LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 19055-2020 proposto da:
C.T., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MAURO PRETTI;
– ricorrente –
contro
COMUNE di BARI SARDO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA MELORIA, 27, presso lo studio dell’avvocato FEDERICA D’ALESSANDRO, rappresentato e difeso dall’avvocato BRUNO PILIA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 166/2020 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 04/03/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 10/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DELL’UTRI MARCO.
RILEVATO
che:
con sentenza resa in data 4/3/2020, la Corte d’appello di Cagliari ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado ha rigettato la domanda proposta da C.T. per la condanna del Comune di Bari Sardo al risarcimento dei danni asseritamente subiti dall’attrice in conseguenza di una caduta in cui la stessa sarebbe incorsa sulla sede stradale dedotta in giudizio;
a sostegno della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato come del tutto correttamente il primo giudice avesse rilevato il mancato raggiungimento di alcuna prova circa l’effettiva dinamica del sinistro e, in ogni caso, l’integrale riconducibilità del fatto alla grave negligenza della condotta nell’occasione tenuta dalla danneggiata;
avverso la sentenza d’appello, C.T. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;
il Comune di Bari Sardo resiste con controricorso;
a seguito della fissazione della Camera di Consiglio, la causa è stata trattenuta in decisione all’odierna adunanza camerale, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione di legge (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente escluso l’avvenuta acquisizione della prova della dinamica del fatto dannoso dedotto in giudizio, non avendo tenuto conto del valore rappresentativo degli elementi presuntivi disponibili, di per sé sufficienti a corroborare la descrizione del fatto così come dedotta in giudizio dalla medesima attrice;
con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2051 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente ritenuto decisiva, ai fini del rigetto della pretesa risarcitoria, la valutazione della condotta asseritamente negligente della danneggiata, trascurando di considerare la più volte denunciata mancata attività di controllo e di vigilanza, da parte del Comune convenuto, nella manutenzione del manto stradale dissestato sul quale si era verificato il sinistro;
entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono inammissibili;
osserva il Collegio come, attraverso i motivi in esame, la ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da norme di legge alleghi un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente la C. nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;
nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe dei motivi d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti o dei fatti di causa;
si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;
ciò posto, i motivi d’impugnazione così formulati devono ritenersi inammissibili, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;
sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con la conseguente condanna della ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre all’attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma degli stessi artt. 1-bis e 13.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.500,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma degli stessi artt. 1-bis e 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 10 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021