LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERRINO Umberto – Presidente –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –
Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 2652-2016 proposto da:
B.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VALDINIEVOLE 11, presso lo studio dell’avvocato ESTER FERRARI MORANDI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati MAURO RICCI, CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 7367/2015 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 22/07/2015 R.G.N. 39019/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/07/2021 dal Consigliere Dott. CAVALLARO LUIGI;
il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GIACALONE GIOVANNI;
visto il D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020, n. 176, ha depositato conclusioni scritte.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza depositata il 22.7.2015, il Tribunale di Roma, decidendo in sede di opposizione ad accertamento tecnico preventivo, ha rigettato la domanda di B.P. volta al riconoscimento dello status di portatore di handicap grave e lo ha condannato alla rifusione delle spese, in difetto delle condizioni di applicabilità dell’art. 152 att. c.p.c..
Avverso tale ultima statuizione, B.P. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura. L’INPS ha depositato delega in calce al ricorso notificatogli. Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di censura, il ricorrente denuncia l’erroneità della sentenza nella parte in cui lo ha gravato delle spese di lite e ne chiede la cassazione previa rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimità costituzionale dell’art. 152 att. c.p.c., nella parte in cui non prevede “vari livelli prestabiliti di condanna da applicare in base alle differenti fasce di reddito dei ricorrenti” (così il ricorso per cassazione, pag. 3): ad avviso di parte ricorrente, infatti, l’attuale formulazione dell’art. 152 att. c.p.c., nella parte in cui prevede che al di sopra della soglia di reddito ivi individuata il soccombente sia tenuto a pagare l’intero importo delle spese processuali, contrasterebbe con l’art. 3 Cost., comma 2, artt. 24 e 38 Cost., dal momento che, in spregio all’obbligo della Repubblica di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, al diritto di difesa e all’obbligo che siano preveduti mezzi adeguati alle esigenze di vita dei lavoratori in caso di malattia, “sottopone tutti i cittadini al pagamento della stessa somma per la condanna alle spese anche se possiedono redditi differenti” (ibid., pag. 4), il che rileverebbe precisamente in specie, avuto riguardo al suo reddito, di poco superiore al limite previsto per l’esenzione. Devono preliminarmente disattendersi le conclusioni del Pubblico ministero nella parte in cui argomentano l’inammissibilità del ricorso sul presupposto che il motivo di censura sia diretto esclusivamente a prospettare una questione di legittimità costituzionale.
Giusta la costante giurisprudenza del giudice delle leggi (v. in tal senso, tra le tante, Corte Cost. nn. 127 del 1998, 38 del 2009, 220 del 2010, 1 del 2014), i casi in cui può configurarsi un difetto d’incidentalità della questione di legittimità costituzionale sono quelli in cui vi sia piena coincidenza tra il petitum proposto davanti al giudice a quo e la questione di legittimità costituzionale medesima, in ipotesi perché le parti non hanno interessi propri da far valere in giudizio ma si fanno portatrici ciascuna di un più ampio interesse pubblico (c.d. fictio litis).
Nel caso di specie, invece, è indubitabile che parte ricorrente abbia formulato una precisa censura nei riguardi della sentenza impugnata, concernente la condanna alla rifusione delle spese, di talché l’eventuale accoglimento della questione di legittimità costituzionale non esaurirebbe la tutela richiesta nel giudizio principale: quest’ultima potrebbe realizzarsi solo a seguito ed in virtù della pronuncia con la quale questa Corte, all’esito dell’eventuale sentenza di accoglimento della Corte costituzionale, cassi la sentenza impugnata nella parte concernente la condanna alle spese (cfr. in tal senso il conclusum del ricorso per cassazione); e il fatto che della fondatezza della censura si possa decidere solo previa declaratoria d’incostituzionalità dell’art. 152 att. c.p.c., e dunque previa verifica della rilevanza e non manifesta infondatezza della questione proposta, rientra a pieno titolo nella logica d’incidentalità disegnata dalla L. n. 87 del 1953, art. 23, il quale, appunto, prevede che “il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale”.
Ciò premesso, reputa il Collegio che la questione sia manifestamente infondata.
