Corte di Cassazione, sez. II Civile, Ordinanza n.32800 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23852/2016 proposto da:

C.G., rappresentata e difesa dall’Avvocato LUCIANO CANNATA, ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Francesco Improta, in Roma VIA NICOLA RICCIOTTI 11;

– ricorrente –

contro

REGIONE SICILIA – DIPARTIMENTO REGIONALE DELLA PROTEZIONE CIVILE, in persona del Presidente in carica, rappresentato e difeso ex lege dall’AVVOCATURA GENERALE dello STATO, e domiciliato ope legis in ROMA, VIA dei PORTOGHESI 12;

– controricorrente –

e contro

COMUNE di CATANIA, in persona del sindaco, elettivamente domiciliato in CATANIA Via UMBERTO 151, presso l’Avvocatura comunale e il procuratore costituito;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1399/2015 della CORTE d’APPELLO di CATANIA, depositata il 16/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 06/05/2021 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 3775/2012, resa in data 18.12.2012, il Tribunale di Catania, in parziale accoglimento della domanda proposta dall’ing. C.G., dichiarava la REGIONE SICILIANA – DIPARTIMENTO REGIONALE della PROTEZIONE CIVILE tenuta al pagamento della quota parte del compenso professionale relativo alla redazione (unitamente ad altri professionisti estranei al giudizio) del progetto esecutivo e degli studi preliminari per la realizzazione dell’area attrezzata per la protezione civile integrata con infrastrutture di parcheggio denominata *****, sulla base dell’incarico conferito con disciplinare sottoscritto in data 27.3.2002 e, per l’effetto, condannava la convenuta al pagamento della somma di Euro 132.936,65, oltre interessi dalla domanda al soddisfo, nonché alla rifusione delle spese di lite, anche in favore del COMUNE di CATANIA, chiamato in giudizio su istanza della difesa erariale.

Avverso la sentenza proponeva appello la Regione Siciliana deducendone l’erroneità e chiedendone la riforma con il rigetto delle domande avanzate in primo grado dalla C. ovvero, in subordine, con il riconoscimento della legittimazione passiva del Sindaco del Comune di Catania, quale commissario delegato per l’emergenza traffico e sismica, condannando lo stesso a tenere indenne essa appellante da ogni somma eventualmente dovuta alla C., con il favore delle spese di entrambi i gradi.

Si costituiva l’ing. C. chiedendo il rigetto del gravame e reiterando l’estensione della domanda nei confronti del Comune di Catania di cui chiedeva – in via subordinata – la condanna solidale, ovvero in via esclusiva, delle somme accertate dalla sentenza di primo grado; vinte le spese di lite.

Si costituiva altresì il Comune di Catania chiedendo il rigetto dell’appello ovvero, in via subordinata, la riduzione della somma accertata dal primo giudice; con il favore delle spese del doppio grado.

Con sentenza n. 1399/2015, depositata in data 16.9.2015, la Corte d’Appello di Catania rigettava la domanda proposta da C.G. condannando la medesima alla restituzione in favore dell’Amministrazione appellante delle somme percepite in forza della sentenza gravata; condannava C.G. alla rifusione, in favore della Regione Siciliana e del Comune di Catania, delle spese di entrambi i gradi di lite; poneva a carico di C.G. le spese di CTU.

Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione C.G. sulla base di quattro motivi. Resistono le amministrazioni controricorrenti.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento al D.Lgs. n. 142 del 1948, art. 1)”, in quanto l’Avvocatura distrettuale dello Stato avrebbe avuto bisogno di un apposito incarico da parte della Regione Siciliana al fine di approntare la difesa, che esternasse la volontà dell’Amministrazione di agire in giudizio, mentre non era necessaria la procura alle liti.

1.1. – Il motivo non è fondato.

1.2. – Il D.Lgs. n. 142 del 1948, art. 1, ha esteso alla Amministrazione Regionale Siciliana le funzioni dell’Avvocatura dello Stato nei riguardi delle Amministrazioni statali. Nei confronti dell’Amministrazione Regionale Siciliana si applicano, infatti, le disposizioni del testo unico e del regolamento, approvati rispettivamente con il R.D. n. 1611 del 1933 e con il R.D. n. 1612 del 1933 e successive modificazioni, nonché gli artt. 25 e 144 c.p.c.. Pertanto gli Avvocati dello Stato esercitano le loro funzioni senza avere necessità di mandato; né l’ente pubblico deve manifestare alcuna volontà di difendersi.

