Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.32996 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO A. Maria – Presidente –

Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –

Dott. PUTARUTO DONATI VISCIDO di N. Maria Giulia – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. NOVIK Adet Toni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12688/2015 R.G. proposto da:

Immobiliare Pisana s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avv. Giulia Citani, elettivamente domiciliata presso lo studio in Fiumicino, via della Sogliola 21;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, n. 7288/29/14, depositata il 3 dicembre 2014, non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 9/07/2021 dal Consigliere Adet Toni Novik.

RILEVATO

che:

– la società Immobiliare Pisana s.r.l. (di seguito, la contribuente) propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, depositata il 3 dicembre 2014, di reiezione dell’appello avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto il ricorso per l’annullamento dell’avviso di accertamento relativo all’anno di imposta 2004 per Iva, Irap e Ires;

– dall’esame della sentenza di appello si evince che l’Ufficio aveva rettificato il reddito di impresa dichiarato dalla società, in relazione alla rettifica della dichiarazione dei redditi per scostamento dagli studi di settore;

– il giudice di appello, ritenuta mera irregolarità la mancata sottoscrizione da parte del messo speciale (nella copia) della relata di notifica dell’avviso di accertamento, sottoscrizione presente invece nell’originale dell’atto notificato, ha ritenuto che: a) la società era risultata non congrua per due periodi di imposta su tre – circostanza questa contestata nell’invito contraddittorio -; b) in sede di contraddittorio, si era proceduto alla rielaborazione dello studio di settore, essendo emerso un errore nell’utilizzo del codice attività e che rispetto ai risultati dello scostamento contestato nessuna controprova era stata fornita dalla contribuente;

– il ricorso è affidato a cinque motivi, cui l’agenzia delle entrate resiste con controricorso.

CONSIDERATO

che:

– In via pregiudiziale, la ricorrente eccepisce la nullità-inesistenza dell’accertamento per vizio di sottoscrizione dei dirigenti privi del potere di rappresentare l’ente, richiamando la sentenza della Corte costituzionale con cui è stata dichiarata l’incostituzionalità del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, e delle successive proroghe, nella parte in cui ha proceduto alla nomina dirigenti delle agenzie fiscali di funzionari privi di titolo non avendo così superato il relativo concorso; si osserva che nella specie l’accertamento era stato sottoscritto da soggetto non compreso nel ruolo dei dirigenti di prima e di seconda fascia dell’agenzia delle entrate

– l’eccezione è inammissibile, trattandosi di questione non proposta nei precedenti gradi di merito e che richiede un accertamento di fatto, non compatibile in questa sede: nel giudizio di cassazione, il quale ha per oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto proposte, non è consentito avanzare per la prima volta doglianze diverse da quelle dedotte nel giudizio di merito o nuovi temi di contestazione non trattati nella medesima sede, non potendo il sindacato della Suprema Corte estendersi alla risoluzione di questioni differenti da quelle ivi decise e dovendo invece tale sindacato investire statuizioni che abbiano formato oggetto del processo di appello; si consideri, peraltro, che questa Corte ha affermato il principio per cui “In tema di accertamento tributario, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, primo e comma 3, gli avvisi di accertamento in rettifica e gli accertamenti d’ufficio devono essere sottoscritti a pena di nullità dal capo dell’ufficio o da altro funzionario delegato di carriera direttiva, cioè da un funzionario di area terza di cui al contratto del comparto agenzie fiscali per il quadriennio 2002-2005, di cui non è richiesta la qualifica dirigenziale, con la conseguenza che nessun effetto sulla validità di tali atti può conseguire dalla declaratoria d’incostituzionalità del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 24, convertito dalla L. n. 44 del 2012. (Sez. 5 -, Ordinanza n. 5177 del 26/02/2020, Rv. 657340 – 01)”;

– Con il primo motivo di ricorso (recte, secondo), si denuncia la “Violazione degli artt. 156/160 c.p.c., e dell’art. 148 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”: in sintesi, si contesta che il giudice di appello non abbia rilevato l’inesistenza della notifica per omessa sottoscrizione del messo in calce alla copia della relata di notifica;

– l’eccezione è inammissibile;

– la giurisprudenza di questa Corte è nel senso che “L’invalida notifica dell’avviso di accertamento è sanata per raggiungimento dello scopo ove detto vizio non abbia pregiudicato il diritto di difesa del contribuente, situazione che si realizza nell’ipotesi in cui il medesimo, in sede di ricorso giurisdizionale contro l’atto, ne abbia diffusamente contestato il contenuto”. (Sez. 5 -, Sentenza n. 11043 del 09/05/2018, Rv. 648360 01): la CTR si è conformata a questo principio riconoscendo la sanatoria di ogni eventuale nullità per raggiungimento dello scopo; ma va aggiunto per completezza che è stato affermato anche che “La nullità di un atto non dipende dalla illeggibilità della firma di chi si qualifichi come titolare di un pubblico ufficio, ma dall’impossibilità oggettiva di individuare l’identità del firmatario, senza che rilevi la soggettiva ignoranza di alcuni circa l’identità dell’autore dell’atto. Pertanto, nel caso di sottoscrizione illeggibile della relata di notificazione di un avviso di accertamento, spetta al contribuente, superando la presunzione che il sottoscrittore – qualificatosi nell’atto come titolare di un pubblico ufficio (nella fattispecie, messo comunale) – aveva il potere di apporre la firma, dimostrare la non autenticità di tale sottoscrizione o l’insussistenza della qualità indicata, con la conseguenza che, in assenza di una tale dimostrazione, va escluso il vizio di nullità (o di inesistenza) della notificazione”. (Sez. 5, Sentenza n. 16407 del 03/11/2003, Rv. 567832 – 01); a maggior ragione, detto principio è applicabile quando la sottoscrizione sia mancante nella copia della relata;

