LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –
Dott. PAGETTA Antonella – rel. Consigliere –
Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 14909-2019 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI, 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, rappresentato e difeso dall’avvocato GAETANO GRANOZZI;
– ricorrente –
contro
S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ARNO 38, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA MONCADA, rappresentato e difeso dall’avvocato ARNALDO FARO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 289/2019 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 14/03/2019 R.G.N. 792/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/06/2021 dal Consigliere Dott. ANTONELLA PAGETTA;
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE ALBERTO, visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 289/2019 la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza di primo grado di rigetto dell’opposizione spiegata da Poste Italiane s.p.a. avverso l’ordinanza di accoglimento della impugnativa del licenziamento intimato dalla società a S.M. in data 18.2.2016 ed ordinato la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro.
2. La statuizione di conferma è stata fondata, in condivisione alla motivazione alla base della decisione di primo grado, sulla considerazione che la società Poste Italiane aveva consumato il potere disciplinare avendo già in precedenza irrogato una sanzione conservativa in relazione ai medesimi fatti materiali; tale sostanziale identità non veniva meno in conseguenza della sentenza penale di condanna intervenuta su tali condotte; neppure poteva riconoscersi rilievo al fatto che la prima contestazione aveva ad oggetto “irregolarità amministrative” di carattere colposo mentre la seconda contestazione aveva ad oggetto una condotta dolosa caratterizzata da “volontà appropriativa” in quanto gli elementi in atti deponevano per la ragionevole consapevolezza ab origine della parte datoriale della rilevanza anche dolosa della condotta posta in essere dal S.; in presenza dell’identità sostanziale del fatto ed a prescindere dalla riqualificazione dello stesso, il principio del ne bis in idem precludeva la possibilità di sanzionare una seconda volta la medesima condotta; il fatto (divenuto) non più sanzionabile per effetto della consumazione del potere punitivo datoriale si configurava, quindi, quale fatto privo del requisito dell’antigiuridicità e giustificava, sotto il profilo della tutela applicabile una pronunzia reintegratoria ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18, comma 4, come novellato dalla L. n. 92 del 2012.
3. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso Poste Italiane s.p.a. sulla base di un unico motivo di ricorso; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.
4. Il Procuratore Generale ha depositato ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, conv. in L. n. 176 del 2020 requisitoria scritta con la quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
5. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con unico motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, artt. 7 e 18 e dell’art. 2119 c.c., censurando, in sintesi, la valutazione del giudice di merito in ordine alla coincidenza dei fatti oggetto della seconda contestazione con quelli oggetto della prima per i quali era stata applicata la sanzione conservativa; sostiene che il giudice di merito non aveva considerato l’elemento di assoluta novità, autonomamente contestato e sanzionabile, rappresentato dalla sentenza penale di condanna del S. per fatto appropriativo; la condanna in sede penale accresceva ex se il disvalore del comportamento ab origine contestato e sanzionato quale mera irregolarità amministrativa. Evidenzia in particolare che gli ispettori che avevano accertato le inadempienze operative del lavoratore, immediatamente sanzionabili, avevano rimesso ogni ulteriore valutazione all’esito del giudizio penale anche in considerazione delle documentate patologie di carattere depressivo- mentale dalle quali era affetto il S..
2. Il motivo è inammissibile.
2.1. E’ innanzitutto da premettere che la questione relativa al fatto che la società si era riservata ogni ulteriore azione/valutazione in considerazione delle condizioni psichiche nelle quali versava il S. non è stata specificamente affrontata dalla sentenza impugnata per cui, a fronte di ciò, onde impedire una valutazione di novità della questione, era onere del ricorrente quello di allegare l’avvenuta deduzione di esso innanzi al giudice di merito ed inoltre, in ossequio al principio di specificità del ricorso per cassazione, quello di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito (Cass. 09/08/2018, n. 20694; Cass. 13/06/2018, n. 15430; Cass. 18/10/ 2013, n. 23675), come viceversa non è avvenuto.