Laddove poi, come nella specie, il patrocinio della Regione assume i caratteri dell’obbligatorietà (R.D. n. 1611 del 1933, art. 5), il conferimento dell’incarico è necessario solo ove si dovesse conferire mandato a un difensore del foro libero, non certo per attribuire all’Avvocatura dello Stato una funzione che le spetta per legge. Pertanto, l’ente è rappresentato, senza necessità di specifico mandato, dall’Avvocatura e si trova nell’impossibilità di affidare il patrocinio a legale diverso dall’Avvocatura dello Stato.

Correttamente, dunque, la Corte di merito disattendeva l’eccezione di inammissibilità dell’appello per difetto di incarico defensionale in capo all’Avvocatura distrettuale, trattandosi di ipotesi di patrocinio obbligatorio ai sensi del D.Lgs. n. 142 del 1948, art. 1, sicché le funzioni dell’Avvocatura sono le medesime svolte nei confronti delle Amministrazioni statali senza alcuna necessità di apposito mandato alle liti, R.D. n. 1611 del 1933, ex art. 1.

2. – Con il secondo motivo, la ricorrente deduce la “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento alla O.P.C.M. 20 dicembre 2002, n. 3259)”, osservando che, successivamente alla sottoscrizione del disciplinare di incarico del 27.3.2002, era stata emanata nel dicembre 2002 l’Ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri (n. 3259), con la quale all’art. 1 erano conferiti al Sindaco di Catania tutti i poteri delegati al commissario per l’attuazione degli interventi volti a fronteggiare l’emergenza del traffico e sismica; per l’espletamento di tale attività, il commissario delegato provvedeva alla definizione e all’esecuzione degli interventi necessari, specie con riferimento alla realizzazione dei parcheggi e delle infrastrutture viarie e di trasporto pubblico di massa, delle aree attrezzate per l’emergenza e dei relativi interventi volti a migliorare la sicurezza antisismica. Pertanto, per la ricorrente, l’unica autorità competente all’approvazione del progetto per cui è causa era il Sindaco di Catania, nella sua qualità di commissario delegato per l’emergenza traffico, in quanto la suddetta Ordinanza aveva modificato tutta la normativa previgente (si evidenzia che era stata allegata nel giudizio di primo grado (doc. 9) sia l’approvazione del progetto sul giornale “la Sicilia”, sia il provvedimento n. 18 del 13 maggio 2005, emesso dal Sindaco quale commissario delegato, con il quale veniva approvata la progettazione per cui è causa relativa al parcheggio scambiatore e all’area attrezzata).

2.1. – Il motivo non è fondato.

2.2. – Giustamente, il Giudice d’appello poneva in rilievo che l’art. 11 del disciplinare, sottoscritto in data 27.3.2002, stabiliva che il pagamento delle spese tecniche per la progettazione esecutiva sarebbe avvenuto dopo l’approvazione ai sensi dell’art. 1 dell’Ordinanza Ministeriale n. 2768/1998, su presentazione delle parcelle vistate dai competenti Ordini professionali e, in ogni caso, entro i limiti convenuti con il disciplinare e per gli importi riportati nel progetto approvato. Di conseguenza, l’approvazione del progetto assumeva valenza di fatto costitutivo della pretesa, in punto di esigibilità del pagamento; gravando dunque sull’attrice l’onere di provare sia l’esecuzione del progetto commissionato, sia la sua approvazione definitiva (sentenza pag. 6), mentre tale approvazione non risultava mai intervenuta, né tantomeno era stata dedotta la realizzazione dell’opera, risultando priva di giuridica valenza l’approvazione del solo progetto del “parcheggio scambiatore Mediterraneo” da parte del Sindaco del Comune di Catania, quale commissario delegato per l’emergenza traffico e sismica. Del resto, il capo di sentenza con cui il Tribunale aveva escluso la legittimazione passiva del Sindaco del Comune di Catania non era stato oggetto di doglianza da parte della C. (sentenza pagg. 5-6).

Va peraltro considerato che non può assumere rilevanza comparativa l’O.P.C.M. n. 3259 del 2002, di nomina del Sindaco di Catania, quale commissario delegato per l’emergenza traffico e sismica, in quanto tale ordinanza è successiva alla sottoscrizione del disciplinare e diretta a regolare rapporti contrattuali successivi all’ordinanza stessa (in ragione della sua natura di norma eccezionale e di stretta interpretazione, priva di efficacia retroattiva ed inidonea a innovare stabilmente l’ordinamento, avendo efficacia limitata nel tempo) e non i rapporti in corso come nella fattispecie.

