LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina – Consigliere –
Dott. FRACANZANI Marcello – Consigliere –
Dott. SAIEVA Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 1745/2015 R.G. proposto da:
A.U., rapp.to e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall’Avv.to Luciano Garatti con il quale è elettivamente domiciliato in Roma, Via della Giuliana n. 63 e dall’avv. Paolo Toniolatti;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi, n. 12.
controricorrente avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Trentino Aldo Adige, n. 85/01/13, depositata in data 27/11/2013, non notificata;
udita la relazione della causa svolta, nella udienza camerale del 11/06/2021, dal Consigliere Dott.ssa Rosita D’Angiolella.
RILEVATO
che:
1. Con avviso di accertamento n. *****, l’Agenzia delle entrate contestava ad A.U., per l’anno 2003, maggiore Irpef, per Euro 326.226,00, oltre interessi e sanzioni, derivante dall’atto di cessione di quote di partecipazione in M.C.S. s.r.l., effettuata in data 26 giugno 2001 da A.U. in favore della società Quota s.r.l., per il prezzo di Euro 1.333.917,00. Nella dichiarazione dei redditi, il contribuente aveva, invece, dichiarato, al rigo RT11, come totale del corrispettivo della cessione della partecipazione, Euro 1.333.917,00, ed al rigo RT 12, come totale dei costi e dei valori di acquisto Euro 1.309.213,00 quale somma residua dovuta dalla Quota s.r.l., contro il valore nominale di acquisto, accertato dall’Ufficio in Euro 104.000,00.
2. A.U. proponeva ricorso avverso l’avviso di accertamento sostenendo l’illegittimità della ripresa a tassazione, in quanto la somma de qua riguardava la restituzione di un finanziamento socio da lui effettuato, quale socio e amministratore della M.C.S. s.r.l., nei confronti della Quota s.r.l. e non, invece, il corrispettivo della cessione della quota di partecipazione; allegava all’uopo distinta bancaria, rilasciata dalla Cassa rurale di Folgaria filiale di Rovereto, dei movimenti bancari effettuati da Quota s.r.l. e dalla quale risultava la disposizione di bonifico effettuata in favore di A.U., il *****, con causale “restituzione finanziamento socio”. Assumeva, altresì, che il rigo RT12 della dichiarazione dei redditi per l’anno 2003, era stato compilato sulla base di una relazione giurata di stima, a firma del rag. M.R., asseverata in data 10 giugno 1999, avvelendosi, così, della facoltà di cui al D.Lgs. n. 461 del 1997, art. 14, commi 8 e 9, riguardante la determinazione del valore del cd. “capital gain”.
Chiedeva, pertanto, l’annullamento dell’atto impositivo per errata determinazione dell'”imputazione” della somma percepita ed, in subordine, la rideterminazione in Euro 24.702, 17 del “capital gain” da lui conseguito per il periodo di imposta relativo all’anno 2003. La Commissione tributaria provinciale di Trento, con sentenza n. 8/4/11, respingeva il ricorso.
3. A.U. proponeva appello avverso tale sentenza innanzi Commissione tributaria regionale del Trentino Alto Adige (di seguito, CTR) che, con la decisione in epigrafe, respingeva il gravame, confermando, in toto, le ragioni della decisione dei primi giudici.
4. A.U. ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a quattro motivi.
5. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso.
6. Il ricorrente ha presentato memoria telematica ex art. 380 bis-1 c.p.c.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo di ricorso, A.U. censura la decisione impugnata sotto il profilo della violazione e falsa applicazione di legge e, segnatamente, dell’art. 1193 c.c., per aver la CTR imputato il versamento effettuato da Quota s.r.l. al pagamento del corrispettivo pattuito per la cessione della partecipazione in M.C.S. s.r.l. e non, invece, al rimborso del finanziamento socio, dell’art. 2712 c.c., per aver escluso l’efficacia probatoria della contabile bancaria riguardante il rimborso finanziamento socio nonché dell’art. 2709 c.c., per avere ritenuto smentita la distinta bancaria dai bilanci e dalle scritture contabili della società Quota s.r.l.
