LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. RUSSO Rita – rel. Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
Dott. FILOCAMO Fulvio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso R.G.N. 26488/2016 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE – (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura generale dello Stato, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12;
– ricorrente –
contro
CONDOTTE NORD s.p.a., con sede in *****, in persona del legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa dall’avv. Giovanni Cocco, del foro di Milano, elettivamente domiciliata in Roma, via Cicerone 44, presso lo studio dell’avv. Giovanni Corbyons;
– controricorrente –
COMUNE DI ALMENNO SAN BARTOLOMEO, con sede in *****, in persona del Sindaco pro tempore rappresentato e difeso dall’avv. Calogero Seddio, del foro di Milano, elettivamente domiciliato in Roma, via Cicerone 44, presso lo studio dell’avv. Giovanni Corbyons;
avverso la sentenza n. 2067/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della LOMBARDIA, depositata in data 11 aprile 2016;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 17.06.2021 dal Consigliere Relatore RITA RUSSO.
RILEVATO
che:
La società Condotte e il Comune di Almenno hanno opposto l’avviso di liquidazione di imposta di registro per il lodo arbitrale dichiarato esecutivo nella controversia insorta tra essa società e il Comune. L’ufficio ha applicato l’aliquota del 3% secondo il disposto del D.P.R. n. 131 del 1986 (TUR), art. 37, e della tariffa allegata, art. 8.
I contribuenti hanno dedotto che si tratta del riscatto di una concessione già affidata dal Comune alla società e che l’indennità corrisposta è il corrispettivo per l’esercizio di un diritto riconosciuto dalla convenzione, sottoposta quindi a IVA, e che in quanto tale sconta l’imposta in misura fissa.
Il ricorso è stato accolto in primo grado.
L’Agenzia ha proposto appello che la CTR ha rigettato, rilevando che dall’esame del lodo arbitrale si evince che il riscatto non comporta alcun obbligo di risarcimento da parte del Comune, il quale esercita unicamente un diritto già riconosciuto nella convenzione stipulata e il corrispettivo che viene versato deriva dall’esercizio di detto diritto, trattandosi peraltro di un importo stabilito a priori rappresentato dal valore degli impianti da riscattare; non è quindi un risarcimento e viene a mancare il presupposto per l’imposizione alla tassa di registro in ragione principio di alternatività tra IVA imposta di registro. Il giudice d’appello ha pertanto concluso nel senso che nulla è dovuto dalla società contribuente ai fini dell’imposta di registro, avendo già scontato l’IVA sull’importo percepito.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate affidandosi ad un motivo. Hanno resistito con controricorso. il Comune e la società Condotte. Fissta l’udienza camerale del 17 giugno 20201 i controricorrenti hanno depositato memorie e il P.G., premettendo che la controversia appare meritevole di discussione in pubblica udienza, ha concluso per il rigetto del ricorso. La causa è stata trattata alla udienza camerale non partecipata del 17 giugno 2021.
RITENUTO
che:
Con il primo motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1,13; nonché del R.D. n. 2578 del 1925, artt. 24 e 26; ed infine del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 20, e della Tariffa, parte prima, art. 8, nota II.
L’agenzia deduce che la CTR ha travisato la natura giuridica dell’istituto del riscatto ai sensi del R.D. n. 2578 del 1925, art. 24, così come interpretato dal lodo arbitrale di cui si tratta. Premette che il lodo arbitrale non interferisce sulla natura giuridica dell’indennizzo per il rilascio anticipato; che ai sensi dell’art. 24, l’ammontare dell’indennità può essere determinato da accordo tra le parti con l’approvazione della giunta; in mancanza decide un collegio arbitrale. Questa indennità per il riscatto anticipato non è un corrispettivo per la cessione dei beni pur se parametrato al valore industriale dell’impianto; è piuttosto correlato al pregiudizio subito dal concessionario per l’anticipazione della restituzione rispetto alla naturale scadenza contrattuale che quindi è “equamente risarcita di un danno sicuramente di natura contrattuale costituente il ristoro a fronte dell’incolpevole inadempimento dell’amministrazione”.