2.3. Il motivo in esame, che denunzia violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, artt. 7 e 18 e dell’art. 2119 c.c., pur formalmente ricondotto in rubrica all’ambito del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non risulta incentrato sul significato e sulla portata applicativa delle richiamate disposizioni come prescritto ai fini della valida deduzione del mezzo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (v. tra le altre, Cass. Sez. Un. 28/10/2020,n. 23745; Cass. 21/08/2020, n. 17570; Cass. 26/06/2013, n. 16038; Cass. 28/02/ 2012, n. 3010; Cass. 28/11/ 2007, n. 24756; Cass. 31/05/ 2006, n. 12984) ma tende in concreto ad una rivalutazione dei fatti di causa in punto di accertamento dell’identità delle condotte oggetto di duplice contestazione, sollecitando in tal modo un sindacato precluso al giudice di legittimità.
2.4. La sentenza impugnata ha affermato la identità dei fatti materiali oggetto della prima contestazione disciplinare, definita con sanzione conservativa, con quelli oggetto della seconda contestazione disciplinare che ha dato luogo al licenziamento disciplinare oggetto del presente giudizio; il giudice di appello ha specificamente affrontato il tema della possibile non coincidenza degli illeciti contestati per la diversa rilevanza dell’elemento soggettivo e riaffermato, anche sotto questo profilo, la identità delle condotte in questione osservando che gli elementi in atti deponevano per la consapevolezza in capo a Poste Italiane s.p.a. della possibile sussistenza dell’elemento doloso in capo al dipendente.
2.5. Tale accertamento circa la identità degli elementi costitutivi dell’illecito oggetto di (duplice) contestazione non è validamente censurato dalla società ricorrente che si limita ad esprimere un mero dissenso valutativo rispetto alle conclusioni attinte dal giudice di merito; la contestazione della ricostruzione del giudice di appello e’, infatti, affidata ad una diversa lettura degli atti di riferimento, che viene contrapposta a quella fatta propria dal giudice di merito, lettura intrinsecamente inidonea a dare contezza di un errore della sentenza impugnata riconducibile ad una delle ipotesi tassative per le quali, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1 è consentito il ricorso in cassazione. E’ ancora da rimarcare che l’accertamento alla base del decisum di secondo grado è espressione di attività riservata al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizio motivazionale in concreto precluso, ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., u.c., dalla esistenza di “doppia conforme”.
2.6. Tanto premesso è corretta la affermazione in diritto, conseguenziale all’accertamento della identità delle condotte oggetto di duplice procedimento disciplinare, che ritiene preclusa la sanzionabilità della medesima condotta dal principio del ne bis in idem; tale principio, che costituisce garanzia del giusto processo e la relativa inosservanza è capace di ledere i diritti individuali dell’uomo riconosciuti dall’art. 2 Cost. nonché il diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost. (Corte Cost. n. 69/1976), è stato riaffermato da questa Corte proprio in relazione ad ipotesi di sopravvenuta sentenza penale di condanna in relazione a fatti già oggetto di precedente contestazione disciplinare definita con l’irrogazione di sanzione conservativa. Invero l’avvenuta irrogazione al dipendente di una sanzione conservativa per condotte aventi rilevanza penale esclude che, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza di condanna per i medesimi fatti, possa essere intimato il licenziamento disciplinare; non è difatti consentito, per il principio di consunzione del potere disciplinare ed in linea con quanto affermato dalla Corte EDU, nella sentenza 4.3.2014, Grande Stevens ed altri c. Italia, che una identica condotta sia sanzionata più volte a seguito di una diversa valutazione o configurazione giuridica (Cass. 30/10/2018, n. 27657; Cass. 22/10/2014, n. 22388).
3. In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
4. Le spese di lite sono regolate secondo soccombenza.
5. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della società ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in Euro 5.250,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.
Così deciso in Roma, il 17 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021