LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8415-2016 proposto da:
EQUITALIA SUD S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CESI 21, presso lo studio dell’avvocato CARMELA PARISI, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
G.G., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCELLO ALLEVATO;
– controricorrente –
nonché contro CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA FORENSE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1007/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 12/11/2015 R.G.N. 43/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 01/07/2021 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO.
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 12.11.2015, la Corte d’appello di Catanzaro, in riforma della pronuncia di primo grado e in accoglimento dell’appello incidentale spiegato dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense, ha dichiarato prescritti i crediti per contributi previdenziali iscritti a ruolo in danno dell’avv. G.G. e di cui all’intimazione di pagamento notificatagli in data 10.4.2013, successivamente a cartella esattoriale non tempestivamente opposta, e ha condannato Equitalia Sud s.p.a. a risarcire alla Cassa il danno da lesione del credito in misura pari ai contributi prescritti;
che avverso tale pronuncia Equitalia Sud s.p.a. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di censura;
che l’avv. G.G. ha resistito con controricorso; che la Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense è rimasta intimata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2953 c.c., L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9-10, e L. n. 247 del 2012, art. 66 per avere la Corte di merito ritenuto che la mancata tempestiva opposizione a cartella esattoriale non comportasse l’applicazione del più lungo termine prescrizionale decennale di cui all’art. 2953 c.c. ai crediti per contributi e premi dovuti agli enti previdenziali; che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 420 c.p.c., comma 9, per avere la Corte territoriale accolto l’appello incidentale della Cassa che aveva ad oggetto una domanda riconvenzionale che non avrebbe potuto essere proposta nel presente giudizio;
che, con il terzo motivo, la ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 2116 c.c. per avere la Corte di merito accolto la domanda risarcitoria nonostante che, non applicandosi alla previdenza dei liberi professionisti il principio di automaticità delle prestazioni di cui alla norma cit., la prescrizione dei contributi, rendendo inefficaci ai fini previdenziali le annualità per le quali avrebbero dovuto essere versati, avrebbe ridotto pro tanto le prestazioni da corrispondersi all’odierno controricorrente, con conseguente inconfigurabilità di alcun danno;
che il primo motivo è infondato, dovendo darsi continuità al principio di diritto secondo cui la scadenza del termine perentorio sancito per opporsi o impugnare un atto di riscossione mediante ruolo, o comunque di riscossione coattiva, produce soltanto l’effetto sostanziale della irretrattabilità del credito, ma non anche la c.d. conversione del termine di prescrizione breve eventualmente previsto in quello ordinario decennale, ai sensi dell’art. 2953 c.c., di talché, ove per i crediti sia prevista una prescrizione più breve di quella ordinaria (come prevede la L. n. 335 del 1995, art. 3 per i contributi e i premi dovuti agli istituti di previdenza e assistenza), il relativo termine continua a trovare applicazione anche nei confronti del soggetto titolare del potere di riscossione, salvo che ci si trovi in presenza di un titolo giudiziale divenuto definitivo (Cass. S.U. n. 23397 del 2016, cui hanno dato seguito, tra le tante, Cass. nn. 11800 e 31352 del 2018);
che contrari argomenti non possono desumersi dalla L. n. 247 del 2012, art. 66 che ha previsto che la disciplina in materia di prescrizione dei contributi previdenziali di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3 non si applica alle contribuzioni dovute alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense, trattandosi di disposizione non avente efficacia retroattiva (così già Cass. n. 6729 del 2013) e controvertendosi in specie della prescrizione di contributi maturati anteriormente alla sua entrata in vigore, siccome richiesti con cartella esattoriale asseritamente notificata in data 10.2.2004 (cfr. pag. 2 del ricorso per cassazione);
che, con riguardo al secondo motivo, questa Corte ha da tempo chiarito che la causa di garanzia, che si inserisca nella controversia di lavoro per effetto della chiamata in giudizio di un terzo ai sensi dell’art. 420 c.p.c., comma 9, è attratta nella competenza funzionale del giudice del lavoro solo in caso di garanzia propria, mentre, in caso di garanzia impropria, cioè fondata su un titolo autonomo e che non sia riconducibile fra quelli contemplati dagli artt. 409 e 442 c.p.c., rimane soggetta alle comuni norme sulla competenza per valore e territorio, ferma restando, per la deducibilità e rilevabilità dell’eventuale incompetenza di detto giudice, l’applicabilità delle regole di cui all’art. 38 c.p.c. (così Cass. S.U. n. 4692 del 1989);
che, essendo la competenza del giudice d’appello funzionale ed inderogabile, ai sensi dell’art. 341 c.p.c. e del successivo art. 433 c.p.c. relativo alle controversie di lavoro e previdenziali, in considerazione della peculiarità del giudizio di impugnazione, che è circoscritto dalle censure esplicitamente formulate dalle parti in relazione alla decisione emessa dal primo giudice e non è compatibile, salvo i casi espressamente previsti dalla legge (come avviene per le questioni rilevabili d’ufficio) con la trattazione di questioni non discusse nel precedente grado di giudizio, deve ribadirsi che, nelle controversie che si svolgono con il rito del lavoro, l’incompetenza per territorio e, a seguito della modifica introdotta nell’art. 38 c.p.c. dalla L. n. 353 del 1990, art. 4 anche quella per materia, ove non eccepite dalla parte e non rilevato d’ufficio dal giudice in primo grado, nei modi e nei termini stabiliti dalla legge (artt. 38 e 428 c.p.c.) non possono essere dedotte d’ufficio o su eccezione di parte per la prima volta in grado di appello (Cass. n. 4829 del 1998), onde, nel caso di specie, solo una tempestiva eccezione d’incompetenza riferita alla domanda riconvenzionale avrebbe potuto impedire alla Corte di merito di decidere il merito dell’appello incidentale proposto dalla Cassa odierna intimata;
che, nulla l’odierna ricorrente avendo dedotto nel ricorso per cassazione circa la tempestiva proposizione di tale eccezione in primo grado ed entro il termine di cui all’art. 38 c.p.c., la censura di cui al secondo motivo si rivela infondata;
che del pari infondato è il terzo motivo, atteso che, essendo il sistema di reperimento dei fondi ancora legato al criterio c.d. a ripartizione, di talché tutti i contributi versati dai professionisti iscritti confluiscono, senza distinzioni legate a particolari destinazioni, in un unico fondo con il quale la Cassa deve provvedere al pagamento delle pensioni ed alle prestazioni assistenziali (così Cass. n. 5098 del 2003, in motivazione), non può dubitarsi che la prescrizione dei contributi dovuti dal singolo professionista cagioni alla Cassa un danno emergente pienamente risarcibile ex art. 1223 c.c., solo eventuale potendo essere il beneficio eventualmente riveniente dalle minori prestazioni dovute al professionista rimasto inadempiente e il cui debito per contributi siasi prescritto;
che il ricorso, pertanto, va rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità in favore della parte controricorrente, che seguono la soccombenza; che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 1.900,00, di cui Euro 1.700,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 1 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2021
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