1.1. Col secondo mezzo si duole, sempre in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto, in violazione del D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461, art. 14, comma 9, che il valore di carico della plusvalenza realizzata non fosse quello indicato al rigo RT12 della dichiarazione dei redditi ricavato dalla perizia.
1.2. Col terzo, deduce plurime violazioni di legge, in relazione dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, sia per violazione del D.Lgs. 21 novembre 1997, n. 461, art. 14, comma 9, che per violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, e dell’art. 132 c.p.c., per “motivazione perplessa, obiettivamente incomprensibile e per motivazione totalmente apparente”.
1.3. Col quarto deduce la violazione di legge, in relazione al combinato disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 4, per non aver i secondi giudici ritenuto “tempestiva” la produzione della perizia di parte riguardante il calcolo della plusvalenza.
1.4. Con la memoria telematica, la difesa del contribuente, dopo aver ribadito le doglianze di cui al ricorso, ha rilevato che, anche in caso di rigetto del ricorso, la sanzione amministrativa irrogata con la contestazione di infedele dichiarazione elevata con l’avviso di accertamento oggetto di causa, debba essere ridotta in misura più mite, così come previsto dal D.Lgs. n. 158 del 2015. All’uopo richiama la pronuncia di questa Corte n. 29359 del 23/12/2020.
2. Il ricorso, così come articolato nei quattro mezzi, è inammissibile.
2.1. La CTR del Trentino Alto Adige, con la sentenza che qui s’impugna, ha confermato l’accertamento dell’Ufficio valorizzando una serie di elementi circostanziali in base ai quali ha ritenuto fondate le ragioni dell’Ufficio circa la plusvalenza realizzata dal contribuente per la cessione di quote di partecipazione in s.r.l. e ha, per converso, ritenuto infondate le giustificazioni addotte dal contribuente sull’esistenza di un finanziamento soci quale causa della restituzione della somma erroneamente imputata come plusvalenza di cessione (v. sentenza pagg. 6-7). In particolare, ha escluso la sussistenza dell’asserita restituzione dei finanziamenti effettuati a favore della Quota s.r.l., sulla base delle seguenti considerazioni: 1) la lettera contabile rilasciata dalla cassa rurale di Folgaria, filiale di *****, con la causale “restituzione finanziamento soci”, oltre a non avere di per sé efficacia di prova piena, era smentita dalle scritture contabili esistenti agli atti (ovvero i bilanci della Quota s.r.l. del 31/12/2002 e del 32/12/2003) che specificamente riferivano la somma di Euro 1.333.917,00 alla cessione di quota effettuata dalla MCS s.r.l. in favore della Quota s.r.l.; 2) le scritture contabili della Quota s.r.l., alla data del 30/05/2003, annotano il “conto mastro n. 5.09.007 denominato soci finanziamenti infruttiferi con l’importo di Euro 1.449.999,00” e registrano, in data 16/07/003, finanziamenti ricevuti da altre società, nonché, sotto la voce “debiti diversi”, registrano l’importo di Euro 1.3333.917,00, corrispondente a quello indicato al rigo RT12 dall’ A., mentre il residuo (Euro 126.082,83) risultava imputato in dare a “conto soci finanziamenti infruttiferi”. Quanto alla determinazione del valore della plusvalenza, la CTR ha ritenuto che l’unico valore fiscalmente rilevante era quello determinato dall’Ufficio che ha considerato il valore iniziale della quota (nel 1991, epoca dell’acquisto da parte dell’ A., il valore era pari ad Euro 104.000,00) e non quello maggiore, di Euro 1.368.610,78, risultante dalla perizia giurata risalente all’anno 2001. Ha, altresì, sottolineato che “la perizia giurata prodotta dal contribuente (…) viene smentita da altra perizia giurata commissionata dall’altro socio di MSC s.r.l. (signor P.) che ha stimato il valore della stessa società in Euro 10.310.000,00 con la conseguenza che il valore della quota al 50% si attesta su Euro 5.155.000,00 la cui entità è più del triplo di quanto dichiarato dal sig. A.”.
