Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.32933 del 09/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14370-2015 proposto da:

G.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato LORENZO CONFESSORE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE SOTTILE;

– ricorrente –

contro

REGIONE LAZIO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MARCANTONIO COLONNA 27, presso lo studio dell’avvocato ANNA MARIA COLLACCIANI, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6899/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 01/10/2014 R.G.N. 9704/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/06/2021 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRESA Mario, visto il D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Roma, con la sentenza n. 6899 del 2014, in riforma della sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Roma, ha accolto l’appello proposto dalla Regione Lazio nei confronti di G.G. e ha rigettato la domanda introduttiva del giudizio proposta da quest’ultimo.

2. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il G. prospettando quattro motivi di impugnazione.

3. Resiste la Regione Lazio con controricorso.

4. Entrambe le parti hanno depositato memorie in prossimità dell’udienza.

5. Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Occorre premettere che G.G. veniva nominato Direttore Generale della ASL di Rieti per tre anni con Delib. Giunta regionale nrll’ottobre 2000.

Il 10 novembre 2000 stipulava il relativo contratto, e al termine dell’incarico la Regione Lazio con Delib. 7 novembre 2003 rinnovava lo stesso per altri tre anni. In data 7 novembre 2003 stipulava il relativo contratto.

Con Delib. Giunta regionale 15 ottobre 2004 veniva nominato Commissario Straordinario della Azienda USL Roma *****, con sede in ***** per sei mesi. Detto incarico cessava l’8 maggio 2005.

Il G. agiva in giudizio per l’accertamento del diritto alla prosecuzione dell’incarico di Direttore Generale della ASL di Rieti, ad ogni effetto giuridico ed economico, fino alla scadenza convenuta del 7 novembre 2006.

Il Tribunale aveva accolto la domanda in parte qua, accertando ora per allora il diritto del G. alla richiesta prosecuzione dell’incarico di Direttore Generale e condannando l’Amministrazione al pagamento dei relativi emolumenti.

1.1. La Corte d’Appello ha accolto il primo motivo di impugnazione proposto dalla Regione Lazio, con il quale la stessa aveva contestato la sentenza del Tribunale per aver escluso che l’accettazione della nomina a Commissario straordinario potesse assumere il valore di implicita rinuncia al precedente incarico di Direttore Generale.

La Corte di Appello ha affermato che la Delib. della Giunta regionale avvicendava, per asserite ragioni di opportunità politica non meglio precisate (e solo nel corso del giudizio sarebbero state esplicitate come ragioni legate a forti contrasti insorti tra il vertice aziendale e le maestranze) le cariche apicali di entrambi gli enti socio-sanitari di causa fino allora rivestite dai rispettivi direttori generali.

Preso atto delle disponibilità che si affermava manifestate, l’Amministrazione regionale nominava G. Commissario straordinario della AUSL di ***** e il Dirigente Generale di quest’ultima Commissario straordinario della AUSL di Rieti, limitando a un semestre la durata di entrambi gli incarichi.

La scelta in favore della gestione commissariale e la contenuta durata dei relativi incarichi rispondevano all’intento enunciato nel preambolo della Delib. di far coincidere la scadenza di tali organi di vertice con il rinnovo della legislatura regionale.

La Delib., pertanto, non si prestava a interpretazioni equivoche. Con essa la Regione nominava le due nuove figure commissariali, determinando la cessazione degli incarichi precedenti di Direttori Generali.

Ad avviso della Corte d’Appello, pertanto, se questo era l’univoco tenore del provvedimento, la fattispecie non poteva essere ricostruita nei termini del recesso unilaterale rispetto all’incarico di G. in Rieti da parte dell’Amministrazione.

G., immettendosi senza riserve nell’esercizio delle funzioni di Commissario straordinario, accettava – per comportamento concludente che prescindeva dalle convinzioni del suo foro interno e superava, in ogni caso, i termini e gli eventuali limiti di ogni pregressa disponibilità – la relativa nomina e la parallela estromissione dal pregresso incarico.

