Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32835 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22658-2020 proposto da:

A&G INTERNATIONAL HOLDING SA IN LIQUIDAZIONE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato BOTTA MICHELA;

– ricorrente –

contro

C.C., elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato CORCELLI ARIANNA MARIA;

– controricorrente –

R.F.M., R.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1969/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata l’11/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARCO DELL’UTRI.

RILEVATO

Che:

con sentenza resa in data 11/12/2019, la Corte d’appello di Torino ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, tra le restanti statuizioni, ha dichiarato l’inefficacia, ai sensi dell’art. 2901 c.c., nei confronti di C.C., dell’atto con il quale R.F.M. (debitore della C.), aveva ceduto alla A&G Inter-national Holding SA taluni beni immobili propri;

a sostegno della decisione assunta, la corte territoriale ha rilevato la correttezza della decisione del primo giudice, nella parte in cui aveva ritenuto sussistenti tutti i presupposti, di natura oggettiva e soggettiva, ai fini dell’accoglimento della domanda revocatoria spiegata dalla C.;

avverso la sentenza d’appello, la A&G International Holding SA in liquidazione propone ricorso per cassazione sulla base di tre motivi d’impugnazione;

C.C. resiste con controricorso;

nessun altro intimato ha svolto difese in questa sede;

a seguito della fissazione della camera di consiglio, la causa è stata trattenuta in decisione all’odierna adunanza camerale, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

CONSIDERATO

Che:

con il primo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 2901 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale omesso di effettuare alcuna valutazione sul valore dei beni alla stessa ceduti dal R., al fine di accertare l’effettiva sussistenza del requisito dell’eventus damni nei confronti della creditrice, tenuto conto della sussistenza di un’iscrizione ipotecaria sui beni ceduti al momento del compimento dell’atto; ipoteca successivamente cancellata a seguito del pagamento, da parte della società odierna ricorrente, in sede transattiva, di quanto preteso dal creditore ipotecario;

il motivo è manifestamente infondato;

osserva preliminarmente il Collegio come, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, non vale ad escludere I’eventus damni, a carico del creditore agente in sede pauliana, la circostanza che i beni posti a oggetto dell’atto impugnato fossero stati in precedenza ipotecati a favore di un terzo, atteso che l’azione revocatoria ordinaria ha la funzione di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del suo debitore, e non la garanzia specifica, con la conseguenza che sussiste l’interesse del creditore, da valutarsi ex ante, e non con riguardo al momento dell’effettiva realizzazione, di far dichiarare inefficace un atto che impedisca o renda maggiormente difficile e incerta l’esazione del suo credito (Sez. 3, Ordinanza n. 13172 del 25/05/2017, Rv. 644304 – 01);

ciò posto – esclusa la rilevanza, ai fini della verifica del requisito dell’eventus damni, dell’avvenuta previa iscrizione ipotecaria sul bene posto a oggetto dell’atto impugnato dal creditore del disponente -, del tutto correttamente il giudice a quo ha evidenziato la persistenza del requisito oggettivo in esame a seguito del compimento dell’atto impugnato in questa sede, non avendo l’odierna società ricorrente fornito alcuna prova circa la concreta ed effettiva sussistenza di residualità patrimoniali utili a soddisfare le ragioni della C. (anche con riguardo all’effettiva entità del valore del bene ceduto in favore dell’odierna società resistente, in ipotesi idoneo a soddisfare anche la C., quale creditrice chirografaria, a seguito della soddisfazione dei creditori eventualmente muniti di legittime cause di prelazione), ovvero la prova dell’originaria insussistenza di alcun danno per la creditrice, in considerazione dell’avvenuta integrale destinazione del ricavato della compravendita impugnata all’estinzione di un debito preesistente scaduto;

