Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32765 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3599-20189 proposto da:

B.A., R.C., B.R., BO.AS., B.L., rappresentati e difesi dall’avvocato ANTONIO MARCO AMADIO giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

B.M., B.G., B.F., elettivamente domiciliate in ROMA, VIALE DEI BASTIONI DI MICHELANGELO 5/A, presso lo studio dell’avvocato MONICA SAVONI, rappresentate e difese dall’avvocato LUIGI MARINO giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e B.E., BO.AN., BO.MA., BO.FE.;

– intimati-

avverso l’ordinanza n. 20971/2018 della CORTE DI CASSAZIONE, depositata il 22/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio del 27/05/2021 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Il Tribunale di Latina, con sentenza non definitiva n. 1360 del 2012, ha dichiarato ammissibile, rimettendo la causa in istruttoria per l’ulteriore corso, la domanda con la quale B.M., G., E. e F. avevano chiesto di accertare la simulazione dell’atto con il quale B.D. aveva venduto ai nipoti B.A., As., Ma. e L. un immobile sito a Latina, in quanto dissimulante una donazione, con la conseguente riduzione.

B.A. R. As., Ma. e L., nonché R.C. hanno proposto appello avverso tale sentenza.

B.M., G., E. e F. si sono costituite ed hanno chiesto il rigetto dell’appello.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza dell’11/9/2014, ha accolto l’appello ed ha riformato la sentenza appellata.

La Corte ha ritenuto che, allorquando l’erede intenda far valere la simulazione relativa e l’atto simulato, lesivo della sua quota di legittima, abbia, come nell’ipotesi di donazione dissimulata, tutti i requisiti di validità, l’azione di simulazione è in funzione unicamente dell’azione di riduzione ai sensi dell’art. 564 c.c., e non può che soggiacere alle condizioni stabilite da questa norma, per cui è proponibile solo se sussiste il presupposto al quale è condizionata l’azione di riduzione, vale a dire l’accettazione dell’eredità con beneficio di inventario: dispensati da tale onere sono i legittimari completamente pretermessi, laddove, nel caso di specie, ha osservato la corte, contrariamente a quanto ritenuto dal tribunale, il de cuius con gli atti dispositivi del patrimonio non aveva esaurito l’intero asse ereditario, essendo residuati, come indicato dagli appellanti, altri beni relitti, e cioè il provento della vendita da B.D. ai nipoti, i beni mobili costituenti gli arredi dell’abitazione e i crediti nei confronti dell’INPS, in ordine ai quali gli attori in riduzione – sui quali grava l’onere di provare l’inesistenza nel patrimonio del de cuius di altri beni oltre a quelli che formano oggetto dell’azione di riduzione – nulla hanno idoneamente ed efficacemente opposto, limitandosi ad una contestazione solo relativamente ai beni mobili ed al credito.

La Corte, quindi, ha dichiarato l’inammissibilità delle domande di simulazione dell’atto di compravendita del 16/6/1994, e della conseguente azione di riduzione della donazione dissimulata.

B.M., G., E. e F. hanno chiesto, per due motivi, la cassazione della sentenza della corte d’appello, ed al ricorso hanno resistito B.A., R., As., Ma., L. e R.C., mentre è rimasta intimata Bo.Fe..

Questa Corte con ordinanza n. 20971 del 22 agosto 2018 ha accolto il secondo motivo di ricorso, ed assorbito il primo, ha cassato la sentenza impugnata, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma.