Quest’ultima, pertanto, andava ricondotta alla comune volontà delle parti. Quindi, il G. non aveva interesse a dolersi della presunta illegittimità formale e sostanziale della Delib. di nomina a Commissario straordinario.

L’eventuale relativo accertamento non avrebbe conseguenze sulla intervenuta cessazione del pregresso incarico, da ascrivere non solo all’adozione della Delib. di nomina a Commissario straordinario, ma anche alla condotta dell’appellato, che dando esecuzione ed esercitando di fatto altrove le funzioni di Commissario straordinario, aveva posto in essere una fattispecie di risoluzione consensuale dell’originaria nomina.

Tale conclusione era avvalorata dalla considerazione ulteriore, che svelava anche l’erroneità del ragionamento del Tribunale, per la quale vi era una inconciliabilità tra i due incarichi assunti dal lavoratore in successione.

L’incarico di Direttore Generale è di tipo esclusivo e a tempo pieno, prima ancora che incompatibile con la sussistenza di altri rapporti di lavoro.

2. Tanto premesso, può passarsi all’esame dei motivi di ricorso.

3. Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione o comunque falsa applicazione dell’art. 1372 c.c.

E’ censurata la statuizione con la quale la Corte d’Appello ha affermato che il contratto concluso tra le parti per lo svolgimento dell’incarico di Direttore Generale dell’allora AUSL di Rieti per il periodo 7 novembre 2003-7 novembre 2006 si sarebbe risolto per il comportamento concludente delle parti, allorché il ricorrente aveva accettato l’incarico di Commissario Straordinario dell’Azienda USL Roma ***** conferitogli per sei mesi dalla Regione Lazio con Delib. G.R. 15 ottobre 2004.

La Corte d’Appello non aveva tenuto conto che il contratto non poteva risolversi in mancanza di un’esplicita e univoca manifestazione di volontà in forma scritta, atteso che in tal senso depone l’art. 1372 c.c., come interpretato dalla giurisprudenza di legittimità.

Quest’ultima ha affermato che il contratto risolutorio non deve necessariamente risultare da un accordo esplicito dei contraenti diretto a sciogliere il contratto, ma può risultare anche dalla volontà di non dare ulteriore corso ad esso, emergente da fatti univoci posti in essere successivamente alla sua stipula (Cass., 4307 del 2001, 8106 del 2001), tuttavia l’accordo risolutorio di un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta “ad substantiam” è soggetto alla medesima forma stabilita per la conclusione di esso, e tale requisito può considerarsi soddisfatto solamente in presenza di un documento contenente la espressa e specifica dichiarazione negoziale delle parti. Peraltro, trattandosi di forma non imposta dalla legge o da previa pattuizione, per gli accordi risolutori riprende vigore il principio di libertà delle forme (Cass. 25126 del 2006, richiamata).

Nel caso di specie, la Corte d’Appello non avrebbe considerato che la L.R. Lazio n. 18 del 1994, art. 4 prevede per la nomina del Direttore Generale la forma scritta ad substantiam, forma che peraltro è richiesta per tutti i contratti della pubblica amministrazione.

A sostegno delle proprie argomentazioni il ricorrente richiama la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda.

4. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta violazione o comunque falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., sotto altro e ulteriore profilo, nonché violazione o comunque falsa applicazione della L.R. Lazio n. 18 del 1994, art. 8.

La Corte d’Appello non aveva considerato che le parti avevano espressamente disciplinato le modalità di risoluzione del contratto per cui è causa, così contravvenendo ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la risoluzione per comportamento concludente non è ipotizzabile allorché le modalità di risoluzione dello stesso siano state specificamente concordate tra le parti.