Deve preliminarmente ricordarsi che, investita più volte della questione di legittimità costituzionale della norma cit., anche in relazione alle diverse formulazioni che essa ha assunto nel tempo, la Corte costituzionale ha chiarito che lo strumento dell’esonero dalle spese di lite del lavoratore soccombente costituisce un meccanismo atto a neutralizzare la minore resistenza del lavoratore stesso, venendo pertanto a porsi quale mezzo di ripristino di una uguaglianza che, seppure esistente sul piano formale, è suscettibile di cadere ove il rischio del processo, apparendo troppo gravoso, distolga il soggetto dal far valere le sue pur fondate pretese (v. Corte Cost. nn. 23 del 1973, 60 e 85 del 1979, 98 del 1987), e – pur rilevando come non potessero ritenersi ancora valide tutte le ragioni storiche sottese alla previsione dell’esonero, non potendosi continuare a non tenere conto delle mutate condizioni economiche raggiunte dai lavoratori e dunque della loro possibile situazione di abbienza – ha tuttavia ritenuto sottratta al suo sindacato la concreta determinazione delle categorie di abbienti e non abbienti, che presuppone una scelta affidata alla discrezionalità del legislatore non surrogabile da un intervento della Corte stessa (così, in specie, Corte Cost. n. 135 del 1987), limitandosi a censurare l’integrale intervento abrogativo della disciplina dell’esonero operato dal D.L. n. 384 del 1992, art. 4, comma 2, (conv. con L. n. 438 del 1992), dichiarato costituzionalmente illegittimo sul rilievo che, trascurando ogni possibile distinzione tra soggetti abbienti e non abbienti, aveva indiscriminatamente ripristinato la situazione di disparità sostanziale nel processo, limitando di fatto la possibilità di agire della parte privata e non tutelando a sufficienza la condizione del soggetto inabile al lavoro (Corte Cost. n. 134 del 1994).
L’attuale formulazione dell’art. 152 att. c.p.c., introdotta dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, comma 11 (conv. con L. n. 326/2003), ha recepito le indicazioni del giudice delle leggi lì dove riconosceva al legislatore la possibilità di una definizione in senso restrittivo dell’area dei beneficiari dell’esonero, espressamente ricordando che la determinazione concreta delle condizioni e degli estremi della situazione di abbienza, ai fini in discorso, “importa scelte affidate alla discrezionalità del legislatore” (così Corte Cost. n. 134 del 1994, cit., in motivazione, dove il richiamo testuale a Corte Cost. n. 135 del 1987); e, parafrasando quanto già osservato da Corte Cost. n. 71 del 1998, pare al Collegio che non possa dubitarsi che anche la questione di costituzionalità prospettata in ricorso si risolverebbe in una richiesta volta ad invadere indebitamente la sfera discrezionale del legislatore in materia, vuoi nel caso in cui la Corte costituzionale operasse essa stessa, attraverso l’invocata pronuncia d’incostituzionalità, una concreta individuazione dei criteri oggettivi di identificazione delle diverse categorie di lavoratori, vuoi anche ove demandasse tale compito al giudice del caso concreto: è sufficiente al riguardo rilevare che si tratterebbe in entrambi i casi di un intervento additivo che non potrebbe mai essere “a rime obbligate”, in ragione della pluralità di soluzioni normative configurabili a tutela dei principi costituzionali invocati quali parametro di legittimità della norma (cfr. in tal senso i rilievi di Corte Cost. n. 30 del 2014).
Vero è che la giurisprudenza costituzionale più recente ha ritenuto che la sussistenza di una pluralità di alternative possibili, che siano rimesse alla discrezionalità legislativa, e l’assenza di una soluzione “a rime obbligate” non sono di per sé preclusive dell’esame nel merito delle censure d’incostituzionalità (così da ult. Corte Cost. n. 48 del 2021, dove il richiamo a Corte Cost. nn. 152 e 252 del 2020, 222 del 2018, 179 del 2017 e 236 del 2016); ma è pur vero che a tale conclusione il giudice delle leggi è pervenuto sul presupposto che esistano precisi punti di riferimento, già rinvenibili nel sistema legislativo, che possano orientare il giudizio di “ragionevolezza intrinseca” sulla norma di legge (così, in particolare, Corte Cost. n. 236 del 2016, cit.), ciò che, viceversa, nemmeno parte ricorrente ha potuto indicare nel caso di specie; ed è appena il caso di soggiungere che, difettando (anche) questi ultimi, l’invocato giudizio costituzionale di “ragionevolezza” trasmoderebbe in un giudizio il cui il giudice delle leggi sarebbe chiamato a sostituire i propri criteri di “giustizia” a quelli del legislatore, privando in ultima analisi il giudizio stesso di qualsiasi premessa empiricamente e logicamente controllabile.
Ritenuta, pertanto, la manifesta infondatezza della prospettata questione di legittimità costituzionale, il ricorso va rigettato, nulla pronunciandosi sulle spese del giudizio di legittimità, per non avere l’INPS svolto apprezzabile attività difensiva oltre il deposito della procura in calce al ricorso notificatogli.
Tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 luglio 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 novembre 2021