Dopo aver disatteso l’eccezione di inammissibilità del ricorso per inesistenza della sua notificazione, rilevava che con il secondo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione dell’art. 115 c.p.c., e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, hanno censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello, aveva posto a carico dell’erede pretermesso l’onere di dimostrare l’inesistenza di un relictum, ritenendo che gli attori non avevano contestato l’esistenza, nel patrimonio del defunto, di altri beni relitti (il provento della vendita ai nipoti, gli arredi dell’abitazione ed i crediti verso l’INPS), come eccepito dai convenuti, laddove, però, l’esistenza di tali beni è stata solo dedotta, essendo rimasta solo un’allegazione di parte, trascurando, così, di considerare che, in realtà, gli stessi ricorrenti, quali appellati, nella comparsa di risposta del giudizio d’appello, avevano specificamente contestato l’esistenza di ulteriori beni da ricomprendere nella massa, vale a dire il credito dell’INPS, che non è stato ancora definitivamente riconosciuto né nell’an né nel quantum, il mobilio dell’abitazione del defunto, che è stato compreso nell’atto di donazione del 1982, unitamente agli altri accessori e pertinenze, e la somma di Euro 150.000,00, e cioè il prezzo della vendita del 1994, che, in realtà, non è mai entrata nel patrimonio del defunto, trattandosi di compravendita simulata. Ad avviso della Corte, tale motivo, da esaminare in via preliminare, era fondato, con assorbimento del primo.

Infatti, nella decisione oggi impugnata si ricordava che:

