Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.32879 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22668-2020 proposto da:

A.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA APPIA NUOVA 414, presso lo studio dell’avvocato PAOLO PAOLUCCI che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

GENERTEL SPA, S.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 7160/2020 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 13/05/2020;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 10/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DELL’UTRI MARCO.

RILEVATO

che:

con sentenza resa in data 13/5/2020, il Tribunale di Roma ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, in parziale accoglimento della domanda proposta da A.D., ha condannato la Genertel s.p.a. al risarcimento, in favore dell’attrice, di una parte dei danni dalla stessa rivendicati in relazione alle conseguenze del sinistro stradale dedotto in giudizio;

a fondamento della decisione assunta, il tribunale ha evidenziato come il primo giudice avesse correttamente affermato la mancata acquisizione di alcuna prova certa in ordine alla sussistenza degli ulteriori danni rivendicati dalla A., rispetto a quelli contestualmente riconosciuti, in assenza di alcun elemento di attestazione del nesso di causalità tra detti danni ulteriori e il sinistro in esame;

avverso la sentenza d’appello, Daniela A. propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi d’impugnazione, illustrati da successiva memoria;

nessun intimato ha svolto difese in questa sede;

a seguito della fissazione della camera di consiglio, la causa è stata trattenuta in decisione all’odierna adunanza camerale, sulla proposta di definizione del relatore emessa ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di impugnazione, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli artt. 112,329346 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4), per avere il giudice d’appello erroneamente riesaminato la questione relativa alla sussistenza del nesso di causalità tra il sinistro oggetto di causa e i danni dedotti dall’appellante, senza avvedersi dell’avvenuta formazione di un giudicato interno sul punto, avendo il primo giudice già riconosciuto la sussistenza del nesso di causalità tra i danni rivendicati dall’attrice e il sinistro dedotto in giudizio;

il motivo è manifestamente infondato;

osserva il Collegio come il giudice d’appello non sia incorso in alcuna violazione del preteso giudicato interno asseritamente formatosi sul punto concernente la sussistenza del nesso di causalità tra il sinistro oggetto di causa e i danni dedotti dalla A. in sede d’appello, essendosi il tribunale piuttosto limitato a rilevare la mancata dimostrazione, da parte dell’appellante, che le asserite conseguenze dannose del sinistro, dedotte in via ulteriore rispetto a quelle già riconosciute dal primo giudice, non avessero trovato alcuna adeguata conferma nel quadro degli elementi di prova complessivamente acquisiti al giudizio, non essendo stata acquisita alcuna documentazione fotografica dei danni riportati dai veicoli nel sinistro, e non essendo stata operata alcuna indicazione relativa ai danni riportati dal mezzo dell’attrice all’interno del modello CAI, né infine potendosi condividere, proprio in forza di tali premesse, le conclusioni espresse nella consulenza espletata nel corso del giudizio di primo grado, avuto riguardo all’inevitabile carattere astratto e ipotetico delle valutazioni assunte dall’ausiliario del giudice nella totale assenza di elementi istruttori di riscontro;

e’ appena il caso di rilevare come, proprio l’avvenuta devoluzione in appello, da parte della A., della questione concernente la sussistenza del nesso di causalità tra i danni ‘ulteriorì rivendicati in sede di gravame (non riconosciuti dal primo giudice) e il sinistro dedotto in giudizio sia valsa a escludere che, in relazione a tale specifica questione, possa essersi formato alcun giudicato interno; effetto, semmai, eventualmente limitabile, nella specie, alla sola sussistenza del nesso di causalità tra detto sinistro e l’unica conseguenza dannosa accertata e riconosciuta dal giudice di pace;

con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4 (in relazione all’art. 364 c.p.c.), per aver dettato una motivazione meramente apparente e illogica in relazione al punto concernente l’assenza di un nesso eziologico tra i danni rivendicati dall’appellante e il sinistro dedotto in giudizio;

il motivo è manifestamente infondato;

al riguardo, osserva il Collegio come, ai sensi dell’art. 132 c.p.c., n. 4, il difetto del requisito della motivazione si configuri, alternativamente, nel caso in cui la stessa manchi integralmente come parte del documento/sentenza (nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere, siccome risultante dallo svolgimento processuale, segua l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione), ovvero nei casi in cui la motivazione, pur formalmente comparendo come parte del documento, risulti articolata in termini talmente contraddittori o incongrui da non consentire in nessun modo di individuarla, ossia di riconoscerla alla stregua della corrispondente giustificazione del decisum;

infatti, secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, la mancanza di motivazione, quale causa di nullità della sentenza, va apprezzata, tanto nei casi di sua radicale carenza, quanto nelle evenienze in cui la stessa si dipani in forme del tutto inidonee a rivelare la ratio decidendi posta a fondamento dell’atto, poiché intessuta di argomentazioni fra loro logicamente inconciliabili, perplesse od obiettivamente incomprensibili;

