Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.33012 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12836-2019 proposto da:

L. ASSICURAZIONI & C DI L.R. SAS, elettivamente domiciliato in Corigliano – Rossano, via Michelangelo, 43, presso l’avv. DOMENICO SOMMARIO;

– ricorrente –

contro

ALLIANZ SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVUOR 17, presso lo studio dell’avvocato MICHELE ROMA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FABIO PADOVINI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 580/2018 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 25/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/05/2021 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.

RITENUTO

CHE:

1.- La società L.R. sas (di L.R.), con contratto del 23.12.1996, ha assunto l’incarico di agente mandatario per conto della Lloyd Adriatico, ora Allianz spa, allo scopo di procurare contratti di assicurazione e gestirli, anche con riguardo alla istruttoria dei sinistri.

La società, a quel tempo, era composta da L.R. Jr. e L.R. Srl., quali soci accomandatari, e da L.M.P., quale socia accomandante: la compagine è rimasta tale sino a che, con lettera del 26.5.2010, L.R. Jr ha comunicato di dimettersi dalla carica di amministratore, ma di voler mantenere la posizione di socio: dimissioni in un primo momento ritirate, poi però confermate dall’interessato e ratificate dagli altri due soci. Contemporaneamente ha presentato dimissioni anche L.R. srl.

A seguito di tali mutamenti della compagine sociale, Allianz ha attivato la procedura di cui all’art. 2 bis del contratto collettivo ANA del 2003, norma che prevede che, in caso di modifiche nella composizione della società, il rapporto rimane in essere per 90 giorni, durante i quali le parti hanno possibilità di valutare la sostituzione dei soci venuti meno: decorso inutilmente il termine, il mandante può recedere. Allianz, esclusa la possibilità del ricambio, ha dunque notificato recesso e preteso la restituzione dell’Agenzia.

La società L. sas ha agito in giudizio sia per contrastare la legittimità del recesso, ritenendolo escluso nella fattispecie, ossia ritenendo che non vi fossero ragioni per lo scioglimento del rapporto; sia per avere di conseguenza una indennità di fine rapporto diversa da quella offerta da Allianz, oltre che il risarcimento del danno.

2.- Il Tribunale di Trieste ha rigettato, con una prima decisione parziale, la tesi, sostenuta dalla società, dell’illegittimo recesso di Allianz, e, con una seconda decisione, ha deciso sull’ammontare dell’indennizzo spettante, per fine rapporto, all’agente, negando a costui il risarcimento dei danni pretesi: decisione confermata integralmente in appello.

3.-Il ricorso è basato su cinque motivi, di cui chiede il rigetto Allianz Assicurazioni con controricorso e successive memorie.

CONSIDERATO

CHE:

5.- La ratio della decisione impugnata.

La Corte di Appello di Trieste ha confermato l’applicabilità al contratto di cui è causa dell’accordo collettivo ANA del 2003, motivando per relationem alla decisione che, sul punto, è stata assunta dal Tribunale, e dunque rigettando la tesi della ricorrente secondo cui quell’accordo, che prevede, per l’appunto, recesso del mandante in caso di mutamento della compagine sociale dell’agente, si applica solo ai contraiti di agenzia successivi alla sua entrata in vigore.

Conseguentemente ha ritenuto corretta la stima della indennità ed ha escluso il diritto al risarcimento da illegittimo recesso, rectius, da inadempimento contrattuale della Allianz.

Queste rationes sono contestate con cinque motivi.

6.-Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 1362 c.c. e dell’art. 11 preleggi.

E’ motivo che pregiudica quasi l’intera controversia. La tesi della società ricorrente è che il diritto del mandante di recedere, a fronte di mutamenti della compagine sociale, è previsto dall’art. 2 bis dell’accordo nazionale (ANA) entrato in vigore nel 2003, e dunque non applicabile, in ragione dell’art. 2, comma 6, ai contratti in essere e stipulati precedentemente, ma solo a quelli conclusi successivamente alla sua entrata in vigore.

L’art. 2 bis prevede che se v’e’ mutamento di compagine – per dimissioni, come nella fattispecie, di uno o più soci o amministratori – il rapporto non si estingue immediatamente, ma solo trascorsi 90 giorni da quel mutamento, onde dare alle parti la possibilità di trovare delle sostituzioni: procedura, questa, fatta valere da Allianz, che, all’inutile scadere dei 90 giorni, ha notificato il recesso.

Dunque, la tesi della ricorrente è che nell’applicare questa regola (art. 2 bis) ad un accordo precedente alla sua entrata in vigore, i giudici di merito hanno sia male interpretato l’accordo, ossia fatto cattivo uso dell’art. 1362 c.c., sia violato l’art. 11 preleggi che contiene divieto di applicazione retroattiva delle norme.

Il motivo è infondato.

Prima di affrontare la questione, vanno fatti alcuni chiarimenti.

Nel corso del motivo la ricorrente propone alcuni argomenti che in realtà non possono essere presi qui in considerazione, perché riguardano presupposti di fatto accertati dal giudice di merito: che la compagine sociale non sia affatto mutata, essendosi L.R. jr dimesso dalla sola carica di amministratore, senza però perdere la qualità di socio; non si dice però che anche L.R. sr si è dimesso da socio, e che questo presupposto di fatto è stato accertato dalla corte quale indice di mutamento della compagine sociale.

Dunque, bisogna dare per accertato in fatto che la compagine sociale è effettivamente mutata.

