Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32843 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 32589-2019 proposto da:

D.C.E., rappresentato e difeso dall’avv. LUIGI MERCURIO e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione.

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI n. 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende.

– controricorrente –

e contro

PROCURATORE REPUBBLICA presso il TRIBUNALE di LECCE;

– intimato –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di LECCE, depositata il 20/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 24/06/2021 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

PREMESSO IN FATTO

Con il provvedimento impugnato il Tribunale di Lecce rigettava l’opposizione proposta da D.C.E. avverso il decreto di liquidazione del compenso spettantegli per le prestazioni rese in qualità di custode di quattro videogiochi oggetto di sequestro nell’ambito di un procedimento penale.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione D.C.E., affidandosi a tre motivi.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Relatore ha avanzato la seguente proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.: “PROPOSTA DI DEFINIZIONE EX ART. 380-BIS C.P.C..

RIGETTO del ricorso, proposto avverso ordinanza del Tribunale di Lecce con cui è stata rigettata l’opposizione proposta avverso il provvedimento con cui era stato liquidato il compenso dovuto al custode di n. 4 videogiochi oggetto di sequestro penale nell’ambito del procedimento n. 6888/2014 R.G.N.R.. Il ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 58, e dell’art. 113 c.p.c.; con il secondo, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 58 e 59, e dell’art. 115 c.p.c.; con il terzo motivo, la violazione del D.M. n. 265 del 2006, del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 5,6, 58, 59, 168 e ss., della L. n. 241 del 1990, art. 3, e dell’art. 12 preleggi. Tutte le censure attingono il criterio dell’ingombro delle cose custodite, utilizzato dal giudice di merito per la determinazione del compenso dovuto al custode.

Questa Corte, confermando la decisione che, accertata l’insussistenza di un uso locale cui fare riferimento, aveva ritenuto applicabile, in via analogica, la disciplina dettata dal D.M. n. 265 del 2006, art. 1, per il compenso dovuto per la custodia di autoveicoli e natanti, ha recentemente ribadito il principio per cui “In tema di liquidazione dell’indennità spettante al custode di beni sottoposti a sequestro nell’ambito di un procedimento penale, qualora il compendio sequestrato non rientri in alcuna delle categorie di beni indicati nel D.M. n. 265 del 2006, di approvazione delle tariffe, emesso in attuazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 59, il giudice può applicare, in via analogica, la disciplina dettata per casi analoghi, in base alla similitudine fisica dei beni, non potendo trovare applicazione l’art. 2233 c.c., comma 1, che si riferisce esclusivamente alle professioni intellettuali” (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 1205 del 21/01/2020, Rv. 656843).

La richiamata decisione, che ha espressamente preso le distanze dal precedente, difforme, n. 20583 del 2017 (Cass. Sez. 6-2, Ordinanza n. 20583 del 30/08/2017, Rv. 645349), ha richiamato Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22966 del 04/11/2011, Rv. 619284, che aveva deciso in modo analogo un caso in cui il giudice di merito aveva determinato il compenso della custodia di un container contenente colli di merce applicando i criteri di liquidazione previsti per la categoria degli autocarri dal citato D.M. n. 265 del 2006, art. 1, lett. c)”.

Il Collegio condivide la proposta del Relatore, osservando altresì che i motivi di ricorso difettano del necessario grado di specificità. Il ricorrente contesta infatti il criterio dell’ingombro dei beni utilizzato nel caso specifico dal giudice di merito, sostenendo da un lato che si tratterebbe di un metodo arbitrario, sostanzialmente celante una valutazione equitativa, ed assumendo, dall’altro lato, che l’ingombro di ciascuno dei videogiochi oggetto del sequestro avrebbe un ingombro paragonabile a quello di un ciclomotore. Di conseguenza, ad avviso del ricorrente, non sarebbe giustificata l’equivalenza, ipotizzata dal Tribunale, tra l’ingombro di tutti e quattro i videogiochi oggetto di causa e quello di un solo ciclomotore. Il D.C., tuttavia, non allega alcun elemento concreto (descrizione degli apparecchi affidati alla sua custodia, loro dimensioni, condizioni di imballaggio, eccetera), né indica alcuna risultanza processuale a sostegno di tale asserita equivalenza tra l’ingombro di ciascun videogioco e quello di un ciclomotore. Le doglianze proposte dal D.C., dunque, contestano in modo apodittico la valutazione del giudice di merito, che, con proprio apprezzamento, incensurabile in sede di legittimità ove sia sostenuto da motivazione adeguata ed immune da vizi logici, ha ritenuto che quattro videogiochi del tipo di quelli affidati in custodia all’istante fossero dimensionalmente avvicinabili alle misure di un ciclomotore ed ha conseguentemente calcolato il compenso spettante all’odierno ricorrente. Non v’e’ motivo per censurare questa determinazione, contro la quale il ricorrente insorge contrapponendo alla stima del giudice una valutazione alternativa (per un precedente specifico, relativo ad una fattispecie in cui lo stesso D.C. aveva impugnato un provvedimento di liquidazione del compenso per la custodia di cinque videogiochi, le cui dimensioni complessive erano state ritenute dal giudice di merito paragonabili a quelle di una autovettura, cfr. Cass. Sez. 6-2, Sentenza n. 11015 del 20/05/2014, non massimata).

Non risultano depositate memorie.

Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio di legittimità, da liquidare nei confronti della parte controricorrente, vanno poste a carico della parte ricorrente.

Ricorrono i presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, per il raddoppio del versamento del contributo unificato, se dovuto.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.000,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta-2 Sezione Civile, il 24 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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