3. Il ricorrente, nel dedurre il vizio di violazione e falsa applicazione di legge (artt. 1193,2709,2712 c.c., D.Lgs. n. 461 del 1997, art. 14, comma 9, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 4, art. 132 c.p.c.), pone a questa Corte il problema del rispetto dei profili contenutistici del ricorso in cassazione di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), e dei limiti del controllo del giudice di legittimità rispetto alla decisione di merito.
3.1. L’inammissibilità dei motivi si ricava alla stregua dei principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 7155 del 2017, secondo cui: “in tema di ricorso per cassazione per violazione o falsa applicazione di norme di diritto (sostanziali o processuali), il principio di specificità dei motivi, di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere letto in correlazione al disposto dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, risultando inammissibile, per difetto di specificità, il motivo di ricorso che, nel denunciare la violazione di norme di diritto, ometta di raffrontare la “ratio decidendi” della sentenza impugnata con la giurisprudenza della S.C. e, ove la prima risulti conforme alla seconda, ometta di fornire argomenti per mutare orientamento”, nonché con la sentenza del 28/10/2020, n. 23745, che ha ribadito che “l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4), impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa”.
3.3. Nella specie, il ricorrente lamenta, da un lato, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1193,2712 e 2709 c.c., senza confutare il percorso motivazionale con cui il giudice di merito ha inteso negare valore indiziario forte alla ricevuta bancaria, asserendone l’erroneità in quanto frutto di un’interpretazione non conforme a regole civilistiche che, peraltro, nulla hanno a che vedere con il giudizio di impugnazione dell’avviso di accertamento, né con la giurisprudenza di questa Corte; dall’altro, pur assumendo l’erroneità del calcolo della plusvalenza come effettuato dall’Ufficio e confermato da entrambi le commissioni tributarie (differenza tra il valore iniziale della partecipazione e il prezzo di cessione), non deduce in che termini la sentenza impugnata avrebbe violato o malamente applicato le norme di riferimento e l’interpretazione datane da questa Corte.
3.3. Sotto tale profilo, peraltro, le censure di cui al ricorso secondo cui se il giudice avesse considerato rettamente il diverso criterio d’imputazione indicato nella contabile bancaria (somma versata a titolo di finanziamento socio) e se avesse effettuato il calcolo della plusvalenza secondo il valore indicato in perizia, avrebbe determinato una decisione a lui favorevole (v. ricorso pagg. 8-9-10) costituiscono censure del merito della decisione, che esulano dai poteri di controllo del giudice di legittimità rendendo il ricorso inammissibile.
4. Corrobora la rilevata inammissibilità del gravame la considerazione che le norme di cui il ricorrente assume la violazione siano del tutto estranee alla fattispecie in esame non essendo opponibile all’Amministrazione erariale la disposizione di cui all’art. 1193 c.c., sull’individuazione del debito al quale riferire la pretesa, presupponendo tale disposizione una pluralità di rapporti obbligatori tra le stesse cui imputare il pagamento (v. Cass., 29/12/1993, n. 12938); egualmente, per la regola di cui all’art. 2709 c.c. che, nello stabilire che i libri e le altre scritture contabili delle imprese soggette a registrazione hanno prova contro l’imprenditore, pone in essere una presunzione semplice in sfavore dell’imprenditore che non ha valenza nei confronti dell’Amministrazione erariale, evidentemente terza rispetto al rapporto tra imprenditori; nonché per la regola di cui all’art. 2712 c.c. – che stabilisce l’efficacia di prova piena delle riproduzioni meccaniche fino al disconoscimento, formale, di colui contro il quale sono prodotte – avendo la CTR tratto il suo convincimento da una serie di elementi indiziari ritenuti prevalenti e che contraddicono le risultanze della ricevuta bancaria, fermo restando che anche l’eventuale “mancato riconoscimento” di colui contro il quale la scrittura è prodotta (da distinguersi dal disconoscimento effettuato nelle forme di cui all’art. 214 c.p.c.) consente al giudice di merito di apprezzare liberamente le riproduzioni legittimamente acquisite (cfr. Cass., 03/07/2001, n. 8898).