3. – Con il terzo motivo, la ricorrente deduce l'”Omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., n. 5). Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento alla O.P.C.M. n. 3259 del 2002). Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento all’art. 346 c.p.c.)”, là dove la Corte territoriale rilevava che il capo di sentenza del Tribunale – con il quale si escludeva la legittimazione passiva del Sindaco di Catania, quale commissario delegato per l’emergenza traffico e sismica, non avendo detto ente assunto alcuna obbligazione circa il pagamento dei compensi professionali ai tecnici incaricati con disciplinare del 27.3.2002 – non era stato oggetto di doglianza da parte della C.. Si evidenzia che, invece, nella memoria di costituzione in appello la C., in via subordinata, reiterava l’estensione di tutte le domande avanzate nei confronti della Regione Siciliana anche al Comune di Catania. La Corte d’Appello avrebbe errato nel non prendere in esame tale capo di domanda, ritenendo che nessuna richiesta fosse stata avanzata nei confronti del Comune di Catania.

3.1. – Il motivo (come formulato) è inammissibile.

3.2. – In termini generali, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea valutazione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione (peraltro, entro i limiti del paradigma previsto dal nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. n. 24054 del 2017; ex plurimis, Cass. n. 24155 del 2017; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2016).

Le Sezioni Unite hanno ritenuto che l’onere di specificità dei motivi, di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, impone al ricorrente, a pena d’inammissibilità della censura (non già di limitarsi ad indicare le norme asseritamente violate ovvero i parametri evocati, come nella specie riguardo ai profili secondo e terzo del motivo, bensì) di valutare puntualmente le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente ad indicare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare (con una ricerca esplorativa officiosa che trascende le sue funzioni) la norma violata o i punti della sentenza che vi si pongono in contrasto. (cfr. Cass., sez. un., n. 23745 del 2020; Cass. n. 15177 del 2002; Cass. n. 1317 del 2004; Cass. n. 635 del 2015).

3.3. – Sotto ulteriore profilo, costituisce principio consolidato di questa Corte, che il novellato paradigma (nella nuova formulazione adottata dal D.L. n. 83 dei 2012, convertito dalla L. n. 134 del 2012, ed applicabile ratione temporis) consenta di denunciare in cassazione (oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante) solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, ove esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. sez. un. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 14014 del 2017; Cass. n. 9253 del 2017). A seguito della riforma del 2012 è venuto meno il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, rimanendo il controllo circa la esistenza (sotto il profilo dell’assoluta omissione o della mera apparenza) e la coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta) della motivazione, ossia con riferimento a quei parametri che determinano la conversione del vizio di motivazione in vizio di violazione di legge, sempre che il vizio emerga direttamente ed immediatamente dal testo della sentenza impugnata.

L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice (come nella specie, nella sentenza impugnata pag. 6, par. 4.3., secondo capoverso), ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cass., sez. un., n. 19881 del 2014).

4. – Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta la “Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento agli artt. 91 e 92 c.p.c.)”, chiedendo, in caso di accoglimento del ricorso, la riforma in ordine alle spese di lite, con la condanna della Regione Siciliana al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio in suo favore, compensando le spese di tutti i gradi tra la ricorrente e il Comune di Catania. In caso di accoglimento delle domande originarie, in danno del Comune di Catania, chiede la condanna dello stesso al pagamento delle spese di lite di tutti i gradi di giudizio, compensando tali spese tra la ricorrente e la Regione Siciliana. In subordine, che le spese siano compensate.

4.1. – Il motivo non è fondato.

4.2. – A prescindere dalla non chiara indicazione della norma asseritamente violata (artt. 91 o 92 c.p.c.), va rilevato che, per costante orientamento di questa Corte, in tema di condanna alle spese, il principio della soccombenza va inteso nel senso che soltanto la parte interamente vittoriosa non può essere condannata, nemmeno per una minima quota, al pagamento delle spese.

Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di Cassazione e’, pertanto, limitato ad accertare che non risulti violato il suddetto principio, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito provvedere alla quantificazione delle spese medesime, senza eccedere i limiti (minimi, ove previsti e) massimi fissati dalle tabelle vigenti (Cass. n. 19613 del 2017; conf. Cass. n. 22872 del 2018).

5. – Il ricorso va pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. Va emessa la dichiarazione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in favore di ciascuno dei due controricorrenti in Euro 10.000,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ex D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, della Corte Suprema di Cassazione, il 6 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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