Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.32594 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. est. Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

emessa ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, conv. con mod. L. n. 176 del 2020;

sul ricorso iscritto al n. 23989/2014 R.G. proposto da:

Italiafili s.r.l., in persona del legale rappresentate p.t., rappresentata e difesa, giusta procura a margine del ricorso, dall’Avv.to Fulgenzio d’Annunzio, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Oreste Tommasini, n. 20, presso lo studio dell’Avv.to Simona Maria Serena Salazar.

– Ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore;

– Intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della regione Abbruzzo, sezione distaccata di Pescara, n. 220 depositata in data 24/02/2014, non notificata;

udita la relazione della causa svolta, nella pubblica udienza del 28/05/2021, dal Consigliere Dott.ssa Rosita D’Angiolella;

viste le conclusioni scritte, depositate in forma di memoria, del Sostituto Procuratore Generale, Dott. Francesco Salzano, di rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. L’Italiafili s.r.l. ricorre con due motivi contro l’Agenzia delle entrate per la cassazione della sentenza n. 220/2014 della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo (di seguito, CTR), del 24/02/2014 e non notificata, che ha rigettato l’appello della società, in controversia avente ad oggetto l’impugnazione dell’avviso di accertamento, emesso ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 39, 37 e 41 bis e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 per maggiori imposte per l’anno di imposta 2004.

2. Con la sentenza impugnata, la CTR, ritenuti insussistenti i vizi formali dell’avviso di accertamento impugnato dalla società contribuente, nel merito, riteneva fondata la pretesa tributaria, per l’esistenza del meccanismo elusivo contestato dall’amministrazione.

3. In particolare, la CTR riteneva che era configurabile un’elusione fiscale mascherandosi un’operazione di “sale and lease back” immobiliare attraverso una serie di cessioni di quote societarie con le quali il carico fiscale dell’operazione era transitato interamente alla società interposta Mythos, mentre gli immobili oggetto del “sale and lease back” erano passati nella titolarità dei sig.ri F.A., An. ed Al., quali soci dell’intero capitale sociale della società Italiafili s.r.l. eludendo l’imposizione della plusvalenza connesse all’acquisto dei beni.

4. La CTR concludeva nel senso che, a fronte degli elementi indiziari posti a base dell’accertamento dell’Ufficio (“il contratto di “lease back” avrebbe dovuto intercorrere tra “Italiafili Old” e la s.p.a. Lease Ing. Mentre si fece ricorso all’interposizione della Mythos al solo scolo di far gravare sulla stessa il carico del tributo. Ciò è dimostrato dal fatto che vi fu continuità aziendale in quanto il patrimonio di pertinenza della s.r.l. “Italiafili Old” passo alla “Italiafili New” la quale ne ereditò non solo le sostanze ma anche l’elemento soggettivo ossia che i sig. F. i quali ebbero concretamente a percepire il corrispettivo della vendita degli immobili che non può essere imputato alla ditta proprio in forza della predetta continuità”, v. sentenza pag. 5), la società contribuente non aveva provato l’esistenza di valide ragioni economiche delle operazioni societarie da parte della società contribuente, confermandosi, così, della fattispecie elusiva (“l’affermazione sarebbe plausibile soltanto se le operazioni in questione… rispondessero ad esigenze ed a ragioni economiche e perseguissero finalità imprenditoriali prevalenti o quanto meno concorrenti con il correlato vantaggio fiscale”, v. sentenza pag. 5).

5. A seguito del ricorso, l’Agenzia delle entrate è rimasta intimata, pure a seguito della rinotifica (disposta con ordinanza di questa sezione del 14 marzo 2019) avvenuta a mezzo pec in data 10 maggio 2019.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di gravame la società ricorrente deduce la violazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 37, 37 bis, 39 e 41 bis, D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 25 e degli artt. 2697 e 2727 c.c. e art. 116 cod. proc. civ., per aver i secondi giudici ritenuto, sulla base di dati indiziari non significativi, l’ipotesi di cui all’accertamento riguardante l’interposizione fittizia della Mythos e l’elusione sul possesso del reddito di plusvalenza in capo ai soci della Italifili s.r.l., nonché per aver escluso l’idoneità della prova contraria offerta dalla società. In particolare, la ricorrente ritiene che non v’era nessuna prova per affermare l’elusività dell’operazione a vantaggio della Italiafili s.r.l. che, al contrario, aveva allegato prova documentale del fatto che gli immobili oggetto del contratto di “sale and lease back” fossero in proprietà della Opes s.r.l. e non della famiglia F.. Inoltre, deduce la violazione del divieto di doppia imposizione nella parte in cui la CTR ha presunto che gli utili extracontabili delle società di capitali a ristretta base azionaria fossero stati distribuiti ai soci (famiglia F.), mentre la documentazione allegata (il riferimento è al doc. allegato sub VII) provava che nell’ottobre 2004 la società Calathus S.S. aveva versato ad F.A. ed An. importi a titolo di utili “già tassati alla fonte”; la CTR avrebbe violato tale divieto anche nella parte in cui ha presunto che gli immobili alienati da Italiafili s.r.l. Old alla Calthus fossero stati retrocessi alla la società Italiafili s.r.l. New. In altri termini, non essendo Italiafili s.r.l. New divenuta proprietaria degli immobili oggetto del “sale and lease back”, alcuna pretesa fiscale poteva essere avanzata nei suoi confronti.

