LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8133-2015 proposto da:
Z.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DI VILLA PAMPHILI 25, presso lo studio dell’avvocato PIERALFONSO LONGO, rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO ROSSI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI;
– intimato –
avverso la sentenza n. 113/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/03/2014 R.G.N. 2327/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/01/2021 dal Consigliere Dott. NEGRI DELLA TORRE PAOLO.
PREMESSO IN FATTO
che con sentenza n. 113/2014, depositata il 19 marzo 2014, la Corte di appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, ha respinto l’opposizione proposta da Z.R. avverso l’ordinanza ingiunzione n. 32/2005 emessa dalla Direzione Provinciale del Lavoro di Latina;
– che la Corte ha considerato rituale la notifica dell’ordinanza-ingiunzione intervenuta il 20 gennaio 2005 e, pertanto, tardivo e inammissibile il ricorso in opposizione depositato, a seguito di una seconda notifica, il 16 maggio 2008;
– che, in particolare, la Corte territoriale ha rilevato come non fosse stata rinvenuta negli atti copia della relazione della notifica in data 20/1/2005 e come peraltro l’opponente non avesse rivolto specifiche e puntuali contestazioni all’accertamento in fatto compiuto dal giudice di primo grado, il quale aveva ritenuto che detta notifica fosse stata perfezionata e che il destinatario avesse rifiutato di riceverla, né avesse prima ancora, all’udienza di discussione, contestato, se non del tutto genericamente, l’affermazione della resistente, per la quale la prova dell’avvenuta notifica era desumibile dall’annotazione “respinto” apposta dall’agente postale;
– che inoltre, ad avviso della Corte, non era configurabile alcuna violazione delle norme in materia di notificazioni a mezzo posta, stante il disposto della L. n. 890 del 1982, art. 8, comma 1 e alla stregua dei principi di diritto affermati da Cass. n. 5026/2012 e n. 3737/2004, non risultando, d’altro canto, pertinenti alla fattispecie concreta i richiami alla giurisprudenza costituzionale e di legittimità formulati dall’opponente;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione lo Z., con due motivi, assistiti da memoria;
– che il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Direzione Provinciale del Lavoro di Latina è rimasto intimato;
rilevato:
che con il primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., il ricorrente censura la conclusione cui è pervenuta la Corte, non essendovi in atti prova documentale della notificazione e le affermazioni sul punto dell’Amministrazione essendo state sempre contestate;
– che con il secondo viene dedotta la violazione e falsa applicazione della L. 20 novembre 1982, n. 890, artt. 8, 9 e 12, ribadendosi la irritualità della notifica del 20 gennaio 2005 alla luce di varie pronunce costituzionali e di legittimità;
osservato:
che il primo motivo è inammissibile;
– che invero la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360 c.p.c., n. 5): Cass. n. 13395/2018, fra le numerose conformi;
– che, d’altra parte, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito configura un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito, con modif., dalla L. n. 134 del 2012 (Cass. n. 23940/2017, fra le molte conformi);
– che il secondo motivo è parimenti inammissibile, poiché ripropone argomentazioni e difese già svolte in grado di appello, attraverso i medesimi richiami giurisprudenziali, senza confrontarsi in alcun modo con la motivazione della sentenza impugnata che tali richiami ha ritenuto non conferenti in rapporto alla fattispecie dedotta in giudizio;
– che deve ribadirsi che il ricorso per cassazione richiede, da un lato, per ogni motivo di ricorso, la rubrica del motivo, con la puntuale indicazione delle ragioni per cui il motivo medesimo – tra quelli espressamente previsti dall’art. 360 c.p.c. – è proposto; dall’altro, esige l’illustrazione del singolo motivo, contenente l’esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato ne(la rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. n. 18421/2009); e che quando nel ricorso per cassazione è denunziata violazione o falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto, a pena di inammissibilità, non solo mediante la puntuale indicazione delle norme asseritamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni, intese motivatamente a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto, contenute nella sentenza gravata, debbono ritenersi in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 635/2015, fra le molte conformi);
ritenuto:
conclusivamente che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
– che non vi è luogo a pronuncia sulle spese, essendo il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – D.P.L. di Latina rimasto intimato.
PQM
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 28 gennaio 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021