– con il secondo motivo (recte, terzo), si eccepisce la “Violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1, come modificato dalla finanziaria 2005 (L. 30 dicembre 2004, n. 311) in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.”: in sintesi, si osserva che nell’avviso di accertamento non vi era il richiamo alla violazione della regola del “Due su Tre” non essendo sufficiente che essa fosse contenuta nell’invito al contraddittorio finalizzato al raggiungimento di un accordo in fase pre-contenziosa;

– l’eccezione è infondata;

– correttamente la CTR ha affermato che “l’incongruità per due periodi di imposta non richiede l’assolvimento di un particolare onere motivazionale, trattandosi di un dato nella piena disponibilità del contribuente, che, nella compilazione dello studio di settore, desume il risultato di congruità o meno”; in effetti, la regola secondo cui l’accertamento è possibile, quando in almeno due periodi d’imposta su tre consecutivi considerati, compreso quello da accertare, l’ammontare dei compensi o dei ricavi determinabili sulla base degli studi di settore risulta superiore all’ammontare dei compensi o ricavi dichiarati con riferimento agli stessi periodi di imposta, è un criterio legale ben conoscibile dal contribuente che ad esso deve uniformarsi nella compilazione dello studio di settore, sicché nessun richiamo specifico è necessario nell’avviso di accertamento; nella specie, peraltro, il richiamo a questa regola era ben conosciuto dal contribuente perché indicato nell’invito al contraddittorio, di cui a torto si afferma l’irrilevanza trattandosi di elemento che concorre a declinare la piena conoscenza delle ragioni dell’atto impositivo.

– con il terzo motivo (recte, quarto) si eccepisce la “Violazione dell’art. 39, comma 1, lett. d), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” sul rilievo che la condizione del “due su tre” non si era verificata né per l’anno in contestazione mancando l’anno 2002, né per il triennio successivo mancando l’anno 2007, cosicché non si sarebbero potuto utilizzare gli studi di settore;

– la censura è inammissibile;

– sì osserva in primo luogo che “il vizio di motivazione, denunciabile come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, può concernere esclusivamente l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia, non anche l’interpretazione e l’applicazione delle norme giuridiche, giacché – ove il giudice del merito abbia correttamente deciso le questioni di diritto sottoposte al suo esame, sia pure senza fornire alcuna motivazione o fornendo una motivazione inadeguata, illogica o contraddittoria – la Corte di cassazione, nell’esercizio del potere correttivo attribuitole dall’art. 384 c.p.c., comma 2, deve limitarsi a sostituire, integrare o emendare la motivazione della sentenza impugnata” (Cass., sez. unite, 25 novembre 2008, n. 28054; Cass. n. 5595 del 2003); in secondo luogo, si tratta di questione di fatto introdotta per la prima volta con il giudizio di legittimità ed in contrasto con il principio della doppia conforme “, in ragione delle pronunce dei due gradi di merito di analogo contenuto (art. 348 ter c.p.c., che limita il ricorso ai motivi di cui al citato art. 360, comma 1, nn. 1), 2), 3), 4))

– con il quarto motivo (recte, quinto), si eccepisce la “Violazione dell’art. 115 c.p.c., comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4” sul rilievo che erroneamente la commissione regionale avrebbe ritenuto che la contribuente avesse censurato solo un passaggio motivazionale della sentenza, senza nulla argomentare in ordine all’improprietà dei risultati dello scostamento; osserva la parte che il collegio del riesame “non prendeva in considerazione il mezzo di prova tuttavia se ne serviva per rigettare l’appello affermando che la società ricorrente “in mancanza di controprova” si sarebbe “limitata a rappresentare” che l’ufficio aveva richiesto “di pagare importi superiori a quelli accertati”;

– la censura, oltre ad essere di scarsa comprensione, è inammissibile in quanto non si confronta con la decisione di secondo grado, confermativa di quella del primo giudice, che ha ritenuto idonee le risultanze degli studi di settore a fondare l’accertamento: la CTR, rilevando come la contribuente non avesse neppure argomentato in ordine “all’improprietà dei risultati dello scostamento contestato”, ha fatto corretta applicazione dei principi di diritto consolidati nella giurisprudenza della Corte (Sez. U, Sentenza n. 26635 del 18/12/2009, Rv. 610692 – 01) secondo cui, nel riparto degli oneri, al contribuente è assegnato quello non solo di allegare ma anche di provare ancorché senza limitazioni di mezzi e di contenuto – la sussistenza di circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale al quale l’parametri fanno riferimento, sì da giustificare un reddito inferiore a quello che sarebbe stato normale secondo la procedura di accertamento tributario standardizzato, mentre all’ente impositore incombe l’onere della dimostrazione dell’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto di accertamento (cfr. ex multis Cass. n. 3415/2015);

– pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto;

– le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo. Da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, liquidate in Euro 4.000, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 9 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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