1.2. Con il secondo motivo, la ricorrente denunzia l’omessa, insufficiente, e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, circa un fatto decisivo e controverso, consistente nella mancata motivazione della selezione delle prove ritenute idonee ad acclarare i fatti che hanno determinato il rigetto dell’appello della società.

2. Entrambi i motivi sono inammissibili.

3. La giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato che non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – in relazione al quale la ricorrente propone il primo mezzo – l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, in quanto tale ricognizione è esterna al tipico vizio di sussunzione di cui allo specifico parametro di censura inerendo, in realtà, ad una valutazione del giudice di merito sottratta al sindacato di legittimità.

3.1. In tal senso è stato chiarito che la ricognizione erronea, censurabile con il vizio di violazione di legge, riguarda un’erronea sussunzione della fattispecie concreta alla fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’errore ricognitivo può altresì determinare la falsa applicazione della legge, laddove, pur se nel provvedimento impugnato è esattamente individuata la norma da applicare, ne è poi derivata una qualificazione giuridica impropria (perché la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla) oppure una decisione che ne contraddice la corretta interpretazione (cfr. Sez. 1, Ordinanza n. 24155 del 13/10/2017, Rv. 645538-03, – Sez. 3, Ordinanza n. 10320 del 30/04/2018, Rv. 648593-01; – Sez. 5, Sentenza n. – 23851 del 25/09/2019,- Rv. 655150-02; – Sez. 1, Ordinanza n. – 640 del 14/01/2019, Rv. 652398-01, – Sez. 1, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549-02).

4. Nella specie, l’oggetto delle censure riguarda quella parte della pretesa fiscale che ha trovato fondamento nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 37, comma 3, norma che regola la disciplina antielusiva dell’interposizione prevedendo l’imputabilità al contribuente dei redditi di cui appaiono titolari altri soggetti (cd. simulazione relativa per interposizione fittizia di persona), sempre che sia dimostrato “anche sulla base di presunzioni, gravi, precise e concordanti, che egli ne è l’effettivo possessore per interposta persona”. In base a tale previsione, i secondi giudici hanno ritenuto che la stretta correlazione tra quote societarie oggetto della di “una serie di compravendite di partecipazioni societarie” (v. sentenza pag. 5) e la continuità aziendale tra Italiafili Old s.r.l. ed Italiafili New s.r.l. entrambe costituite da una compagine sociale a ristretta base familiare (famigli F.), a ristretta base delle società, costituissero presunzioni gravi, precise e concordanti per affermare la responsabilità fiscale della società contribuente-interposta.

4.1. Orbene, tale verifica inferenziale, riguardando il tipico giudizio di merito, risulta incensurabile in questa sede.

4.2. In particolare, con riferimento alla disciplina di cui all’art. 37, comma 3, D.P.R. cit., questa Corte ha chiarito che essa non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l’applicazione del regime fiscale proprio dell’operazione economica sostanziale programmata e realizzata (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 21952 del 28/10/2015, Rv. 637004-01, Sez. 5, Sentenza n. 25671 del 15/11/2013, Rv. 628458-01); è stato soggiunto che, proprio in quanto non presuppone un comportamento fraudolento, il fenomeno della simulazione relativa non esaurisce l’ambito di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali (cfr. Sez. 5, Ordinanza n. 17128 del 28/06/2018, Rv. 649608-01) nelle quali “difetta del tutto l’elemento caratteristico dei negozi simulati costituito dalla divergenza tra la dichiarazione esterna e l’effettiva volontà dei contraenti o meglio dalla relazione funzionale, integrante la causa unitaria, che intercorre tra il negozio apparentemente stipulato (simulato) e quello effettivamente concluso dalle parti (dissimulato)” (cfr. Sez. 5, Ordinanza 05/12/2018, n. 31452).

