LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 26363/2019 R.G. proposto da:
D.A.M. e V.G., rappresentati e difesi dall’Avv. Sergio Messore, con domicilio eletto in Roma, Piazza Gondar n. 14 scala B int. 2 presso lo studio dell’Avv. Patrizia Mazzaroppi;
– ricorrenti –
contro
Sara Assicurazioni S.p.a., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Gaetano Alessi e Rosario Livio Alessi, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma, Via Monte Zebio, n. 28;
– controricorrente –
e nei confronti di:
T.C.;
– intimato –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 3552/2019, depositata il 28 maggio 2019;
Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 17 giugno 2021 dal Consigliere Iannello Emilio.
RILEVATO
che:
la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha accolto solo in parte la domanda risarcitoria proposta da D.A.M. e V.G. nei confronti di T.C. e della Sara Assicurazioni S.p.a. in relazione ai danni subiti in conseguenza del decesso della congiunta C.G., avvenuto in data ***** a seguito di sinistro stradale, avendo ritenuto il concorso di colpa della vittima nella misura del 50%;
avverso tale sentenza D.A.M. e V.G. propongono ricorso per cassazione con due mezzi, cui resiste la Sara Assicurazioni S.p.a. depositando controricorso;
l’altro intimato non svolge difese nella presente sede;
essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte;
i ricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo i ricorrenti deducono, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, “manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione; violazione e falsa applicazione dell’art. 2054 c.c., comma 1, dell’art. 2697 c.c. (rispetto all’onere della prova gravante sul convenuto T.C.) e dell’art. 2728 c.c., nella parte in cui la corte territoriale non ha riconosciuto una responsabilità esclusiva del T.C., nonostante che dall’incarto processuale non sia risultata l’impossibilità da parte del resistente di avvistare il pedone per cause a lui non imputabili; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio (esistenza di una via di fuga) che è stato oggetto di discussione tra le parti”;
lamentano che la Corte d’appello ha erroneamente ritenuto di poter superare la presunzione legale di responsabilità a carico dell’investitore, nonostante fossero emersi dalla istruttoria chiari profili di responsabilità a carico del T., conducente dell’autovettura investitrice, alla luce dei quali lo stesso avrebbe dovuto fornire la prova di aver fatto tutto il possibile per evitare l’evento;
rilevano in tal senso che dalle dichiarazioni spontanee rese dal T. ai carabinieri nella immediatezza del fatto, dalle deposizioni rese dai testi che avevano assistito all’incidente e dalla ricostruzione cinematica del sinistro eseguita dal consulente tecnico nominato dalla Corte d’appello di Roma nell’ambito del giudizio penale a carico del T., era risultato che la vittima aveva prestato ogni attenzione prima di attraversare la carreggiata e quindi non aveva posto in essere alcuna condotta improvvisa di per sé astrattamente idonea ad interrompere il nesso di causalità tra la condotta di guida colposa tenuta dal T. e l’evento mortale, ciò in quanto era stato provato che la predetta, nell’attraversamento, procedeva ad andatura regolare ed aveva segnalato con il braccio l’attraversamento;
con il secondo motivo i ricorrenti denunciano “violazione delle norme che guidano la valutazione e l’ambito della prova – violazione degli artt. 115 e 166 c.c. – nella misura in cui la Corte d’Appello ha attributo valore di prova ad elementi che non avevano tale valore” (così nell’intestazione);
lamentano che il convincimento espresso in sentenza, circa la posizione – non completamente al di là del margine della carreggiata – dal trattore dal quale la vittima era scesa, è fondato “solo ed esclusivamente sullo schizzo planimetrico allegato alla informativa redatta dai carabinieri di Cervaro che non è sorretto da fede privilegiata” e contro il cui contenuto si poneva la deposizione resa dal teste M.D.B. il quale aveva riferito che, quando giunse sul posto, “il trattore non c’era”;
il ricorso si espone ad un preliminare ed assorbente rilievo di inammissibilità, per palese inosservanza del requisito di contenuto-forma prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3;
risulta, infatti, totalmente omessa l’esposizione sommaria dei fatti, da detta norma richiesta a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, allo scopo di garantire alla Corte di cassazione di avere una chiara e completa cognizione della vicenda sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. Sez. U 18/05/2006, n. 11653; Cass. Sez. U. 20/02/2003, n. 2602);
e’ offerta solo una sintetica esposizione dei fatti processuali ma è del tutto omessa quella dei fatti sostanziali, in particolare omettendosi di indicare le ragioni in fatto e in diritto poste a fondamento della domanda risarcitoria, il contenuto delle difese di controparte, le motivazioni della decisione di primo grado, il contenuto dei motivi d’appello e delle difese svolte in secondo grado dalla controparte, le motivazioni della sentenza impugnata;
può comunque soggiungersi che anche i due motivi, congiuntamente esaminabili, per la loro intima connessione, palesano intrinseche ragioni di inammissibilità;
