LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente –
Dott. SCODITTI Enrico – rel. Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. PELLEGRINO Andrea – Consigliere –
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20524-2017 proposto da:
F.P.D. SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL CORSO, 300, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE ANDREOTTA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE PAGNOTTA;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO ***** SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avv. STEFANO MARIA RUSSO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 492/2017 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 01/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/05/2021 dal Consigliere Dott. ENRICO SCODITTI.
RILEVATO
che:
F.D.P. s.r.l. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Nocera ***** s.r.l. chiedendo la rideterminazione del canone di locazione di opificio industriale, unitamente a macchinari ed attrezzature, a seguito della perdita della disponibilità di una rilevante parte dei beni locati. Espose in particolare che era intervenuto inventario dei beni mobili oggetto di locazione da parte del Fallimento ***** s.p.a. in quanto beni di proprietà della società fallita. La convenuta propose domanda riconvenzionale di condanna al pagamento della somma di Euro 35.000,00 a titolo di canoni non corrisposti. Il Tribunale adito rigettò la domanda attorea ed accolse quella riconvenzionale. Avverso detta sentenza propose appello F.D.P. s.r.l.. Con sentenza di data 1 giugno 2017 la Corte d’appello di Salerno rigettò l’appello.
Osservò la corte territoriale che la circostanza che macchinari ed attrezzatura fossero di proprietà di società terza, dichiarata fallita, non incideva sulla legittimazione di ***** a chiedere l’adempimento del contratto, posto che la locazione poteva essere conclusa anche da colui che, non proprietario del bene locato, ne avesse la disponibilità, sicché non vi era stato il subentro del curatore nel contratto cui la società fallita era estranea, e che non era stata provata la perdita della disponibilità dei macchinari locati perché dal verbale di inventario dei beni emergeva l’attrazione degli stessi alla massa attiva del fallimento, ma non anche l’effettiva cessazione del loro godimento da parte della conduttrice (nella sentenza di primo grado era stata valorizzata la dichiarazione del legale rappresentante di F.P.D. di accettazione della nomina a custode al fine di osservare che da ciò si presumeva la fruizione del bene da parte della stessa attrice). Aggiunse che il motivo di appello sul punto era fondato, oltre che su un’errata valutazione del verbale di inventario e della figura del custode, su un argomento esulante dalle ragioni della domanda, e cioè che taluni macchinari non fossero utilizzabili perché obsoleti, e che, essendo basata la domanda di riduzione del canone sul presupposto della perdita del godimento dei macchinari a causa dell’apprensione alla massa attiva del fallimento, l’eventuale inutilizzabilità di taluni macchinari perché obsoleti, ove pure dimostrata, non avrebbe provato la perdita del godimento di tutti i macchinari locati a causa del fallimento della società proprietaria. Osservò ancora che la conclusione del primo giudice circa la mancanza di prova dell’effettiva perdita del godimento dei macchinari per effetto del fallimento della società proprietaria era avvalorata dalla documentazione prodotta dalla stessa appellante in sede di gravame, dalla quale emergeva che la domanda di riduzione del canone era stata successivamente proposta anche per l’inutilizzabilità per obsolescenza, e che dalla relazione di CTU emergeva che, a circa due anni di distanza dell’inventario di cui sopra, i macchinari in questione erano in parte non funzionanti ed in parte funzionanti ed in uso alla conduttrice F.D.P..
Ha proposto ricorso per cassazione F.D.P. s.r.l. sulla base di dodici motivi e resiste con controricorso la parte intimata. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.. E’ stata presentata memoria.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 87,88 e 93 L. Fall., art. 1575 c.c., n. 3 e art. 1586 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che a seguito dell’inventario fallimentare si era attuato lo spossessamento della locatrice, ancor prima della conduttrice, ed i beni, venuto meno il diritto di *****, erano entrati nella disponibilità del curatore, posto che la finalizzazione dell’inventario alla vendita dei beni della massa fallimentare comportava la piena facoltà del Fallimento di procedere alla vendita dei macchinari. Aggiunge che, a seguito dell’inventario, il regime giuridico era passato dal godimento in forza di locazione alla fruizione precaria per la perdita di disponibilità dei beni da parte del locatore.
Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 163 c.p.c., comma 3, n. 4, artt. 65,560 e 593 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che con la nomina del custode il Fallimento ha manifestato di voler esercitare il potere diretto sulla cosa e che l’incarico di custode era incompatibile con il potere di disporre originariamente esercitato da *****.
Il primo e secondo motivo, da valutare congiuntamente in quanto connessi, sono inammissibili. La ratio decidendi della sentenza impugnata è costituita da un duplice rilievo: a) la locazione può essere stipulata anche dal non proprietario, coerentemente peraltro alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 27021 del 2016, n. 22346 del 2014, n. 15443 del 2011, n. 10270 del 1994 – chiunque abbia la disponibilità di fatto del bene, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, può validamente concederlo in locazione, onde la relativa legittimazione è riconoscibile anche in capo al detentore, a meno che la detenzione non sia stata acquistata illecitamente); b) la circostanza del fallimento del proprietario non ha fatto venir meno il godimento del bene in virtù della locazione da parte della società conduttrice. Tale ratio è aggredita dalla ricorrente con il rilievo che per effetto dell’inventario redatto dal curatore del fallimento della società proprietaria del bene il godimento derivante dalla locazione sarebbe cessato e vi sarebbe subentrato un utilizzo soltanto precario.
La privazione della disponibilità dei beni ha effetto nel rapporto fra fallito e curatore, nel senso che il primo perde il potere di disporre ed amministrare che passa al curatore, ma non riguarda il terzo, rispetto al quale, a parte la mancata incidenza al livello del possesso che rimane integro in mancanza dell’esperimento dei rimedi previsti da parte del curatore (cfr. Cass. n. 4776 del 1993, n. 16853 del 2005 e n. 17605 del 2015), la questione che viene in rilievo è quella dell’opponibilità del titolo contrattuale al fallimento. Nel caso di specie la questione dell’opponibilità non si caratterizza poi come problema di rapporto fra procedura concorsuale e rapporto pendente del quale fosse titolare il fallito, per il quale vengono in rilievo le relative regole previste dalla legge fallimentare (ed in particolare l’art. 80 quanto alla disciplina della locazione, con il subentro del curatore nel contratto e la facoltà di recedere alle condizioni previste dalla legge), ma si connota quale opponibilità del rapporto contrattuale allo stesso fallito, ancor prima che al fallimento. Della locazione non era parte il fallito, per cui non valgono le regole del rapporto fra procedura concorsuale e rapporto pendente del quale fosse titolare il fallito. La stessa corte territoriale osserva che non vi è stato il subentro del curatore nel contratto cui la società fallita era estranea.
La censura non è formulata sotto quest’ultimo aspetto, con l’evidenziazione dei presupposti di non opponibilità al fallimento di una locazione avente ad oggetto beni di proprietà del fallito ma non stipulata da quest’ultimo, bensì come incidenza sul rapporto contrattuale degli effetti dell’inventario, prospettiva che non intercetta il piano della locazione stipulata dal non proprietario se non accompagnata, come si è visto, dal rilievo della non opponibilità della detta locazione.