Il contratto di prestazione d’opera intellettuale per lo svolgimento dell’incarico di Direttore Generale della AUSL di Rieti per il periodo 10 novembre 2000-10 novembre 2003, i cui effetti erano stati prorogati per il successivo periodo 7 novembre 2003-7 novembre 2006, prevedeva espressamente, all’art. 6, che: “Il Consiglio regionale sostituisce il direttore generale dell’Azienda in caso di assenza o impedimento che si protragga oltre sei mesi ai sensi della L.R. n. 18 del 1994, art. 8, comma 6 e succ. mod. o int., nonché in tutti gli altri casi previsti dalla stessa legge previa contestazione formale degli addebiti all’interessato e successiva verifica in contraddittorio”.

Pertanto, lo stesso contratto prevedeva la possibilità di assenza per un periodo di sei mesi, lasso temporale che coincideva con quello per cui gli era affidato l’incarico di Commissario straordinario, e comunque uno specifico procedimento nel caso di superamento di tale termine.

Ciò in conformità alle previsioni della L.R. Lazio n. 18 del 1994.

Erroneamente, la sentenza di appello aveva affermato che l’incarico di Direttore Generale era esclusivo, a tempo pieno, incompatibile con altri rapporti di lavoro e non permetteva sospensioni o parentesi funzionali.

L’art. 3 del contratto, peraltro, prevedeva la risoluzione nel caso di violazione degli obblighi di fedeltà ed esclusività che nella specie non risultava accertata.

Nel caso specifico, non vi era stata volontà e consapevolezza di voler risolvere il contratto.

5. Con il terzo motivo è dedotta la violazione o comunque falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., sotto altro e ulteriore profilo.

Assume il ricorrente che la sentenza oggetto di impugnazione non aveva correttamente applicato i principi in tema di configurabilità della risoluzione per mutuo consenso di un rapporto contrattuale avente ad oggetto lo svolgimento di attività lavorativa.

La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine non è sufficiente a far ritenere sussistente la risoluzione del rapporto per mutuo consenso, mentre grava sul datore di lavoro che eccepisca tale risoluzione l’onere di provare la circostanza da cui possa ricavarsi tale volontà.

Affinché si possa configurare un comportamento concludente, è necessario un contegno o una dichiarazione da cui ciascun interessato possa arguire l’effettiva determinazione del soggetto. Il significato dei fatti dimostrati non deve essere equivoco.

La sentenza della Corte d’Appello non si era attenuta a tali principi. Ed infatti, aveva valorizzato il solo dato oggettivo dell’accettazione da parte del lavoratore dell’incarico di Commissario straordinario della USL Roma ***** di Roma, conferitogli dalla Regione Lazio per il periodo di sei mesi, senza considerare che da tale accettazione non poteva derivare in alcun modo, neppure in via solo astratta, la volontà e la consapevolezza di risolvere il precedente contratto stipulato sempre con la Regione Lazio ed avente ad oggetto lo svolgimento dell’incarico di Direttore Generale dell’allora AUSL di Rieti.

Era lo stesso contratto di prestazione d’opera stipulato con la Regione, nonché la L.R. n. 18 del 1994 a prevedere la possibilità della sospensione dell’incarico di Direttore Generale dell’AUSL di Rieti per la durata di sei mesi.

Pertanto, esso lavoratore non poteva immaginare che dall’incarico di Commissario straordinario potesse conseguire la risoluzione per fatti concludenti del precedente contratto.

A sostegno delle proprie argomentazioni il ricorrente richiama la sentenza di primo grado.

Vi erano poi ulteriori circostanze, non valutate dalla Corte d’Appello, che escludevano la consapevolezza di esso lavoratore:

l’aver dato la disponibilità ad assolvere l’incarico di Direttore Generale presso altra AUSL;

la mancata nomina di un nuovo Direttore Generale dopo la nomina a Commissario straordinario della ASL Roma *****, ma invece di un Commissario straordinario;

la contestazione da parte del G., in data 15 luglio 2005, dell’allontanamento dal servizio dell’8 maggio 2005, e contestualmente la richiesta di continuare a svolgere il proprio incarico di Direttore Generale sino al 7 novembre 2006.