in ogni caso, si richiede che tali vizi emergano dal testo del provvedimento, restando esclusa la rilevanza di un’eventuale verifica condotta sulla sufficienza della motivazione medesima rispetto ai contenuti delle risultanze probatorie (ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 20112 del 18/09/2009, Rv. 609353 – 01);

ciò posto, nel caso di specie, è appena il caso di rilevare come la motivazione dettata dal tribunale a fondamento della decisione impugnata sia, non solo esistente, bensì anche articolata in modo tale da permettere di ricostruirne e comprenderne agevolmente il percorso logico, avendo il giudice a quo dato conto, in termini lineari e logicamente coerenti, delle ragioni del mancato rinvenimento di alcuna prova a sostegno del rivendicato riconoscimento dei danni (asseritamente) subiti dall’appellante, evidenziando come nessuna documentazione fotografica fosse stata acquisita sul punto e nessuna indicazione fosse stata inserita nella documentazione relativa al modulo CAI; con la conseguenza che, proprio in ragione di tali irrimediabili lacune, la consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado si era limitata allo svolgimento di considerazioni d’indole meramente astratta e ipotetica;

l’iter argomentativo compendiato dal giudice a quo sulla base di tali premesse è pertanto valso a integrare gli estremi di un discorso giustificativo logicamente lineare e comprensibile, elaborato nel pieno rispetto dei canoni di correttezza giuridica e di congruità logica, come tale del tutto idoneo a sottrarsi alle censure in questa sede illustrate dal ricorrente;

con il terzo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1 e art. 116 c.p.c., comma 2, nonché dell’art. 2729 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere il Tribunale di Roma omesso di esaminare le prove proposte dalle parti a fondamento della rivendicazione risarcitoria avanzata in sede d’appello;

il motivo è inammissibile;

osserva il Collegio come, attraverso la censura in esame, la ricorrente – lungi dal denunciare l’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge – si sia limitato ad allegare un’erronea ricognizione, da parte del giudice a quo, della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa: operazione che non attiene all’esatta interpretazione della norma di legge, inerendo bensì alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione (cfr., ex plurimis, Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010, Rv. 612745; Sez. 5, Sentenza n. 26110 del 30/12/2015, Rv. 638171), neppure coinvolgendo, la prospettazione critica della ricorrente, l’eventuale falsa applicazione delle norme richiamate sotto il profilo dell’erronea sussunzione giuridica di un fatto in sé incontroverso, insistendo propriamente la stessa nella prospetta-zione di una diversa ricostruzione dei fatti di causa, rispetto a quanto operato dal giudice a quo;

nel caso di specie, al di là del formale richiamo, contenuto nell’epigrafe del motivo d’impugnazione in esame, al vizio di violazione e falsa applicazione di legge, l’ubi consistam della censura sollevata dall’odierna ricorrente deve piuttosto individuarsi nella negata congruità dell’interpretazione fornita dalla corte territoriale del contenuto rappresentativo degli elementi di prova complessivamente acquisiti e dei fatti di causa;

si tratta, come appare manifesto, di un’argomentazione critica con evidenza diretta a censurare una (tipica) erronea ricognizione della fattispecie concreta, di necessità mediata dalla contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa; e pertanto di una tipica censura diretta a denunciare il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il provvedimento impugnato;

ciò posto, il motivo d’impugnazione così formulato deve ritenersi inammissibile, non essendo consentito alla parte censurare come violazione di norma di diritto, e non come vizio di motivazione, un errore in cui si assume che sia incorso il giudice di merito nella ricostruzione di un fatto giuridicamente rilevante sul quale la sentenza doveva pronunciarsi, non potendo ritenersi neppure soddisfatti i requisiti minimi previsti dall’art. 360 c.p.c., n. 5 ai fini del controllo della legittimità della motivazione nella prospettiva dell’omesso esame di fatti decisivi controversi tra le parti;

con il quarto motivo, la ricorrente censura il provvedimento impugnato per violazione dell’art. 91 c.p.c. (e alla conseguente ritenuta sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13), per avere il giudice d’appello erroneamente pronunciato la condanna dell’appellante al rimborso, in favore di controparte, delle spese del giudizio sulla base dell’illegittima pronuncia di rigetto dell’appello;

il motivo è inammissibile, avendone la ricorrente con evidenza condizionato l’accoglimento all’eventuale accoglimento dei precedenti motivi di impugnazione, nella specie integralmente disattesi;

sulla base di tali premesse, rilevata la complessiva manifesta infondatezza delle censure esaminate, deve essere pronunciato il rigetto del ricorso;

non vi è luogo per l’adozione di alcuna statuizione, in ordine alla regolazione delle spese del giudizio, non avendo alcun intimato svolto difese in questa sede;

dev’essere, viceversa, attestata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, della Corte Suprema di Cassazione, il 10 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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