Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.32605 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. PAOLITTO Liberato – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. MELE Maria Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 16481/2016 R.G. proposto da:

ALBA LEASING SPA, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Francesco de Beaumont, con domicilio eletto presso il suo studio sito in Roma, via Astura, n. 2/B;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, rappresentata e difesa dall’Avvocatura dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via de’ Portoghesi, n. 12;

– intimata –

MI.DI. s.r.l.;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, sez. staccata di Salerno n. 11949/15, depositata il 29 dicembre 2015.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 5 maggio 2021 dal Consigliere Maria Elena Mele.

RITENUTO

che:

La società Alba Leasing spa acquistava in data 25.7.2011 dalla società costruttrice Mi.Di. srl un immobile di circa 1.075 mq e un terreno pertinenziale. Con dichiarazione DOCFA, depositata in data 18.7.2011, l’immobile era accatastato in categoria D/1 “opificio”, confermato con successivo provvedimento dall’Agenzia del territorio.

In data 4.2.2013 l’Agenzia delle entrate notificava alla società Alba Leasing avviso di rettifica e liquidazione con il quale rettificava il valore dichiarato e rideterminava l’imposta ipotecaria e catastale. Riteneva, infatti, che il valore dell’immobile indicato nell’atto di compravendita non fosse congruo in relazione a quanto risultante dalla stima effettuata dall’Agenzia del territorio la quale – facendo riferimento alle categorie OMI – aveva inquadrato lo stesso come “laboratorio”, anziché nella categoria “capannoni tipici” e pertanto rideterminava le somme dovute per imposta ipotecaria e catastale.

Avverso tale atto la società Alba Leasing spa proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Avellino deducendo l’erronea qualificazione della tipologia di immobile (laboratorio, anziché capannone), l’errata indicazione delle caratteristiche dello stesso, nonché l’errata applicazione del metodo di comparazione utilizzato. La CTP accoglieva il ricorso annullando l’avviso di rettifica.

La Commissione tributaria regionale, avanti alla quale l’Agenzia delle entrate impugnava la sentenza, accoglieva l’appello.

La società Alba Leasing spa ha proposto ricorso per la cassazione di tale sentenza, affidato a tre motivi e assistito da memoria.

L’Agenzia delle entrate è rimasta intimata.

La MI.DI. s.r.l. è rimasta intimata.

RITENUTO

che:

Il primo motivo di ricorso è così rubricato: “Omesso esame circa un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). 1.1. Della contraddittorietà dell’azione amministrativa – 1.2 Della inesistenza dei presupposti per l’individuazione dell’immobile quale “laboratorio” – 1.3 Incidenza della violazione sull’esito del procedimento”.

La ricorrente rileva che presupposto per la rideterminazione del valore dell’immobile da parte dell’Agenzia delle entrate è costituito dal suo inquadramento, secondo le categorie OMI, come categoria “Immobili a destinazione ordinaria – Laboratori”.

La CTR avrebbe omesso di considerare la contraddittorietà della azione amministrativa derivante dal fatto che la stessa Agenzia, a seguito di dichiarazione DOCFA presentata dalla contribuente, aveva confermato l’accatastamento del bene come immobile a destinazione speciale “D/1 opificio”. Si tratterebbe non di differente valutazione, ma di diversità delle caratteristiche degli immobili ricompresi nelle due categorie.

Il giudice d’appello, inoltre, avrebbe omesso di valutare le eccezioni relative all’insussistenza delle caratteristiche minime dell’immobile per essere qualificato come laboratorio, ed in particolare la circostanza che esso è utilizzato non per la lavorazione o trasformazione di semilavorati (utilizzo tipico dei laboratori), bensì come deposito per la quasi totalità della superficie e per 15 mq è destinato alla vendita di autoricambi. Esso, inoltre, avrebbe un’estensione superiore a quella massima di 500 mq prevista per gli immobili ordinari.

Con il secondo motivo di ricorso si censura la violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 per violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione al D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 51 e 52 in quanto la CTR ha accolto la prospettazione dell’Ufficio benché questo non abbia soddisfatto l’onere della prova in ordine alle attività svolte all’interno dell’immobile e all’incremento di valore che esso sarebbe destinato a conseguire a seguito degli interventi previsti per l’area in cui esso è situato.

Con il terzo motivo si deduce la nullità della sentenzà ex art. 360 c.p.c. per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36. La CTR avrebbe violato le disposizioni del codice di rito disciplinanti i poteri del giudice nella valutazione delle prove in quanto avrebbe attribuito differente valore probatorio alla perizia dell’Agenzia rispetto a quella della contribuente, omettendo di esaminarne il contenuto e non avrebbe chiarito l’iter logico su cui ha basato il proprio convincimento.

Avrebbe inoltre erroneamente valutato le prove disponibili in quanto avrebbe da esse desunto l’idoneità dell’immobile a svolgere attività commerciale, circostanza mai contestata dalla contribuente limitatamente alla porzione di 15 mq, laddove invece l’Agenzia ha affermato che ivi si svolgeva attività artigianale.

Primo motivo è fondato.

L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nell’attuale testo modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 2 riguarda un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito a un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Sez. 6 – 1, n. 22397 del 06/09/2019, Rv. 655413 – 01).

Tale vizio sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non può, invece, consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perché la citata norma non conferisce alla Corte di legittimità il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti dei proprio convincimento e, a tale scopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. n. 6288 del 18/03/2011; Cass. n. 27162 del 23/12/2009; Cass. nr 14161/2019; 5643 del 2020).

Si è altresì precisato che la censura di omesso esame di un fatto decisivo deve concernere un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), così che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (cfr. Cass. Sez. U., 7 aprile 2014, n. 8053 cui adde, ex plurimis, Cass., 29 ottobre 2018, n. 27415; Cass., 13 agosto 2018, n. 20721; Cass. Sez. U., 22 settembre 2014, n. 19881).

Nella specie, la CTR ha omesso di prendere in considerazione e valutare fatti decisivi per la soluzione della controversia costituiti dalle caratteristiche intrinseche dell’immobile evidenziate dalla contribuente, quali, in particolare, la sua concreta destinazione, non già a lavorazione e trasformazione di semilavorati o ad attività artigianale, tipiche dei laboratori, bensì a deposito di materiale per la maggiore superficie, e utilizzo per la vendita per la superficie residua. Inoltre, non ha considerato la circostanza che la stessa Amministrazione aveva in precedenza classificato l’immobile come “Immobile a destinazione speciale – D/1 Opificio”. Trattasi di dati fattuali-naturalistici che, benché dedotti dalla contribuente tra i motivi di appello, non sono stati considerati dal giudice d’appello che ha concentrato il proprio esame unicamente sulla presenza o meno di decori strutturali nell’edificio e sulla zona nel quale lo stesso è inserito.

In definitiva il ricorso deve essere accolto limitatamente al primo motivo, assorbiti i restanti motivi, e la sentenza deve essere cassata con rinvio alla CTR.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, assorbiti il secondo e il terzo. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 5 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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