Di contro i controricorrenti deducono che si tratta di un corrispettivo per l’esercizio di un diritto previsto in convenzione, che con il riscatto si è avuta la cessione dei beni (rete distribuzione gas e impianti) al Comune e che essi hanno già versato l’IVA. Nella memorià espongono inoltre che nelle more l’Agenzia ha emesso una prima cartella per l’intero importo (tassazione nella misura del 3%) poi oggetto di sgravio con successiva emissione di altra cartella dell’importo di Euro 200,00 (imposta in misura fissa), somma che è stata interamente pagata. Da ciò i contribuenti desumono che l’Agenzia abbia rivisto la sua originaria pozione e che la controversia sia da considerarsi risolta in base ai principi affermati dalla CTR.
Il motivo è infondato.
In primo luogo si rileva che pur se l’Agenzia, nelle more, ha operato lo sgravio della cartella emessa per l’intero importo preteso e di seguito avviato la procedura di riscossione soltanto per l’importo corrispondente alla tassazione in misura fissa, ciò non significa che abbia rinunciato al ricorso o aderito alla impostazione giuridica data dal giudice di secondo grado, posto che entrambi i giudici di merito hanno accolto il ricorso dei contribuenti (D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 68).
La controversia deve quindi decisa, senza necessità di ricorrere alla pubblica udienza, perché pur non essendovi un precedente specifico in materia, il punto centrale è il corretto inquadramento giuridico della indennità corrisposta alla società, che poggia sulla differenza tra indennizzo ed risarcimento, ormai consolidata in dottrina e in giurisprudenza.
Si qualifica indennizzo il compenso per uno spostamento di ricchezza la cui causa è un fatto lecito; di contro se la causa dello spostamento è antigiuridica si avrà il risarcimento del danno (in arg. Cass. sez. un 13448/2009).
La differenza sistematica tra i due istituiti risalta particolarmente in materia di rapporti tra il privato e le pubbliche amministrazioni qualora beni di appartenenza privata siano espropriati o comunque acquisiti dalle amministrazioni.
In questa materia si è affermato che il diritto all’indennizzo si fonda sul principio pubblicistico di giustizia distributiva, per cui non è consentito soddisfare l’interesse generale attraverso il sacrificio del singolo, senza che questo ne sia indennizzato: tale diritto, presupponendo un atto legittimo della p.a., si distingue dal risarcimento del danno ex art. 2043 c.c., il quale ultimo presuppone, invece, il fatto doloso o colposo della stessa p.a. (Cass. sez. un. 9341/2003).
Applicando questa differenza anche in ambito negoziale, si dovrà qualificare indennizzo il compenso per un atto lecito posto in essere da una parte che determini un impoverimento dell’altra rispetto all’originario sinallagma, ed in particolare per l’esercizio di un diritto riconosciuto negli accordi negoziali ad una delle parti.
Ciò premesso, il riscatto (anticipato) dei beni affidati in concessione sia che si voglia individuare la sua fonte nel R.D. n. 2758 del 1925, art. 24, oppure nella convenzione intervenuta tra le parti, costituisce un atto lecito e non già un illecito aquiliano o contrattuale: l’equo indennizzo che ne consegue è quindi un compenso e non un risarcimento.
Di conseguenza, non può condividersi la ricostruzione dell’Agenzia secondo la quale la parte privata avrebbe subito un danno a fronte di un “incolpevole inadempimento” dell’amministrazione.
E’ corretta pertanto, in punto di diritto, la ricostruzione del giudice di appello laddove osserva che il Comune esercitando un diritto già riconosciuto nella convenzione stipulata ha versato il corrispettivo dell’esercizio di detto diritto e non risarcito un danno;
meno corretta la conseguenza che il giudice d’appello ne trae e cioè che non sia dovuta alcuna imposta di registro avendo già scontato VIVA. In questo caso infatti il principio di alternatività tra IVA e imposta di registro comporta la tassazione in misura fissa (art. 40 TUR), importo che tuttavia, secondo quando esposto nelle memorie dei contribuenti è stato già pagato.
Ne consegue il rigetto del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese in favore di ciascuna delle parti nella misura di Euro 7.000,00 per compensi, 200,00 per esborsi non documentabili, oltre le spese di cui al D.M. n. 55 del 2014, art. 2, e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio da remoto, il 17 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021