La Corte d’Appello quindi non aveva valutato nella sua fattualità il comportamento del soggetto. Era illegittimo qualificare come concludente un comportamento solo perché conseguenziale rispetto a particolari presupposti giuridici ritenuti sussistenti, diversi dai principi generali di settore.

6. Con il quarto motivo di ricorso si prospetta censura sulla violazione o comunque falsa applicazione della L.R. n. 18 del 1994, art. 8 e della L. n. 241 del 1990, art. 21-septies.

E’ censurata la statuizione con cui il giudice di appello ha affermato che il lavoratore non aveva interesse a dolersi della presunta illegittimità formale e sostanziale della Delib. 15 ottobre 2004. Deduce il lavoratore che in tal modo la Corte d’Appello ha fatto discendere effetti giuridici da un atto amministrativo nullo, adottato in assoluta carenza di attribuzione.

La nullità conseguiva a quanto stabilito dalla L.R. Lazio n. 18 del 1994, art. 8 nella versione applicabile catione temporis, che non prevedeva la nomina del Commissario straordinario nell’ipotesi di assenza o impedimento del Direttore Generale. Nella specie non sussistevano le condizioni per la nomina del Commissario Straordinario, come confermato dal fatto che la Delib. della Giunta non era stata ratificata dal Consiglio Regionale.

L’atto di nomina di esso lavoratore a Commissario straordinario doveva essere dichiarato nullo L. n. 241 del 1990, ex art. 21-septies, in quanto adottato in carenza soluta di attribuzione.

7. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi non sono fondati.

7.1. Occorre ricordare come già affermato da questa Corte (Cass. n. 19425 del 2013, n. 19626 del 2015), nel pubblico impiego contrattualizzato la pubblica amministrazione, nella sua qualità di datore di lavoro esercita poteri privatistici: gli atti di gestione del rapporto devono pertanto essere valutati secondo gli stessi parametri che si utilizzano per il datore di lavoro privato e non è applicabile in materia alcuna disposizione della L. 7 agosto 1990, n. 241, come invece dedotto dal ricorrente.

7.2. Va, altresì osservato che, ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3, comma 6: “I contenuti di tale contratto (n.d.r. Dirigente Generale), ivi compresi i criteri per la determinazione degli emolumenti, sono fissati entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri della sanità, del tesoro, del lavoro e della previdenza sociale e per gli affari regionali sentita la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome (…)”.

Il comma 9 stabilisce, tra l’altro: “La carica di Direttore Generale è altresì incompatibile con la sussistenza di un rapporto di lavoro dipendente, ancorché in regime di aspettativa senza assegni, con l’unità sanitaria locale presso cui sono esercitate le funzioni”.

Il medesimo D.Lgs., art. 3, comma 8 sancisce: “Il rapporto di lavoro del direttore generale, del direttore amministrativo e del direttore sanitario è esclusivo ed è regolato da contratto di diritto privato, di durata non inferiore a tre e non superiore a cinque anni, rinnovabile, stipulato in osservanza delle norme del titolo terzo del libro quinto del codice civile. La regione disciplina le cause di risoluzione del rapporto con il direttore amministrativo e il direttore sanitario”.

L’art. 3-bis, comma 11: “La nomina a direttore generale, amministrativo e sanitario determina per i lavoratori dipendenti il collocamento in aspettativa senza assegni e il diritto al mantenimento del posto”.

7.3. Con D.P.C.M. 19 luglio 1995, n. 502 si è previsto all’art. 1, commi 2-4: “2. Il rapporto di lavoro del direttore generale è esclusivo ed è regolato da contratto di diritto privato, di durata non inferiore a tre e non superiore a cinque anni, rinnovabile, stipulato in osservanza delle norme del titolo terzo del libro quinto del codice civile.

