Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.32751 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERRINO Umberto – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28424-2017 proposto da:

T.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ENNIO QUIRINO VISCONTI 20, presso lo studio dell’avvocato MARCO D’AREZZO, rappresentato e difeso dall’avvocato PASQUALE FATIGATO;

– ricorrente –

contro

BANCO DI NAPOLI S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE DE LUCA TAMAJO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2334/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 28/11/2016 R.G.N. 4952/2010;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/03/2021 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE.

PREMESSO che con sent. n. 2334/2016, pubblicata il 28 novembre 2016, la Corte di appello di Bari, accolto il gravame del Banco di Napoli S.p.A., ha respinto, in riforma della sentenza di primo grado, le domande con le quali T.M., quadro direttivo già preposto al contenzioso, aveva lamentato la illegittima dequalificazione subita a partire dal settembre 2002, quando era stato privato di poteri decisionali e del potere gerarchico e gli erano state assegnate mansioni, meramente esecutive e ripetitive, di gestione e recupero crediti, chiedendo la condanna della società al risarcimento del danno alla professionalità; – che, respinte le eccezioni pregiudiziali di inammissibilità dell’appello (per nullità della procura alle liti; per carenza di legittimazione processuale; per difetto di legittimazione ad impugnare), la Corte territoriale ha ritenuto, quanto al merito, insussistente la dedotta dequalificazione, posto che al dipendente erano state affidate, a seguito di un processo di riorganizzazione interna, attività – quali la gestione e il recupero crediti – aventi rilevante contenuto specialistico e importanza centrale per la realizzazione delle finalità produttive di un’azienda di credito;

– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore con tre motivi, cui ha resistito il Banco di Napoli S.p.A. con controricorso, illustrato da memoria.

RILEVATO

che con il primo motivo viene dedotta dal ricorrente violazione e falsa applicazione degli artt. 75,77 e 83 c.p. e art. 163 c.p., n. 6, artt. 414 e 437 c.p.c. e art. 2697 c.c., ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, per avere la Corte respinto l’eccezione di nullità della procura, sollevata sul rilievo che né dal contenuto di essa, né dall’intestazione dell’atto di impugnazione, era dato comprendere la posizione ricoperta, all’interno della società, dal soggetto (Dott. V.M.) che si era qualificato come suo procuratore speciale; e per avere respinto l’eccezione di carenza di legittimazione processuale del medesimo soggetto, a mezzo del quale il Banco si era costituito nel giudizio di appello, eccezione sollevata sul rilievo della omessa allegazione della procura speciale al fascicolo di parte: il ricorrente censura la sentenza là dove la Corte territoriale ha ritenuto documentato, attraverso la successiva produzione di atto notarile, il rilascio della procura speciale al V., senza considerare che in sede di gravame non sono ammessi nuovi mezzi di prova e che l’omesso deposito, con il ricorso in appello, della procura speciale (come dell’atto di trasformazione, di cui al secondo motivo) avrebbe dovuto determinare la decadenza dal diritto alla produzione;

– che con il secondo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 110 e 437 c.p.c. e art. 2697 c.c., ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, il ricorrente censura la sentenza per avere la Corte territoriale respinto l’eccezione di carenza di legittimazione del Banco di Napoli S.p.A. ad impugnare la sentenza di primo grado in quanto resa nei confronti di un soggetto giuridico diverso (San Paolo Banco di Napoli S.p.A.): rigetto che la Corte aveva motivato rilevando che la parte appellante aveva documentato, con la produzione del verbale dell’Assemblea straordinaria in data 8 giugno 2007, l’avvenuta modifica della denominazione sociale della società da San Paolo Banco di Napoli S.p.A. a Banco di Napoli S.p.A. e, pertanto, valorizzando un documento che non era stato depositato contestualmente all’atto di gravame e la cui produzione non era stata successivamente autorizzata;

– che con il terzo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 e 2697 c.c., dell’art. 66 c.c.n.l. per i dipendenti delle aziende di credito dell’11 luglio 1999 e dell’art. 73 c.c.n.l. per i medesimi dipendenti del 12 febbraio 2005, nonché omesso esame circa un fatto decisivo (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5): il ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia limitato il proprio apprezzamento alle declaratorie formali, senza procedere ad un attento esame delle mansioni espletate prima e dopo l’esercizio dello jus variandi da parte del datore di lavoro e ad una comparazione delle stesse sul piano concreto, e sia di conseguenza pervenuta, ritenendone l’equivalenza, ad una conclusione del tutto erronea;

osservato:

che il primo e il secondo motivo non possono trovare accoglimento;

– che la Corte ha respinto le eccezioni pregiudiziali sulla base della documentazione depositata dalla parte appellante nel corso del giudizio di secondo grado, vale a dire: 1) l’atto notarile in data 1/9/2009, con il quale era stata rilasciata procura speciale a favore del Dott. V.M. e cioè di colui che aveva conferito la procura a margine del ricorso in appello; 2) il verbale dell’Assemblea straordinaria in data 8/6/2007, che aveva deliberato la modifica della denominazione sociale della società da Sanpaolo Banco di Napoli S.p.A. a Banco di Napoli S.p.A.;