sul punto, è appena il caso di rilevare come, ai fini della verifica del requisito dell’eventus dammi, la parte onerata del compito di fornire la prova dell’eventuale capienza del patrimonio residuo del debitore, a seguito del compimento dell’atto impugnato, necessariamente dev’essere identificata nella parte che resiste all’esercizio dell’azione revocatoria, in conformità al principio fatto proprio dalla giurisprudenza di questa Corte, in forza del quale il presupposto oggettivo dell’azione revocatoria ordinaria (c.d. eventus damni) ricorre, non solo nel caso in cui l’atto dispositivo comprometta totalmente la consistenza patrimoniale del debitore, ma anche quando lo stesso atto determini una variazione quantitativa o anche soltanto qualitativa del patrimonio che comporti una maggiore incertezza o difficoltà nel soddisfacimento del credito, con la conseguenza che grava sul creditore l’onere di dimostrare tali modificazioni quantitative o qualitative della garanzia patrimoniale, mentre è onere del debitore, che voglia sottrarsi agli effetti di tale azione, provare che il suo patrimonio residuo sia tale da soddisfare ampiamente le ragioni del creditore (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16221 del 18/06/2019, Rv. 654318 – 01; Sez. 3, Ordinanza n. 19207 del 19/07/2018, Rv. 649739 – 01);

quanto alla questione della (dedotta) avvenuta integrale destinazione dei fondi ricavati dal compimento dell’atto impugnato all’estinzione di un debito preesistente scaduto, spetta, in ogni caso, alla parte che resiste all’esercizio dell’azione revocatoria, l’onere di fornire la prova che il compimento dell’atto impugnato rappresentasse l’unica modalità per detta estinzione, in conformità al principio in forza del quale, l’esenzione dalla revocatoria ordinaria dell’adempimento di un debito scaduto, alla stregua di quanto sancito dall’art. 2901 c.c., comma 3, traendo giustificazione dalla natura di atto dovuto della prestazione del debitore una volta che si siano verificati gli effetti della mora ex art. 1219 c.c., ricomprende anche l’alienazione di un bene eseguita per reperire la liquidità occorrente all’adempimento di un proprio debito, purché essa rappresenti il solo mezzo per tale scopo, ponendosi, in siffatta ipotesi, la vendita in rapporto di strumentalità necessaria con un atto dovuto, sì da poterne escludere il carattere di atto pregiudizievole per i creditori richiesto per la revoca (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8992 del 15/05/2020, Rv. 657941 – 01);

nel caso di specie, del tutto correttamente il giudice a quo ha evidenziato come l’odierna società ricorrente non avesse fornito alcuna prova, né della sussistenza, in capo al debitore disponente, di residua-lità patrimoniali sufficienti a escludere l’eventus damni a carico della creditrice chirografaria, né la circostanza che il compimento dell’atto impugnato rappresentasse il solo mezzo possibile ai fini della estinzione dei pregressi debiti scaduti;

con il secondo e il terzo motivo, la ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione dell’art. 2901 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente condotto l’accertamento in ordine alla sussistenza del requisito della scientia damni in capo al disponente, nonché in ordine all’attestazione della consapevolezza, da parte della A&G International Holding SA, del danno da quest’ultima arrecato alla creditrice del proprio dante causa attraverso il compimento dell’atto dispositivo impugnato;

entrambi i motivi – congiuntamente esaminabili per ragioni di connessione – sono inammissibili;

osserva il Collegio come, attraverso la proposizione dei motivi in esame, la società ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata dalla norma di legge richiamata – alleghi un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione della norma richiamata sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente la stessa nella prospettazione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;

al riguardo, varrà osservare come la combinata valutazione delle circostanze di fatto indicate dalla corte territoriale a fondamento del ragionamento probatorio in concreto eseguito (secondo il meccanismo presuntivo di cui all’art. 2729 c.c.) non può in alcun modo considerarsi fondata su indici privi, ictu oculi, di quella minima capacità rappresentativa suscettibile di giustificare l’apprezzamento ricostruttivo che il giudice del merito ha ritenuto di porre a fondamento del ragionamento probatorio argomentato in sentenza, con la conseguente oggettiva inidoneità della censura in esame a dedurre la violazione dell’art. 2729 c.c. nei termini analiticamente indicati da Cass., Sez. Un., n. 1785 del 2018 (v. in motivazione sub par. 4. e segg.);

nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe dei motivi d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam delle censure sollevate dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti, dei fatti di causa o dei rapporti tra le parti ritenuti rilevanti;

si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;

ciò posto, i motivi d’impugnazione così formulati devono ritenersi inammissibili, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;

sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva manifesta infondatezza delle censure esaminate, deve essere pronunciato il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna della società ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre all’attestazione della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis,.

PQM

Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 10.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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