4.2. Quanto alle deduzioni di erronea applicazione del D.Lgs. n. 461 del 1997, art. 14, comma 5 – secondo cui se la CTR avesse considerato le risultanze della perizia di stima riguardante il suo patrimonio netto alla data del 28 gennaio 2001, allegata sub doc. 4 del fascicolo di primo grado, avrebbe determinato un diverso valore di carico delle partecipazioni già detenute al 28 gennaio 2001, in luogo dell’originario costo di acquisto alla data del 28 gennaio 1991-, oltre a celare la richiesta di una rivalutazione della perizia giurata e, quindi, del merito della decisione, stravolgono del tutto l’interpretazione di questa Corte sulle norme dettate in materia di calcolo della plusvalenza da cessione di partecipazione, secondo cui il D.Lgs. n. 461 del 1997, art. 14, comma 9, che disciplina la cd. imposta sostitutiva dei capital gains, realizza un’imposta “volontaria” in quanto frutto di una libera scelta del contribuente il quale opta per la rideterminazione del valore del bene, con conseguente versamento dell’imposta sostitutiva, nella prospettiva, in caso di futura cessione, di un risparmio sull’imposta ordinaria altrimenti dovuta (cfr., ex plurimis, Sez. 5, 12/11/2014, n. 24057 e Sez. 5, 20/02/2020, n. 4423).
5. Non può mancarsi di considerare, peraltro, che con il terzo mezzo vengono sovrapposti mezzi di impugnazione tra loro eterogenei, pur non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, come quello di violazione di legge (dedotto nel terzo mezzo in relazione al D.Lgs. n. 461 del 1997, art. 14, comma 9) che presuppone accertato gli elementi di fatto in relazione al quale si deve decidere sulla violazione o falsa applicazione della norma, di omessa motivazione (vizio dedotto in relazione all’art. 132 c.p.c. e al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, come motivazione apparente, perplessa ed incomprensibile) che richiede l’assenza di motivazione su di un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, senza che possa pretendersi da questo giudice il compito di dare forma e contenuto giuridici alle doglianze del ricorrente per poi di decidere successivamente su di esse.
6. L’inammissibilità del ricorso non incide sull’applicazione della lex mitior – invocata dal contribuente in memoria – sopravvenuta in punto di sanzioni fiscali.
6.1. Ed invero, in materia di irrogazione di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, nel rispetto del principio del “favor rei”, trova applicazione il trattamento più favorevole di cui al D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, la cui utilizzabilità quale “ius superveniens” è assicurata in pendenza di giudizio dall’art. 32, comma 1 (come modificato dalla L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 133), a condizione che vi sia un processo ancora in corso ed il provvedimento impugnato non sia, quindi, divenuto definitivo (cfr., Sez. 6-5, 27/06/2017, n. 15978; id., Sez. 5, 24/01/2018, n. 1706; Sez. 5 30/03/2021, n. 8716; sul trattamento sanzionatorio più favorevole in caso di cd. reverse charge; v: Sez. 5, 12/12/2019, n. 32552), condizioni che ricorrono tutte nel caso in esame.
7. In conclusione, la sopravvenuta revisione del sistema sanzionatorio tributario, introdotta dal D.Lgs. n. 158 del 2015 e vigente dal 1 gennaio 2016 a norma del medesimo D.Lgs., art. 32, applicabile retroattivamente in forza del principio del “favor rei”, comporta comunque la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio alla CTR per la loro rideterminazione.
7.1. La CTR, in sede di rinvio, è tenuta a provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.
PQM
La Corte, pronunciando sul ricorso proposto da A.U., cassa la sentenza impugnata limitatamente alle sanzioni e rinvia per la loro determinazione alla CTR del Trentino Alto Adige, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V sezione civile della Corte di Cassazione, il 11 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021
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