3. Il direttore generale è tenuto ad esercitare le funzioni stabilite dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni, nonché ogni altra funzione connessa all’attività di gestione disciplinata da norme di legge e di regolamento e da leggi e atti di programmazione regionale.

4. Con la sottoscrizione del contratto di lavoro il direttore generale si impegna a prestare la propria attività a tempo pieno e con impegno esclusivo a favore dell’ente cui è stato preposto”.

7.4. La L.R. Lazio n. 18 del 1994, art. 8, commi 3 e 4, a sua volta stabilisce, in particolare: “3. Il rapporto di lavoro del direttore generale è a tempo pieno e di diritto privato; si instaura con contratto di durata quinquennale rinnovabile, disciplinato ai sensi del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, art. 3, commi 6 e 8, e successive modificazioni e integrazioni.

4. L’efficacia della nomina è subordinata alla stipula di apposito contratto di cui al comma precedente tra il Presidente della Giunta regionale ed il direttore generale nominato”.

7.5. La disciplina normativa statale e regionale sopra richiamata evidenzia che la prestazione di lavoro del direttore Generale è a tempo pieno ed è esclusiva.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare che la normativa di cui al D.Lgs. n. 502 del 1992, nel prevedere che il rapporto di lavoro del Direttore Generale di un’Azienda sanitaria ha carattere esclusivo ed è incompatibile con l’instaurazione di altri rapporti di carattere dipendente o autonomo, ha carattere imperativo e inderogabile (Cass. n. 26958 del 2014, Cass., S.U., n. 25369 del 2020).

L’affermata incompatibilità della “carica di direttore generale” con la sussistenza di altro rapporto di lavoro, dipendente o autonomo (di cui all’art. 3-bis, comma 10 cit.) deve essere intesa allo stesso modo in cui è da intendere per tutti coloro che hanno un rapporto di lavoro con le Pubbliche Amministrazioni, sulla base della disciplina generale di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53 nonché della disciplina specifica per i titolari di incarichi dirigenziali dettata dal D.Lgs. n. 39 del 2013 (ove applicabile ratione temporis), peraltro in analogia anche con quanto dispone, per i medici del SSN, la L. n. 412 del 1991, art. 4, comma 7, secondo cui: “con il Servizio sanitario nazionale può intercorrere un unico rapporto di lavoro. Tale rapporto è incompatibile con ogni altro rapporto di lavoro dipendente, pubblico o privato, e con altri rapporti anche di natura convenzionale con il Servizio sanitario nazionale. Il rapporto di lavoro con il Servizio sanitario nazionale è altresì incompatibile con l’esercizio di altre attività o con la titolarità o con la compartecipazione delle quote di imprese che possono configurare conflitto di interessi con lo stesso” (citata sentenza Cass., S.U., n. 25369 del 2020).

Ne emerge la non sovrapponibilità di altro incarico, nella specie di Commissario straordinario con quello di Direttore Generale, atteso peraltro che proprio in ragione della esclusività, e del carattere a tempo pieno di quest’ultimo è prevista, per garantirne l’effettività di esercizio, la possibilità per il lavoratore di avvalersi dell’aspettativa.

Quindi, come afferma la Corte d’Appello, nel momento in cui la Regione conferiva l’incarico di Commissario straordinario a G.G. e il lavoratore accettava e svolgeva le funzioni di Commissario straordinario, e ciò ancor prima di vagliare la legittimità della Delib. di conferimento, le parti poneva in essere un comportamento incompatibile con la volontà di prosecuzione del rapporto, ascrivibile invece alla comune volontà delle parti medesime di porre fine al rapporto lavorativo avente ad oggetto l’incarico di Dirigente Generale della AUSL di Rieti.

8. Il ricorso deve essere rigettato.

9. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

10. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 7.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 8 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021

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