“Come questa Corte aveva già avuto modo di precisare, il legittimario pretermesso non è chiamato alla successione per il solo fatto della morte del de cuius, potendo acquistare i suoi diritti solo dopo l’esperimento delle azioni di riduzione o di annullamento del testamento. Ne conseguiva che la condizione della preventiva accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, stabilita dall’art. 564 c.c., comma 1, per l’esercizio dell’azione di riduzione, vale soltanto per il legittimarlo che abbia in pari tempo la qualità di erede, e non anche per il legittimario totalmente pretermesso dal testatore (Cass. n. 28632 del 2011). Ora, una totale pretermissione del legittimario può aversi tanto nella successione testamentaria, quanto nella successione ab intestato e, precisamente: a) nella successione testamentaria, se il testatore ha disposto a titolo universale dell’intero asse a favore di altri, in base alla considerazione che, a norma dell’art. 457 c.c., comma 2, questi non è chiamato all’eredità fino a quando l’istituzione testamentaria di erede non venga ridotta nei suoi confronti; b) nella successione ab intestato, qualora il de cuius si sia spogliato in vita dell’intero suo patrimonio con atti di donazione, sul rilievo che, per l’assenza di beni relitti, il legittimarlo viene a trovarsi nella necessità di esperire l’azione di riduzione a tutela della situazione di diritto sostanziale che la legge gli riconosce (Cass. n. 19527 del 2005; Cass. n. 13804 del 2006; Cass. n. 28632 del 2011; Cass. n. 16635 del 2013). Di qui, l’ulteriore conseguenza che il legittimario totalmente pretermesso che impugna per simulazione un atto compiuto dal de cuius a tutela del proprio diritto alla reintegrazione della quota di legittima, agisce, sia nella successione testamentaria, che nella successione ab intestato, in qualità di terzo e non in veste di erede, la cui qualità acquista solo in conseguenza del positivo esercizio dell’azione di riduzione, e non e’, come tale, tenuto alla preventiva accettazione dell’eredità con beneficio di inventario (Cass. n. 16635 del 2013; in senso conf., Cass. n. 12496 del 2007). Viceversa, se si tratta di azione di simulazione relativa proposta da chi già è erede in ordine ad un atto di disposizione patrimoniale del de cuius stipulato con un terzo, che si assume lesivo della quota di legittima ed abbia tutti i requisiti di validità del negozio dissimulato (come una donazione in favore di un altro erede), l’ammissibilità dell’azione, proposta esclusivamente in funzione dell’azione di riduzione prevista dall’art. 564 c.c., è condizionata dalla preventiva accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario (Cass. n. 15546 del 2017, in motiv.: “l’azione di simulazione relativa proposta dall’erede in ordine ad un atto di disposizione patrimoniale del “de cuius” stipulato con un terzo, che si assume lesivo della quota di legittima ed abbia tutti i requisiti di validità del negozio dissimulato (nella specie una donazione in favore di un altro erede), deve ritenersi proposta esclusivamente in funzione dell’azione di riduzione prevista dall’art. 564 c.c., con la conseguenza che l’ammissibilità dell’azione è condizionata dalla preventiva accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario”): tale condizione non ricorre, infatti, soltanto quando l’erede agisca per far valere una simulazione assoluta od anche relativa, ma finalizzata a far accertare la nullità del negozio dissimulato, in quanto, in tale ipotesi, l’accertamento della realtà effettiva consente al legittimario di recuperare alla massa ereditaria i beni donati, mai usciti dal patrimonio del defunto (Cass. n. 15546 del 2017: “l’esigenza del rispetto di tale condizione non ricorre quando l’erede agisca per far valere una simulazione assoluta od anche relativa, ma finalizzata a far accertare la nullità del negozio dissimulato, in quanto, in tale ipotesi, l’accertamento della realtà effettiva dell’atto consente al legittimario di recuperare alla massa ereditaria i beni donati, in realtà mai usciti dal patrimonio del defunto”; conf., Cass. n. 4400 del 2011). Nel caso di specie, come in precedenza esposto, la corte d’appello ha ritenuto che il de cuius, con gli atti dispositivi del suo patrimonio, non avesse, in realtà, esaurito l’intero asse ereditario, essendo residuati altri beni relitti, come il provento della vendita da B.D. ai nipoti, i beni mobili costituenti gli arredi della sua abitazione ed i crediti vantati dallo stesso nei confronti dell’INPS, in ordine ai quali gli attori, pur avendo l’onere di provare l’inesistenza nel patrimonio del de cuius di altri beni oltre a quelli che formano oggetto dell’azione di riduzione, nulla hanno idoneamente ed efficacemente opposto, essendosi limitati ad una contestazione solo relativamente ai beni mobili ed al credito. Così facendo, tuttavia, la corte di merito ha trascurato di considerare, pur trattandosi di fatti decisivi per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, che gli attori, come dimostrato dai corrispondenti passi della comparsa di risposta in appello riprodotti in ricorso (p. 24-27), avevano, in realtà, specificamente contestato l’effettiva sussistenza di tali cespiti ed, in ogni caso, la loro rilevanza ai fini della costituzione di un relictum tale da imporre loro, ai fini dell’ammissibilità delle azioni proposte, l’accettazione dell’eredità con beneficio d’inventario, evidenziando, in particolare, che: a) il credito verso l’INPS non è stato ancora definitivamente riconosciuto né nell’an né nel quantum ed e’, comunque, di valore esiguo; b) il mobilio dell’abitazione del defunto è compreso nell’atto di donazione del 1982, unitamente agli altri accessori e pertinenze; c) la somma di Euro 150.000,00, costituente il prezzo della vendita del 1994, non è mai entrata nel patrimonio del defunto, trattandosi di compravendita simulata. Eppure, si tratta di deduzioni che, se esaminate – e riconosciute fondate avrebbero senz’altro indotto la corte di merito a considerare gli attori come legittimari totalmente pretermessi dalla successione del de cuius e, quindi, per quanto sopra esposto, ad escludere che gli stessi avrebbero dovuto accettarne l’eredità con beneficio di inventario ai fini dell’esperimento dell’azione di simulazione del contratto di compravendita stipulato il 16/6/1994, in quanto preordinato esclusivamente al successivo eventuale esercizio dell’azione di riduzione della donazione che tale atto, in ipotesi, dissimula.

5. Il ricorso, quindi, dev’essere accolto e la sentenza impugnata, per l’effetto, cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio, per un nuovo esame, ad altra sezione della corte d’appello di Roma, che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.”

Per la revocazione di tale ordinanza propongono ricorso B.A., R.C., B.R., Bo.As., B.L..

Resistono con controricorso B.M., B.G., B.F..

B.E., Bo.An., Bo.Ma., Bo.Fe. non hanno svolto difese in questa fase.

Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso per la sua tardiva proposizione, come sollevata dalla difesa dei controricorrenti.

Si deduce che i controricorrenti, successivamente alla pronuncia dell’ordinanza impugnata, hanno notificato ai ricorrenti citazione per la riassunzione dinanzi al giudice di rinvio, notificata in data 3-5-7-10-12/11/2018 mentre il presente ricorso è stato notificato solo in data 1/2/2019.