– che, ciò premesso, è da ritenere che la sentenza vada esente dalle censure che, con i motivi in esame, le vengono rivolte, alla luce del principio, secondo il quale “In caso di omesso deposito della procura generale alle liti, che sia stata semplicemente enunciata e richiamata negli atti della parte, il giudice non può dichiarare l’invalidità della costituzione di questa senza aver prima provveduto – in adempimento del dovere impostogli dall’art. 182 c.p.c., comma 1, – a formulare l’invito a produrre il documento mancante; tale invito, in caso non sia stato rivolto dal giudice istruttore, deve essere fatto dal collegio, od anche dal giudice dell’appello, poiché la produzione di quel documento, effettuata nel corso del giudizio di merito, sana ex tunc la irregolarità della costituzione” (Cass. n. 3181/2016; conforme n. 8435/2006); alla luce, inoltre, del principio, secondo il quale “Qualora il ricorso per cassazione venga proposto da un soggetto che non sia stato parte del giudizio di merito, come si verifica quando il ricorrente sia una società che assuma di derivare, per fusione o trasformazione, dalla società che aveva partecipato al predetto giudizio, l’indicato soggetto deve dare la prova della sua derivazione dalla preesistente società, onde, se l’onere non venga assolto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile” (Cass. n. 14910/2001, fra altre pronunce conformi): onere di prova che invece nella specie, e come già rilevato, la Corte territoriale ha ritenuto assolto con la produzione del verbale dell’Assemblea straordinaria in data 8/6/2007, a seguito di invito da parte del collegio a rendere chiarimenti in ordine a tale questione, come sulle altre pregiudiziali;

– che egualmente non può trovare accoglimento il terzo motivo di ricorso;

– che al riguardo si deve, in primo luogo, rilevare che il ricorrente non censura quella parte di motivazione della sentenza impugnata, in cui la Corte di appello di Bari ha accertato come l’assegnazione del lavoratore ad altro incarico (assegnazione che peraltro egli stesso aveva sollecitato) conseguisse da un processo di riorganizzazione, che aveva determinato “un diverso assetto delle attività di recupero crediti ed il venir meno della posizione di lavoro cui il ricorrente (quale preposto al contenzioso) era stato già addetto”: riorganizzazione “la cui effettività la stessa parte appellata” non aveva “mai messo in discussione” e che aveva segnato uno iato tra le mansioni in precedenza svolte e quelle successivamente assegnate al lavoratore (cfr. sentenza, p. 7, primo capoverso);

– che, poste tali premesse fattuali, la Corte ha poi richiamato il consolidato orientamento, di recente ribadito (Cass. n. 29626/2019), per il quale “La disposizione dell’art. 2103 c.c. sulla disciplina delle mansioni e sul divieto di declassamento va interpretata alla stregua del bilanciamento del diritto del datore di lavoro a perseguire un’organizzazione aziendale produttiva ed efficiente e quello del lavoratore al mantenimento del posto, con la conseguenza che, nei casi di sopravvenute e legittime scelte imprenditoriali, comportanti, tra l’altro, interventi di ristrutturazione aziendale, l’adibizione del lavoratore a mansioni diverse, ed anche inferiori, a quelle precedentemente svolte senza modifica del livello retributivo, non si pone in contrasto con il dettato del codice civile” (Cass. n. 11395/2014, già cit. in sentenza);

– che la ragione decisoria così adottata dalla Corte di appello, né i relativi presupposti in fatto, sono in alcun modo censurati dal ricorrente;

– che, d’altra parte, la Corte risulta avere esaminato, in concreto, anche il contenuto delle mansioni di nuova assegnazione, alla stregua del materiale probatorio acquisito, di fonte sia testimoniale che documentale, pervenendo alla conclusione della loro sostanziale equivalenza rispetto a quelle precedenti, per il carattere oggettivamente specialistico e per l’attinenza ad un’attività (di recupero crediti) direttamente ricompresa nelle finalità produttive perseguite da un’azienda di credito;

– che, a fronte di tale considerazione, e fermo restando che l’onere di allegazione e prova in tema di dequalificazione professionale e conseguente risarcimento del danno compete al lavoratore (Cass. n. 24585/2019, fra le numerose conformi), non può riguardarsi come decisiva, ex art. 360 c.p.c., n. 5, la denuncia di omesso esame della qualità di semplice “addetto”, che il ricorrente, secondo la sua prospettazione difensiva, avrebbe rivestito a seguito dell’assegnazione di nuove mansioni: denuncia che peraltro, come più in generale l’intero motivo in esame, si risolve in un inammissibile invito ad una rilettura delle prove e ad un nuovo apprezzamento dei fatti di causa, in contrasto con le funzioni e con il ruolo attribuito al giudice di legittimità;

ritenuto:

conclusivamente che il ricorso deve essere respinto;

– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.250,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 23 marzo 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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