LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 31393-2019 proposto da:
C.G., rappresentata e difesa dagli avv.ti BRUNO BRUNETTI e MASSIMO OLIVETTI e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrente –
contro
A.L., rappresentata e difesa dall’avv. MAURO DIAMANTINI e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 556/2019 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 18/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/06/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
PREMESSO IN FATTO
Con atto di citazione notificato il ***** A.L. evocava in giudizio C.G. innanzi il Tribunale di Ancona, sezione distaccata di Senigallia, chiedendo emettersi nei suoi confronti sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., in relazione al contratto preliminare di compravendita di un immobile sottoscritto tra le parti in data *****. L’attrice, promissaria acquirente, esponeva che la convenuta si era resa inadempiente agli obblighi derivanti da detto accordo.
Nella resistenza della convenuta, il Tribunale accoglieva la domanda, disponendo il trasferimento della proprietà del bene in capo all’ A., previo il saldo del prezzo pattuito, maggiorato di interessi e rivalutazione, e condannando quest’ultima al versamento in favore della promittente venditrice di una indennità per l’anticipato godimento del cespite oggetto del preliminare.
Interponeva appello avverso detta decisione la A. e si costituiva in seconde cure la C., resistendo al gravame.
Con la sentenza impugnata, n. 556/2019, la Corte di Appello di Ancona accoglieva in parte l’impugnazione, escludendo sia la rivalutazione del saldo prezzo, trattandosi di debito di valore, che gli interessi, in assenza di specifica domanda sul punto, ed affermando altresì che non fosse dovuta alcuna indennità di occupazione, avendo la promittente venditrice concesso in comodato gratuito il bene oggetto della progettata compravendita alla promissaria acquirente.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione C.G. affidandosi a tre motivi.
Resiste con controricorso A.L..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il Relatore ha avanzato la seguente proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: “PROPOSTA DI DEFINIZIONE EX ART. 380-BIS C.P.C., INAMMISSIBILITA, o comunque RIGETTO, del ricorso.
La controversia ha ad oggetto l’esecuzione in forma specifica di un contratto preliminare di compravendita immobiliare. Il Tribunale ha accolto la domanda proposta da A.L., trasferendo a costei l’immobile previo il pagamento del residuo prezzo, maggiorato di interessi e rivalutazione monetaria a decorrere dalla firma del preliminare; al contempo, ha condannato l’attrice al pagamento dell’indennità di occupazione del bene compromesso in vendita.
Su appello della A., la Corte di Appello ha ritenuto:
1) che il residuo prezzo fosse un debito di valore e che dunque non fossero dovuti né la rivalutazione monetaria, né, in assenza di specifica domanda, gli interessi;
2) che non fosse dovuta l’indennità di occupazione, poiché tra le parti era stato concluso un contratto di comodato a termine collegato al preliminare di compravendita e funzionale ad attribuire alla promissaria acquirente l’anticipato possesso del bene, scadente alla data prevista per la stipula del definitivo.
Il ricorso, proposto dalla promittente venditrice C.G., è articolato in tre motivi.
Con il primo di essi la ricorrente lamenta l’omesso esame dell’inadempimento della promissaria acquirente, ma in effetti invoca una inammissibile revisione della valutazione di merito condotta dalla Corte territoriale, senza confrontarsi con la consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).
Con il secondo motivo lamenta l’omesso esame della domanda, proposta in via di estremo subordine in prime cure, di condanna della promissaria acquirente al prezzo di mercato dell’immobile, superiore a quello indicato nel contratto preliminare, al netto degli acconti versati. Nella prospettazione della ricorrente C., detta domanda comprendeva anche quella di risarcimento del maggior danno ex art. 1224 c.c., che la Corte di Appello ha ritenuto erroneamente non proposta.
Con il terzo motivo la ricorrente lamenta l’erronea esclusione degli interessi di mora, disposta dalla Corte territoriale sul medesimo erroneo presupposto dell’assenza di domanda sul punto; anche detta domanda sarebbe invece compresa in quella indicata nel secondo motivo di ricorso. Le due censure sono entrambe inammissibili, da un lato in quanto la ricorrente non deduce di aver riproposto in appello la domanda subordinata formulata in prime cure, e dall’altro lato in quanto l’interpretazione della domanda giudiziale è appannaggio del giudice di merito ed è censurabile in Cassazione soltanto quando quest’ultimo abbia esercitato il suo potere discrezionale oltre il limite della corrispondenza tra chiesto e pronunciato ovvero sostituendo d’ufficio una azione diversa a quella che la parte abbia inteso esercitare (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 8225 del 29/04/2004, Rv. 572456). Il che, nella specie, non si è verificato, posto che la Corte di Appello non ha pronunciato oltre la domanda, né su una domanda non proposta dalla parte, ma ha – al contrario – interpretato la domanda in senso più restrittivo di quello prospettato dalla C.”.
Il Collegio condivide la proposta del Relatore, osservando altresì che l’odierna ricorrente non aveva proposto appello avverso la decisione di prime cure, che aveva accertato il suo inadempimento al contratto preliminare di cui è causa; di conseguenza, le questioni concernenti la sussistenza del predetto inadempimento sono anche inammissibili perché coperte dal giudicato interno.
Non risultano depositate memorie.
Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese del presente giudizio di legittimità, da liquidare nei confronti della parte controricorrente, vanno poste a carico della parte ricorrente.
Ricorrono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.
PQM
La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta-2 Sezione Civile, il 24 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021