LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7940-2020 proposte da:
D.K.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI PORTA PINCIANA N. 4, presso lo studio dell’avvocato GABRIELE ANTONINI, rappresentata e difesa dall’avvocato GUIDO PIANOSI;
– ricorrente –
contro
S.L.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 401/21 E’.9 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 20/07/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 10/06/20 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIETTA SCRIMA.
CONSIDERATO
che:
D.K.M. ha proposto ricorso per cassazione, basato su un unico motivo e illustrato da memoria, nei confronti di S.L. e avverso la sentenza n. 401/19 della Corte di appello di Perugia, pubblicata il 20 luglio 2019, che, pronunciando in sede di riassunzione del giudizio – a seguito della sentenza n. 49596/2016 di una sezione penale di questa Corte che aveva annullato la sentenza della Corte di appello di Ancona, in sede penale, del 23 maggio 2013, limitatamente agli effetti civili, ai sensi dell’art. 622 c.p.p., – aveva condannato S.L. al pagamento, in favore di D.K.M., della somma di Euro 10.290,00, all’attualità, a titolo di risarcimento dei danni, oltre rivalutazione e interessi sulla somma devalutata al ***** e rivalutata annualmente fino a quella sentenza nonché sulla somma così determinata oltre interessi da quella sentenza al saldo, e aveva condannato al pagamento, in favore dell’Erario, delle spese di giudizio il S., a carico del quale aveva posto anche le spese di c.t.u., va precisato che, a seguito di denuncia presentata da D.K.M. nei confronti del S., a quest’ultimo era stato contestato il reato di cui all’art. 609-bis c.p., per aver, in data *****, costretto ovvero indotto la D. ad avere un rapporto sessuale con lui, abusando delle sue condizioni di inferiorità psicologica ed usandole violenza consistita nell’afferrarla per i polsi ed alla gola; il S. aveva chiesto al GUP del Tribunale di Macerata di definire il giudizio con il rito abbreviato e, previa accettazione della costituita parte civile D.K.M., si era proceduto con il rito richiesto; all’esito del giudizio il GUP aveva assolto il S. dal reato ascrittogli “perché il fatto non sussiste”, ritenendo non attendibili le dichiarazioni accusatorie della D.; quest’ultima aveva proposto impugnazione dinanzi alla Corte di appello di Ancona che, con sentenza emessa il 23 maggio 2013, aveva confermato la decisione di primo grado, ribadendo l’inattendibilità delle dichiarazioni della D. e ritenendo che il rapporto sessuale tra i predetti era stato caratterizzato dal consenso prestato dalla donna tanto che sulla medesima non erano state rinvenute tracce di violenza dai medici del pronto soccorso, ai quali la medesima si era rivolta il giorno successivo ai fatti; questa Corte in sede penale, con la sentenza n. 49596/2016, pronunciando sul ricorso avverso la sentenza di secondo grado proposto esclusivamente dalla D., parte civile, aveva annullato, come già detto, ai soli fini di eventuali effetti civili, con rinvio alla Corte di appello di Perugia, in sede civile, per il riesame, alla luce degli elementi evidenziati dalla Corte di legittimità, della sussistenza di profili di responsabilità risarcitoria a carico del S.; la Corte di appello di Perugia, riesaminati i fatti analiticamente analizzandoli, ha ritenuto attendibili e credibili le dichiarazioni rese dalla D. e ha ritenuto connotata da profili di illiceità la condotta posta in essere dal S. con conseguente diritto dell’attuale ricorrente al risarcimento dei danni e ha deciso come sopra riportato;
l’intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede;
la proposta del relatore è stata ritualmente comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380bis c.p.c..
RILEVATO
che:
con l’unico motivo, la ricorrente denuncia “violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento all’art. 2059 c.c., all’art. 185 c.p., e all’art. 1226 c.c., posto che i giudici di merito nel liquidare il danno alla persona, avrebbero omesso di valutare il danno morale alla parte quale vittima di reato”;
lamenta in particolare la ricorrente che la Corte territoriale abbia limitato la liquidazione del danno basandosi sulla mera componente dell’inabilità biologica temporanea (sei mesi) come individuata dalla c.t.u., senza riconoscere nullà a titolo di “danno morale”, “inteso quale sofferenza soggettiva causata dalla condotta illecita in sé considerata”, omettendo così di procedere all’integrale ristoro del danno non patrimoniale patito, in spregio alla normativa sul tema; in particolare quella Corte, ad avviso della ricorrente, non avrebbe tenuto conto, ai fini della liquidazione del pregiudizio morale, di tutti gli aspetti, anche indiziari connessi al riconosciuto “evento traumatizzante e potenzialmente lesivo, sia sul versante fisico e psichico”, né, in particolare, delle risultanze della c.t.u. e della gravità del reato e, quindi, della condotta del S.;
Ritenuto che:
il motivo è fondato, atteso che la liquidazione unitaria del danno non patrimoniale – rilevante nella specie – deve essere intesa nel senso di attribuire al soggetto danneggiato una somma che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito, con conseguente obbligo, per il giudice del merito, di tener conto, ai fini risarcitori, di tutte le conseguenze, in peius, derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici; ne deriva che il medesimo giudice deve procedere all’accertamento concreto e non astratto di tali pregiudizi, facendo ricorso anche, eventualmente a presunzioni, (v. Cass., ord., 28/09/2018, n. 23469; Cass., 17/01/2018, n. 901); ai ricordati principi non risulta essersi attenuta la Corte territoriale che nulla ha riconosciuto a titolo di danno morale senza “esplicitare” alcunché al riguardo, come lamentato sostanzialmente dalla ricorrente, evidenziandosi, peraltro, che deve ritenersi, nel caso all’esame, che l’aver proposto la D. l’azione in sede penale implica chiaramente che la stessa avesse inteso richiedere e allegare, anche, il danno morale, del quale lamenta l’omessa liquidazione;
alla luce di quanto sopra evidenziato, il ricorso va accolto; la sentenza impugnata va cassata in relazione alla censura accolta e la causa va rinviata, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Perugia, in diversa composizione;
stante l’accoglimento del ricorso, va dato atto della insussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Perugia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 10 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021