Ciò posto, l’irretroattività dell’art. 2 bis dell’accordo ANA del 2003 è invocata dalla ricorrente, sia per ragioni testuali che extra testuali.

Queste ultime sono di preliminare attenzione, e sono infondate. Intanto non rileva il richiamo all’art. 11 preleggi, che, come è noto, prevede la irretroattività delle leggi, per l’appunto, e non dei contratti collettivi, atti negoziali non aventi forza di legge: è noto peraltro come la previsione dell’art. 11 preleggi, comma 2 (“I contratti collettivi di lavoro possono stabilire per la loro efficacia una data anteriore alla pubblicazione, purché non preceda quella della stipulazione”) è da ritenersi abrogata in quanto riferita al sistema corporativo venuto a sua volta meno (Cass. 762 del 1992).

In secondo luogo, fatto sgombero di un ostacolo di carattere generale, la regola della irretroattività presuppone situazioni giuridiche consolidate o diritti cosiddetti quesiti: situazioni cioè che non possono essere messe in discussione, per la loro stessa natura ed i loro stessi effetti; invece, diverso, e ridotto, è l’ambito della regola nel caso di rapporti ancora in corso, come quelli di durata, nei quali l’applicazione della regola non e’, di suo, retroattiva, proprio perché si applica a situazioni non già “chiuse”, bensì in essere al momento della applicazione della norma.

V’e’ poi un argomento testuale, che è basato sull’art. 2, comma 6 dell’accordo ANA il quale prevede che le norme dell’art. 2 bis (ossia scioglimento del rapporto trascorsi 90 giorni dal mutamento sociale, salvo individuazione di sostituti), si applicano anche ai contratti in corso, ma esclusivamente se ricorrono le ipotesi dell’art. 2, comma 5. E le ipotesi previste da quest’ultima clausola sono che quando il contratto di agenzia è stipulato con una società già costituita (caso presente) l’agente deve comunicare al mandante quale sia la compagine sociale, e qualora intenda mutarla, ha bisogno del consenso di quello.

Con la conseguenza che, qualora si determina nella società agente un mutamento della compagine sociale, senza il consenso del mandante – caso pacifico, ed accertato in questa vicenda – si applica l’art. 2 bis: come si ricava agevolmente dal combinato disposto di quelle clausole, la regola dello scioglimento si applica anche ai contratti stipulati prima, ossia con società già costituite al momento dell’incarico, qualora queste mutino nella loro composizione e tale mutamento non abbia avuto il consenso del mandante.

7.-Prima del secondo può farsi esame del terzo motivo, in quanto attiene alla medesima questione del primo: si lamenta nullità della sentenza per carente o contraddittoria motivazione: il giudice di merito non avrebbe esposto le ragioni del rigetto della tesi della irretroattività dell’accordo collettivo, ma si sarebbe limitato a ritenere fondata la valutazione fatta in primo grado.

Il motivo è infondato.

Il giudice di appello motiva per relationem, richiamando gli argomenti fatti valere in primo grado, cui aderisce, e quindi si comprendono le ragioni del rigetto: dalla motivazione risulta il richiamo alla clausola dell’art. 2, comma 6, ed alla circostanza che il consenso ivi previsto è mancato.

8.-Il secondo ed il quarto motivo censurano la decisione istruttoria di non ammettere alcune delle prove richieste dalla ricorrente: il secondo motivo, in particolare, lamenta una generica violazione di legge, e sostanzialmente si duole del mancato rinnovo della CTU e della mancata ammissione di prove che avrebbero consentito di stimare il danno subito dalla società in modo più adeguato; il quarto motivo invece ripropone la medesima censura, ma per violazione della regola del giusto processo (art. 101 Cost.) e dell’art. 6CEDU.

I motivi sono inammissibili.

Non si comprende quale è il capo di decisione impugnato, ossia quali le ragioni che vengono censurate e che la corte avrebbe posto a base della sua decisione quanto alle prove, e soprattutto i motivi si traducono in una censura sulla ammissibilità, in generale, dei mezzi istruttori: censura che mira a contestare una valutazione discrezionale del giudice di merito – che peraltro non si dice in cosa sarebbe errata – non sindacabile in sede di legittimità.

9.- Il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 116 c.p.c. e dell’art. 1384 c.c..

La tesi della ricorrente è che i giudici di merito hanno calcolato una penale per il ritardo nella riconsegna dell’agenzia – penale prevista dall’accordo – in misura maggiore di quella dovuta, in quanto stimata su un periodo di ritardo maggiore di quello effettivo: in altri termini, la ricorrente assume di avere interrotto, o evitato, la mora, con una offerta non formale del 24.1.2011, di cui i giudici di merito non avrebbero tenuto conto o lo avrebbero fatto erroneamente.

Il motivo è inammissibile.

La corte di appello ha calcolato il periodo di mora con un accertamento in fatto motivato, dando rilevo alla lettera in questione e ritenendola insufficiente ad evitare la mora (o a ridurla temporalmente) sia per il suo tenore offerta non formale – che per il comportamento successivo delle parti: si coglie dunque nelle motivazioni l’interpretazione di un atto hegoziale sorretto da criteri ermeneutici riconosciuti, ed adeguatamente motivata, cosi che la censura si risolve in una richiesta di nuova e diversa valutazione di un fatto, ossia di quale fosse il reale periodo su cui calcolare il danno da ritardo.

il ricorso va rigettato.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, nella misura di 5200,00 Euro, oltre 200,00 Euro di spese legali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 20 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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