4.3. Riguardo al riparto dell’onere della prova in tema di elusione fiscale, questa Corte ha precisato che, mentre incombe sull’Amministrazione finanziaria la prova sia del disegno elusivo che delle modalità di manipolazione e di alterazione degli schemi negoziali classici, considerati come irragionevoli in una normale logica di mercato e perseguiti solo per pervenire al risultato d’indebito vantaggio fiscale (cfr., tra le altre, Cass. Sez. 5, Ordinanza. 20/06/2018, n. 16217; Cass. Sez. 6-5, Ordinanza. 13/04/2017, n. 9610; Cass. Sez. 5, 28/02/2017, n. 5090 in tema di dividenti, cfr. Sentenza 20 novembre 2020, n. 26476), spetta al contribuente dimostrare l’esistenza di ragioni economiche apprezzabili che giustifichino l’operazione, che possono consistere anche in esigenze di natura organizzativa ed in un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda (in tal senso cfr. Cass. Sez. 5, 26/02/2014, n. 4604; Cass. Sez. 5, 21/01/2011, n. 1372).

4.4. In tema di divieto di praesumptum de praesumpto (che limiterebbe l’impiego delle presunzioni semplici ai casi nei quali il fatto noto è dimostrato con prove diverse dalle presunzioni o è percepito direttamente dal giudice ed escludendo le presunzioni di secondo grado) è stato precisato che la prova inferenziale che sia caratterizzata da una serie lineare di inferenze, ciascuna delle quali sia apprezzata dal giudice secondo criteri di gravità, precisione e concordanza, fa sì che il fatto “noto” attribuisca un adeguato grado di attendibilità al fatto “ignorato”, il quale cessa pertanto di essere tale divenendo noto, ciò che risolve l’equivoco logico che si cela nel divieto di doppie presunzioni (Sez. 5, Ordinanza n. 27982 del 07/12/2020, Rv. 659820-01; adde, Sez. 5, Sentenza, n. 15003 del 16/06/2017, Rv. 644693-01; Sez. 5, Ordinanza n. 20748 del 01/08/2019, Rv. 655040-01; Sez. 5., Sentenza, n. 5798 del 03/03/2020, in motiv., par. 12.1; Sez. 5, Ordinanza, n. 33961 del 19/12/2019; Sez. 5, Ordinanza, n. 33042 del 16/12/19; Sez. 5, Ordinanza, n. 7758 del 20/03/2019; Sez. 5, Ordinanza, n. 32458 e n. 32454 del 14/12/18; Sez. 5, Ordinanza, n. 25445 del 12/10/18).

4.5. In altri termini, laddove la prova inferenziale sia caratterizzata da una serie “lineare” di inferenze, ove cioè per ogni singola inferenza il giudice apprezza, secondo i criteri di gravità, precisione e concordanza, che il fatto “noto” sia in grado di attribuire un adeguato grado di attendibilità al fatto “ignorato”, quest’ultimo – secondo logica – cessa di essere fatto “ignorato” divenendo un fatto “noto”, smontando così l’equivoco logico che si cela dietro il divieto di doppia presunzione.

5. In sintesi di tali esiti, può dunque concludersi che il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, imputa al contribuente i redditi formalmente intestati ad un altro soggetto quando, in base a presunzioni gravi, precise e concordanti, egli ne risulti l’effettivo titolare (cfr. Sez. 5, Sentenza n. 15830 del 29/07/2016, Rv. 640621-01), sicché il ragionamento dei secondi giudici appare immune dalle censure prospettate.

6. Il secondo mezzo, con il quale la ricorrente censura il vizio di motivazione, è inammissibile, in quanto oggetto di impugnazione è una sentenza pubblicata in epoca successiva (sentenza depositata in data 24 febbraio 2014) alla data di entrata in vigore dell’art. 360 c.p.c., nuovo testo n. 5 che consente l’impugnazione per la diversa ipotesi di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Costituisce ius receptum che il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nell’attuale testo modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2 attiene necessariamente ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ossia un fatto storico-naturalistico, principale o secondario risultante dalla sentenza o dagli atti processuali (v. Sez. 6-1, 06/09/2019, n. 22397; Sez. 1, 18/10/2018, n. 26305) dedotto con un’esposizione chiara e sintetica, in relazione al quale si assume un vuoto argomentativo (omessa motivazione), oppure la carenza della trama argomentativi che la renda inidonea a dare conto delle ragioni della decisione (insufficiente motivazione) o, infine, un percorso argomentativo incomprensibile per l’insuperabile contrasto asserzioni inconciliabili (motivazione contraddittoria) (cfr., ex multis, Cass. 29/07/2015, n. 15997; Cass., 29/07/2011, n. 16655).

7. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

8. Nulla si provvede in ordine alle spese, poiché l’Agenzia delle entrate, vittoriosa, è rimasta intimata.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della V sezione civile della Corte di Cassazione, il 28 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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