e’ manifesta, invero, l’inosservanza dell’onere – previsto a pena di inammissibilità dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – di specifica indicazione degli atti o documenti su cui il ricorso si fonda;
e’ ripetuto il riferimento a prove, testimoniali o documentali, accompagnato bensì da una sommaria descrizione del contenuto ma non anche dalla pure necessaria indicazione della sede processuale in cui detti risultino prodotti o acquisiti e siano dunque presenti nel fascicolo processuale;
appare comunque evidente che le censure invocano in sostanza una diversa lettura delle risultanze istruttorie, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto irricevibili, volta che la valutazione delle prove, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito;
non pertinente è il riferimento alla presunzione di colpa a carico del conducente del veicolo investitore, atteso che, da un lato, la corte di merito non lo ha affatto disatteso, avendone riconosciuto anzi la responsabilità nella causazione del sinistro, dall’altro, questa non preclude l’accertamento della eventuale concorrente responsabilità del pedone;
come questa Corte ha infatti più volte precisato, la presunzione di colpa del conducente di un veicolo investitore, prevista dall’art. 2054 c.c., comma 1, non opera in contrasto con il principio della responsabilità per fatto illecito, fondata sul rapporto di causalità fra evento dannoso e condotta umana, e, dunque, non preclude, anche nel caso in cui il conducente non abbia fornito la prova idonea a vincere la presunzione, l’indagine sull’imprudenza e pericolosità della condotta del pedone investito, che va apprezzata ai fini del concorso di colpa, ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, ed integra un giudizio di fatto che, come tale, si sottrae al sindacato di legittimità se sorretto da adeguata motivazione (v. Cass. 17/01/2020, n. 842, che, in applicazione di questo principio, ha ritenuto esente da censura la decisione di merito che aveva escluso ogni responsabilità del conducente del veicolo per l’investimento di una persona seduta in piena notte nel mezzo di una carreggiata su strada non illuminata; v. anche Cass. 13/11/2014, n. 24204, che ha ritenuto esente da censura la decisione con cui il giudice di merito aveva accertato che il pedone investito aveva dato inizio ad un attraversamento “azzardato” nel mentre sopraggiungeva l’autoveicolo dell’investitore, pervenendo a tale conclusione attraverso una valutazione di tutti gli elementi in suo possesso e delibando plausibilmente la convergenza tra le dichiarazioni rese nell’immediatezza da coloro che erano presenti al sinistro e i riscontri obiettivi effettuati dalla Polizia stradale giunta in loco; nello stesso senso, v. Cass. 13/03/2009, n. 6168; 27/02/1998, n. 2216);
il vizio di motivazione viene poi dedotto in modo difforme da quanto disposto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo applicabile ratione temporis, e cioè quale omesso esame di fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti;
e’ evidente, infatti, che la doglianza si volge a considerare non già l’omissione rilevante ai fini dell’art. 360 c.p.c., n. 5 cit., bensì la congruità del complessivo risultato della valutazione operata nella sentenza impugnata con riguardo all’intero materiale probatorio, che, viceversa, il giudice a quo risulta aver elaborato in modo completo ed esauriente, sulla scorta di un discorso giustificativo dotato di adeguata coerenza logica e linearità argomentativa, senza incorrere in alcuno dei gravi vizi d’indole logico-giuridica unicamente rilevanti in questa sede;
aspecifica è la censura di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento all’efficacia probatoria attribuita, a supposto del convincimento espresso circa la posizione del trattore al momento del sinistro, allo “schizzo planimetrico” allegato all’informativa dei carabinieri;
se è vero che, differentemente da quanto ritenuto in sentenza, a tale rilievo non può essere attribuita piena prova fino a querela di falso (tale valore potendo riconoscersi solo alle dichiarazioni delle parti e agli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti come avvenuti in sua presenza (v. ex multis Cass. n. 31447 del 03/12/2019; 28/07/2017, n. 18757; 09/09/2008, n. 22662)), è pur vero che il verbale, per la sua natura di atto pubblico, ha pur sempre un’attendibilità intrinseca che può essere infirmata solo da una specifica prova contraria (Cass. 06/10/2016, n. 20025; Cass. n. 22662 del 2008, cit.) e che nella specie la corte di merito ha per l’appunto motivato anche sulla scorta di altre emergenze istruttorie implicitamente (e insindacabilmente) ritenute prevalenti su quella menzionata in ricorso (di contenuto peraltro non decisivo);
la memoria che, come detto, è stata depositata dai ricorrenti, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2, non offre argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto vaglio dei motivi;
il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese processuali liquidate come da dispositivo;
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma degli stessi artt. 1-bis e 13.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 17 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021
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