8053) non ravvisabile, per quanto sinora detto, nella specie;
esso è altresì infondato ove si consideri che, alla stregua del consolidato orientamento espresso da questa Corte, salvo che non sia diversamente stabilito dalle parti, il diritto alla provvigione sorge allorquando l’affare sia andato a buon fine o la mancata esecuzione del contratto sia imputabile al preponente (Cass. n. 25544/2018, Cass. n. 25023/2013; Cass. n. 14978/2011; Cass. n. 10821/2011; Cass. n. 12838/2003; cfr. anche Corte di Giustizia 17.5.2017 C-48/16 Ergo), ipotesi questa, non verificatasi nella fattispecie;
né a sostegno della censura, risulta formulata alcuna allegazione in ordine alla circostanza che le parti avessero diversamente concordato in tema provvigioni; non è prospettabile, dunque, come rettamente asserito dal giudice del gravame, la condizione prevista dell’art. 1748 c.c., comma 5, per l’erogazione del compenso provvigionale; onde la statuizione resiste alla censura all’esame;
3. il secondo motivo prospetta omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;
ci si duole che la Corte distrettuale abbia non rettamente interpretato le prove testimoniali acquisite dalle quali non era desumibile l’avvenuto svolgimento di attività concorrenziale con la preponente; come evincibile dalla documentazione prodotta dalla medesima società (vedi preventivo del febbraio 2010 predisposto dalla ditta Steelnovo), il ricorrente aveva semplicemente richiesto un preventivo ad una società che produceva e commercializzava beni differenti (arredi da cucina) rispetto a quelli oggetto di contratto (blocchi di cottura) e non poteva essere considerata concorrente della De Manincor;
4. il motivo è inammissibile, esulando la critica dai ristretti limiti di sindacato consentiti dal novellato testo di cui al n. 5 art. 360 c.p.c., comma 1;
anche prima di tale riformulazione, costituiva consolidato insegnamento essere sempre vietato invocare in sede di legittimità un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché non ha la corte di cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, essendo la valutazione degli elementi probatori attività istituzionalmente riservata al giudice di merito (tra le molte, vedi Cass. sez. un., 21/12/2009 n. 26825, Cass. 16/12/2011 n. 27197);
nel sistema, l’intervento di modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5, come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte, comporta un’ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, del controllo sulla motivazione di fatto; con esso si è invero avuta (Cass. S.U. cit., n. 8053/2014) la riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in questa sede è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile;
tanto comporta (Cass. Sez. Un., 22/9/2014 n. 19881) che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;
nello specifico i giudici di seconda istanza hanno proceduto allo scrutinio della deposizione testimoniale resa dal teste B. dalla quale hanno tratto il convincimento – fondato sulla indicazione del V. quale referente di prodotti Steelnovo – che egli avesse violato gli obblighi contrattuali di esclusiva e di non concorrenza;
pertanto, non può essere invocata, come nella specie, una lettura delle risultanze probatorie difforme da quella operata dalla corte territoriale, essendo la valutazione di un tipico apprezzamento di fatto, riservato in via esclusiva al giudice del merito;
5. con il terzo motivo è denunciata violazione o falsa applicazione dell’art. 9 A.E.C. nonché degli artt. 1750 e 2119 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
il ricorrente ribadisce che il proprio recesso era sorretto da giusta causa, non avendo la società mandante corrisposto provvigioni a lui spettanti già a far tempo dall’ultimo trimestre del 2009; in tal senso apparivano incongruenti le argomentazioni addotte a fondamento del diniego di riconoscimento della indennità di preavviso e di recesso da parte del giudice del gravame, il quale aveva accertato lo svolgimento di una attività concorrenziale da parte dell’appellante, ostativo all’accertamento del diritto azionato;
al di là di ogni altra considerazione in ordine alla sussistenza di ragioni di improcedibilità del motivo per mancata produzione dell’AEC invocato (vedi Cass. SS.UU. 7/11/2013 n. 25038; Cass. 23/9/2016 n. 18698, Cass. 18/9/2017 n. 21554) e di ragioni di inammissibilità per difetto di specificità del motivo, a causa della mancata esposizione del contenuto del contratto inter partes, deve ritenersi che lo stesso solleciti la formulazione di un inammissibile giudizio di merito; esso tende, infatti, ad inficiare gli approdi ai quali è pervenuta la Corte territoriale, con una censura meramente contrappositiva rispetto al giudizio operato nel grado pregresso, non ammissibile nella presente sede;
6. con la quarta censura si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 1748 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
si imputa alla Corte di merito di aver non rettamente interpretato la domanda riconvenzionale proposta dalla società in primo grado mediante qualificazione in termini di restituzione delle provvigioni indebitamente erogate; si deduce fosse stata formulata, in realtà, solo una istanza rìsarcitoria, che tuttavia era stata respinta dal giudice di prima istanza; si osserva che, in ogni caso, la preponente non avrebbe potuto pretendere somme relative al pagamento di fatture, ostandovi i dettami di cui all’art. 1748 c.c.;
7. anche questo motivo evidenzia un difetto di specificità che ridonda in termini di inammissibilità, non risultando riprodotto, neanche nelle sue parti salienti, il tenore della memoria di costituzione della società in primo grado recante la domanda riconvenzionale oggetto di interpretazione da parte dei giudici del gravame;
in ogni caso l’attività ermeneutica avente ad oggetto la domanda, per costante orientamento di questa Corte, è riservata al giudice di merito il quale nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, è tenuto al rispetto dei soli limiti della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto di sostituire d’ufficio un’azione diversa da quella proposta; il relativo giudizio, estrinsecandosi in valutazioni discrezionali sul merito della controversia, è sindacabile in sede di legittimità unicamente se sono stati travalicati i detti limiti o per vizio della motivazione (ex aliis, vedi Cass. 21/5/2019 n. 13602); situazioni queste che, per quanto sinora detto, non appaiono congruamente prospettate;
8. con il quinto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.; si deduce che nello specifico, non ricorrono le condizioni per disporre la compensazione delle spese di lite del grado tenuto conto che non era riscontrabile alcuna situazione di soccombenza reciproca né erano emerse gravi o eccezionali ragioni atte a giustificare l’applicazione del regime di cui all’art. 92 c.p.c.;
9. il motivo non è fondato;
si ricorda che, come ripetutamente affermato da questa Corte, in materia di procedimento civile, il criterio della soccombenza deve essere riferito alla causa nel suo insieme, con particolare riferimento all’esito finale della lite (vedi Cass. 2/9/2014 n. 18503, Cass. 23/07/2010 n. 17351);
nell’ottica descritta, considerato che le domande proposte da entrambe le parti sono state parzialmente accolte in giudizio, deve ritenersi che il regime delle spese applicato dai giudici di seconda istanza sia conforme a diritto perché coerente, nonostante il parziale accoglimento del gravame proposto dall’agente, con una situazione di reciproca soccombenza che giustifica la compensazione delle spese, in consonanza con i dettami di cui all’art. 92 c.p.c., comma 2 (nella formulazione introdotta dalla L. n. 263 del 2005 e poi modificata dalla L. n. 69 del 2009, ratione temporis applicabile in quanto il ricorso introduttivo di primo grado è stato proposto successivamente all’entrata in vigore di quest’ultima legge);
in definitiva, alla stregua delle superiori argomentazioni, il ricorso è respinto;
il regime delle spese segue il principio della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata;
trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 14 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021
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