Si assume che la notifica della citazione in riassunzione equivalga alla notifica dell’ordinanza della Suprema Corte e che quindi dalla stessa decorra il termine breve per proporre revocazione, termine già maturato alla data della notifica del presente ricorso.

La deduzione è priva di fondamento, occorrendo a tal fine rilevare che questa Corte ha di recente affermato il principio secondo cui (Cass. n. 31251/2018) la notificazione di un atto di impugnazione, per colui che la riceve, non consente la legale scienza della sentenza impugnata né la fa presupporre ed e’, pertanto, inidonea a fare decorrere il termine breve di impugnazione.

Ma anche a voler dissentire da tale orientamento, come parrebbe emergere dal precedente richiamato nel controricorso (Cass. n. 12290/2018, secondo cui la notifica della citazione per revocazione di una sentenza di appello faccia scattare il termine breve anche per la notifica del ricorso per cassazione avverso la stessa sentenza) rileva che nella fattispecie l’atto dalla cui notifica vorrebbe farsi discendere la decorrenza del termine breve, non è un atto di impugnazione, ma la semplice riassunzione del giudizio a seguito della cassazione con rinvio. Nell’ottica evidenziata da Cass. S.U. n. 12084/2016, la possibilità di individuare, ai fini della decorrenza del termine breve, degli atti equipollenti alla notificazione della sentenza, presuppone che la notifica degli stessi inneschi una dinamica processuale che faccia trascendere il processo in un’orbita impugnatoria, dalla quale non può regredire per rientrare in una fase di stasi meditativa.

Viceversa la riassunzione del giudizio a seguito della cassazione con rinvio anche per la parte che vi provveda non ha alcuna finalità di far entrare il processo in un’orbita impugnatoria, e non legittima quindi l’esigenza di accelerazione dei tempi di formazione del giudicato cui è sottesa l’abbreviazione del termine di impugnazione, avuto anche riguardo alla specifica disciplina di cui all’art. 391 bis c.p.c., che non prevedendo in caso di revocazione della decisione della Corte di Cassazione la sospensione del giudizio di rinvio o del termine per riassumerlo, pone come doverosa la riassunzione nel termine di cui all’art. 392 c.p.c., lasciando però impregiudicata la possibilità per la stessa parte riassumente di poter proporre revocazione avvalendosi del più ampio termine di cui all’art. 391 bis c.p.c.

Passando al ricorso per revocazione, si deduce la ricorrenza del vizio di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4, in quanto l’ordinanza impugnata sarebbe affetta da plurimi errori di fatto revocatori. In primo luogo, la decisione gravata non si sarebbe avveduta dell’esistenza del testamento pubblico del 31/3/1993 che attribuendo al figlio An. la disponibile ed i restanti due terzi ad An. ed alle figlie ricorrenti, escludeva che ricorresse una situazione di pretermissione, dovendo ritenersi che la designazione testamentaria sottenda l’esistenza di altri beni caduti in successione.

Ancora non si sarebbe avveduta della dichiarazione confessoria resa dalle attrici a pag. 19 del ricorso, laddove le stesse mostrano di essere consapevoli dell’esistenza di altri beni relitti.

Altro errore revocatorio consisterebbe nel non essersi avveduta della dichiarazione giudiziale resa dal de cuius, e precisamente nel precedente giudizio di simulazione, proposto quando B.D. era ancora in vita, nel quale aveva dichiarato di avere percepito il corrispettivo della vendita.

Si individua come ulteriore errore revocatorio la mancata considerazione come clausola di stile, relativamente all’atto di donazione dell’abitazione del de cuius, della previsione secondo cui la donazione ricomprendeva tutte le adiacenze, pertinenze, dipendenze, accessori e comodità, ritenendosi invece che era idonea a far rientrare nella donazione anche i beni mobili, gli oggetti preziosi ed il contante ivi presente, non avvedendosi appunto che si tratta di una clausola di stile.

