Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.32915 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 19373/2020 proposto da:

O.I., rappresentato e difeso dall’Avv. Giacomo Cainarca, ed elettivamente domiciliato in Roma, Viale Regina Margherita, n. 239, nello studio dell’Avv. Valentina Valeri, giusta nomina in calce al ricorso per cassazione;

ricorrente –

contro

Ministero dell’interno, nella persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura dello Stato e domiciliato presso i suoi Uffici siti in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte di appello di MILANO n. 1716/2019, pubblicata in data 18 aprile 2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/07/2021 dal consigliere Dott. Lunella Caradonna.

RILEVATO

CHE:

1. Con sentenza del 18 aprile 2019, la Corte di appello di Milano ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da O.I., proveniente dalla ***** (*****), proposto avverso l’ordinanza del 16 gennaio 2018, con la quale il Tribunale di Milano aveva confermato il provvedimento di diniego della Commissione territoriale competente notificato il 24 agosto 2016.

2. Il richiedente aveva dichiarato di avere lasciato il paese d’origine il 7 agosto 2015 per motivi familiari, in quanto dopo la morte del padre, lo zio lo aveva cacciato di casa, insieme alla famiglia, perché considerava la madre responsabile della morte del fratello e voleva impossessarsi delle terre di quest’ultimo.

3. La Corte di appello di Milano ha rilevato che l’appello era stato proposto oltre il termine breve di 30 giorni decorsi dalla notifica della sentenza avvenuta il 16 novembre 2019 e che la richiesta di rimessione in termini era da ritenersi inammissibile, in quanto era irrilevante il fatto che la responsabile del centro di accoglienza, presso cui si trovava il richiedente, avesse comunicato tardivamente al ricorrente l’ordinanza di rigetto, avendo il sig. O. eletto domicilio presso il suo avvocato al quale era stata notificata la sentenza del Tribunale di Milano il 16 gennaio 2018.

4. O.I. ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a tre motivi.

5. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo si deduce la violazione dell’art. 153 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, avendo errato la Corte di appello ad imputare la causa del mancato rispetto del termine perentorio al ricorrente.

2. Con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 10 Cost., comma 3, e del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non avendo il Tribunale di Milano (rectius: la Corte di appello), con specifico riferimento alla domanda di protezione umanitaria, analizzato pienamente la situazione del richiedente che era fuggito da una condizione socio- familiare tale da spingerlo all’espatrio per dare una possibilità di sopravvivenza della famiglia e la condizione della *****.

3. Con il terzo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, non avendo il Tribunale (rectius: Corte di appello) considerato i presupposti posti a fondamento della domanda di protezione sussidiaria, al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. a), b) e c), (diversamente da una situazione similare dove lo stesso Tribunale aveva concesso la protezione sussidiaria con decisione del 27 febbraio 2018, nel procedimento R.G. n. 40689/2017).

4. Il ricorso è improcedibile.

4.1 Il ricorso, proposto avverso sentenza notificata telematicamente, è stato redatto in modalità analogica e notificato a mezzo pec ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 3 bis.

In proposito, questa Corte ha avuto modo di affermare che, qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche, per soddisfare l’onere di deposito della copia autentica della decisione con la relazione di notificazione, il difensore del ricorrente, destinatario della suddetta notifica, deve estrarre copia cartacea del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e dei suoi allegati (relazione di notifica e provvedimento impugnato), attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali della copia formata su supporto analogico, ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi 1 bis e 1 ter, e depositare nei termini quest’ultima presso la cancelleria della Suprema Corte, mentre non è necessario provvedere anche al deposito di copia autenticata della sentenza estratta dal fascicolo informatico (Cass., 22 dicembre 2017, n. 30765).

Con riguardo al ricorso per cassazione notificato a mezzo posta elettronica certificata, la mancanza della attestazione di conformità L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, ne comporta l’improcedibilità rilevabile d’ufficio ai sensi dell’art. 369 c.p.c. (cfr. Cass. 22 dicembre 2017, n. 30918, concernente ricorso redatto telematicamente, il cui principio va applicato però anche al ricorso redatto in forma analogica ma notificato via pec).

Questa Corte ha, quindi, statuito il principio che “In tema di ricorso per cassazione redatto in forma analogica ma notificato via PEC, qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche, per ritenere soddisfatto l’onere di deposito della copia autentica della decisione con la relazione di notificazione, il difensore del ricorrente non può procedere al deposito telematico della sentenza, della quale deve invece estrarre e depositare copia analogica, unitamente alla relazione di notifica, attestandone la conformità gli originali digitali, ai sensi della L. n. 53 del 1994, art. 9, commi i bis e 1 ter” (Cass., 25 settembre 2018, n. 22757).

Nel caso in esame l’attestazione di conformità richiesta dalla legge manca sia sulla copia della sentenza notificata telematicamente, sia sulla copia del ricorso notificato anche esso per via telematica.

5. In conclusione, il ricorso va dichiarato improcedibile.

Nessuna statuizione va assunta sulle spese, poiché l’Amministrazione intimata non ha svolto difese.

P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 13 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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