LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 29990/2019 R.G. proposto da:
A.A.E.W., rappresentato e difeso dall’Avv. Massimo Boni, con domicilio eletto in Roma, Via Pompeo Trogo, n. 21, presso lo studio dell’Avv. Stefania Casanova;
– ricorrente –
contro
C.L., rappresentata e difesa dall’Avv. Rosa Conti, con domicilio eletto in Roma, via Cola di Rienzo, n. 111 presso lo studio dell’Avv. Giosue’ Bruno Naso;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma, n. 3625/2019, depositata il 30 maggio 2019;
Udita la relazione svolta nella Camera di Consiglio del 17 giugno 2021 dal Consigliere Iannello Emilio.
RILEVATO
che:
con sentenza n. 200/18 del 5 febbraio 2018 il Tribunale di Viterbo, pronunciando sul ricorso proposto da C.L. nei confronti di A.A.E.W., ha dichiarato la separazione personale dei coniugi con addebito della relativa responsabilità a carico di quest’ultimo e statuito sulle questioni accessorie (assegnazione casa coniugale, affidamento dei figli, assegno di mantenimento);
ha quindi condannato A.A.E.W. a rifondere le spese di lite in favore di controparte ed inoltre a pagarle l’ulteriore somma di Euro 5.000, a titolo di risarcimento del danno ai sensi dell’art. 96 c.p.c.;
interpose appello A.A.E.W. limitatamente a quest’ultima statuizione e il suo gravame è stato accolto dalla Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 3625/2019, depositata il 30 maggio 2019, che, quindi, in parziale riforma della prima sentenza (confermata nel resto) ha rigettato la domanda di risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c., comma 1, proposta da C.L.;
rilevata la nullità, in parte qua, della sentenza di primo grado, in quanto totalmente mancante di motivazione, e riesaminata nel merito la domanda (previa sua qualificazione come volta a ottenere il risarcimento del danno da responsabilità processuale aggravata ai sensi dell’art. 96 c.p.c., comma 1), ne ha escluso la fondatezza sul rilievo che non sussistessero “elementi sufficienti per ritenere che, nel giudizio di primo grado, A.A. si sia difeso con mala fede o colpa grave, essendosi (egli) limitato ad esercitare il proprio diritto di difesa, facendo valere tesi che si sono rivelate prive di fondamento e non potendosi, però, ravvisare la colpa o la malafede nella semplice soccombenza”;
la corte capitolina ha quindi compensato le spese del grado, ritenendo ricorrerne “giusti motivi”, “avuto riguardo ai margini di incertezza della questione controversa”;
avverso tale sentenza A.A.E.W. propone ricorso per cassazione con due mezzi, cui resiste C.L. depositando controricorso, con il quale propone ricorso incidentale affidato ad un solo motivo;
essendo state ritenute sussistenti le condizioni per la trattazione del ricorso ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata notificata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte;
il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380-bis c.p.c., comma 2.
CONSIDERATO
che:
con il primo e il secondo motivo del ricorso principale, congiuntamente esaminabili in quanto strettamente connessi, A.A.E.W. censura la disposta compensazione delle spese del giudizio di appello in quanto:
a) carente di motivazione e pertanto nulla per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e dell’art. 111 Cost., comma 6 (primo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4);
b) nulla per “errata applicazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2” (secondo motivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4);
con l’unico motivo di ricorso incidentale C.L. censura invece – siccome, in tesi, assunta in “violazione e falsa applicazione degli artt. 96 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” – la statuizione preliminare relativa al rigetto della domanda di risarcimento del danno per responsabilità processuale aggravata;
sostiene infatti che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice d’appello, “vi è prova evidente agli atti che le singole iniziative processuali intraprese dall’ A., ancor prima che infondate, si sono rivelate dilatorie e temerarie in quanto hanno comportato, da un lato, la dilatazione dei tempi processuali (mediante l’espletamento di una c.t.u. fortemente voluta solo dall’ A. e poi dal predetto disertata) e l’apertura di autonome fasi incidentali del giudizio di primo grado (costringendo la moglie ad ulteriori costituzioni difensive) e, dall’altro, o la rinuncia alle stesse da parte dell’ A. o le declaratorie di inammissibilità/non reclamabilità da parte del giudice”;
il ricorso incidentale, da esaminare per primo per priorità logica, è inammissibile;
secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, l’accertamento, ai fini della condanna al risarcimento dei danni da responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., dei requisiti dell’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave (comma 1) ovvero del difetto della normale prudenza (comma 2) implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità se la sua motivazione in ordine alla sussistenza o meno dell’elemento soggettivo ed all’an ed al quantum dei danni di cui è chiesto il risarcimento risponde ad esatti criteri logico-giuridici (Cass. 29/09/2016, n. 19298; 23/06/2011, n. 13827; 12/01/2010, n. 327; 08/09/2003, n. 13071; 08/01/2003, n. 73);
nel caso di specie la censura si muove ben al di là dei limiti di sindacabilità segnati dal detto principio, sollecitando sostanzialmente la ricorrente una nuova valutazione, certamente non consentita a questa Corte, della condotta della controparte nel lungo percorso processuale;
il primo e il secondo motivo del ricorso principale (come detto, congiuntamente esaminabili) vanno invece dichiarati infondati;
giova premettere che, nella specie, trattandosi di giudizio instaurato, in primo grado, in data 17 luglio 2014, trova applicazione l’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo introdotto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11;
sono dunque inconferenti le argomentazioni svolte in ricorso con riferimento alla diversa formulazione di detto comma, come sostituito dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, art. 13, comma 1, convertito, con modificazioni, dalla L. 10 novembre 2014, n. 162, nel testo risultante dalla sentenza della Corte Cost. n. 77 del 19 aprile 2018 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale norma “nella parte in cui non prevede che il giudice possa compensare le spese tra le parti, parzialmente o per intero, anche qualora sussistano altre analoghe gravi ed eccezionali ragioni”;
ebbene l’art. 92 c.p.c., comma 2 (nel testo, come detto, applicabile nella specie ratione temporis, introdotto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11), permette la compensazione delle spese di lite allorché concorrano “gravi ed eccezionali ragioni”;
come chiarito da questa Corte si tratta di norma elastica, quale clausola generale che il legislatore ha previsto per adeguarla ad un dato contesto storico-sociale o a speciali situazioni, non esattamente ed efficacemente determinabili a priori, ma da specificare in via interpretativa da parte del giudice del merito, con un giudizio censurabile in sede di legittimità, in quanto fondato su norme giuridiche (v. Cass. Sez. U. n. 2572 del 22/02/2012; Cass. n. 2883 del 10/02/2014);
e’ stato in tale quadro precisato che “anche la difficoltà dell’accertamento di fatto compiuto in sentenza, può costituire una grave ed eccezionale ragione di compensazione delle spese, in quanto si sostanzia in una oggettiva incertezza circa il buon fondamento della pretesa o delle difese della parte risultata vittoriosa all’esito della lite” (cfr., in motivazione, da ultimo, Cass. 17/01/2020, n. 1014);
alla luce di tali indicazioni ermeneutiche si appalesano infondate sia la censura di inosservanza della norma processale, sia, a fortiori, quella di mancanza o apparenza della motivazione, risultando questa chiara e ben comprensibile oltre che frutto di una valutazione coerente al dato normativo e, nel merito, insindacabile;
la memoria che, come detto, è stata depositata dal ricorrente principale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2, non offre argomenti che possano indurre a diverso esito dell’esposto vaglio dei motivi;
gioverà al riguardo rimarcare che anche la valutazione circa l’esistenza o meno dei presupposti per l’affermazione della responsabilità aggravata può rivelarsi incerta, trattandosi di applicare clausole generali (malafede o colpa grave) rispetto alle quali il caso concreto può porsi in un’area di confine di difficile discernimento;
il ricorso principale va quindi rigettato e quello incidentale dichiarato inammissibile;
avuto riguardo alla reciproca soccombenza le spese del presente giudizio di legittimità vanno compensate;
va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per l’uno e l’altro ricorso, ove dovuto, a norma degli stessi artt. 1-bis e 13.
PQM
rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile quello incidentale. Compensa integralmente le spese processuali.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di entrambi i ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per l’uno e l’altro ricorso, ove dovuto, a norma degli stessi artt. 1-bis e 13.
Così deciso in Roma, il 17 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021