Infine, si lamenta l’errore revocatorio, quanto alla mancanza di crediti nei confronti dell’INPS, solo in ragione della pretesa esiguità della somma vantata, trattandosi di credito la cui caduta in successione non è mai stata contestata, ed avendo carattere di irrilevanza il suo ammontare.

Il ricorso è inammissibile.

Ed, infatti con tutti gli errori denunciati in ricorso si mira a contestare la correttezza della decisione impugnata nella parte in cui avrebbe ravvisato negli attori la qualità di legittimari pretermessi, nell’accezione scaturente dalla parificazione alla formale pretermissione della condizione del legittimario che si trovi a succedere in un patrimonio in cui il relictum sia stato completamente assorbito da atti dispositivi posti in essere in vita dal de cuius, come appunto chiarito a pag. 6 e 7 dell’ordinanza revocanda, pur ricorrendo elementi probatori dai quali risultava che invece vi erano dei beni relitti, la cui presenza imponeva quindi la preventiva accettazione con beneficio di inventario al fine di far valere la simulazione nei confronti di atti posti in essere a favore di soggetti non chiamati come coeredi.

Tuttavia, preme rilevare che la decisione impugnata, lungi dall’affermare che all’apertura della successione non vi fosse alcun relictum e che quindi fosse dimostrata la qualità di legittimarie pretermesse delle attrici, ha rilevato che, contrariamente all’assunto della decisione di appello, le stesse attrici in comparsa di risposta in appello avevano contestato l’effettiva sussistenza dei beni asseritamente componenti il relictum, evidenziando (cfr. pag. 9 dell’ordinanza gravata) come la contestazione fosse rivolta sia all’esistenza del credito del de cuius verso l’INPS, sia al mobilio di abitazione del defunto (in quanto ricompreso nell’atto di donazione del 1982) sia alla somma asseritamente versata quale corrispettivo della vendita, che si assume essere invece simulata.

La sentenza della Corte distrettuale è stata quindi cassata in ragione dell’accoglimento della censura di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sub specie di omessa disamina di fatto decisivo per il giudizio, aggiungendo che le suddette deduzioni delle attrici “se esaminate – e riconosciute fondate – avrebbero senz’altro indotto la corte di merito a considerare gli attori come legittimari totalmente pretermessi dalla successione del de cuius…”.

La verifica della fondatezza di tali deduzioni è stata quindi devoluta al giudice del rinvio, chiamato espressamente a procedere a nuovo esame, anche dei fatti decisivi non precedentemente valutati.

Ciò comporta quindi che sia invocabile il principio affermato da Cass. sez. VI n. 12046/2018, quale Collegio previsto dai punti 41.2 delle tabelle 2014/2016 della Corte di Cassazione, composto dal Presidente e dai coordinatori delle sottosezioni, che è deputato a conoscere delle questioni processuali che implichino l’enunciazione di principi di diritto di portata generale che siano di competenza della Sezione, secondo cui il ricorso per revocazione delle pronunce di cassazione con rinvio deve ritenersi inammissibile quando l’errore revocatorio enunciato abbia portato all’omesso esame di eccezioni, questioni o tesi difensive che possano costituire oggetto di una nuova, libera ed autonoma valutazione da parte del giudice del rinvio ma non anche se la pronuncia di accoglimento sia fondata su di un vizio processuale dovuto ad un errore di fatto o se il fatto di cui si denuncia l’errore percettivo sia assunto come decisivo nell’enunciazione del principio di diritto, o, nell’economia della sentenza, sia stato determinante per condurre all’annullamento per vizio di motivazione.

Ne discende che dovendo il giudice del rinvio verificare, alla luce delle posizioni difensive delle parti, se effettivamente sussistesse un relictum, il ricorso per revocazione in esame deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Nulla a disporre quanto alle spese nei conforti delle parti rimaste intimate Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese in favore dei controricorrenti che liquida in complessivi Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato per il ricorso principale a norma degli stessi artt. 1-bis e 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 27 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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