Affermare che per effetto dell’inventario la conduttrice passa dallo stato del godimento locativo a quello dell’utilizzo precario non ha quindi rilievo ai fini dell’aggressione della ratio decidendi in mancanza del decisivo riferimento ai presupposti di non opponibilità della locazione stipulata dal terzo, in luogo del proprietario, alla procedura concorsuale. Peraltro, la questione non è meramente qualificatoria, circostanza che avrebbe consentito a questa Corte, in virtù del potere di qualificazione giuridica dei fatti, di dirimere la controversia senza necessità che il problema fosse stato sollevato nel motivo di ricorso. Il giudice di legittimità può infatti ritenere fondata la questione sollevata nel ricorso per una ragione giuridica diversa da quella indicata dalla parte ed individuata d’ufficio, con il solo limite che tale individuazione deve avvenire sulla base dei fatti per come accertati nelle fasi di merito (da ultimo Cass. n. 27704 del 2020). I presupposti di fatto della non opponibilità al fallimento della locazione de qua non hanno costituito oggetto della controversia e dunque non sono stati accertati dal giudice di merito, né al riguardo risulta proposta una specifica denuncia di vizio motivazionale.
Con il terzo motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che il giudice di appello, dopo avere rilevato che la questione della inutilizzabilità dei macchinari per obsolescenza esulava dalle ragioni, ha affermato che l’eventuale inutilizzabilità di taluni macchinari, ove dimostrata, non sarebbe valsa a provare la perdita da parte della conduttrice del godimento dei macchinari locati, cadendo nel vizio di extrapetizione per non aver mai l’atto introduttivo del giudizio fatto cenno al profilo dell’obsolescenza. Aggiunge che la domanda successivamente proposta anche per inutilizzabilità, di cui si parla nella motivazione, sarebbe stata in violazione dell’art. 345 c.p.c..
Con il terzo motivo bis si denuncia violazione degli artt. 345 e 125 c.p.c., art. 163 c.p.c., comma 3, n. 4, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 3. Osserva la parte ricorrente che ove la corte territoriale, dopo avere dato atto che in corso di giudizio la domanda era stata integrata nel senso della mancata fruizione dei macchinari, si fosse pronunciata su tale domanda sarebbe stato violato l’art. 345 trattandosi di domanda inammissibile.
I motivi terzo e terzo bis, da trattare congiuntamente in quanto connessi, sono inammissibili. Le censure sono estranee alla ratio decidendi.
Il giudice di merito ha affermato che, essendo basata la domanda di riduzione del canone sul presupposto della perdita del godimento dei macchinari a causa dell’apprensione alla massa attiva del fallimento, l’eventuale inutilizzabilità di taluni macchinari perché obsoleti, ove pure dimostrata, non avrebbe provato la perdita del godimento di tutti i macchinari locati a causa del fallimento della società proprietaria. In tale modo la corte territoriale ha pronunciato sulla domanda la cui causa petendi era quella del venir meno del godimento locatizio per effetto dell’apprensione al fallimento, ma non su una domanda basata sull’inutilizzabilità per obsolescenza, che la stessa corte rileva come esulante dalle ragioni della domanda. Nel pensiero del giudice di merito, come si evince anche dal riferimento alla CTU prodotta, la questione dell’obsolescenza non incide al livello del godimento fondato sul titolo della locazione.
E’ appena il caso di aggiungere che non vi è una pronuncia sulla domanda di riduzione del canone per inutilizzabilità da obsolescenza, avendo la corte territoriale rilevato l’estraneità di tale profilo alla domanda proposta ed avendo piuttosto specificato che il fatto che una simile domanda fosse stata “successivamente proposta” emergeva dalla “documentazione prodotta dalla stessa appellante”, il che val quanto dire che la domanda era stata proposta successivamente ed in altro giudizio, e non nel presente giudizio. Al riguardo, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 6 la ricorrente non ha specificatamente indicato se ed eventualmente attraverso quale sede processuale tale domanda, che sarebbe stata proposta dalla stessa ricorrente, avrebbe fatto ingresso nella presente causa.
Con il quarto motivo si denuncia violazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che la sentenza è incorsa nella contraddizione per un verso di rigettare l’appello perché i macchinari erano ancora in uso della conduttrice, per l’altro la domanda di riduzione del canone non è stata accolta con riferimento ai beni non più utilizzabili.
Con il quarto motivo bis si denuncia nullità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Osserva la parte ricorrente che la sentenza è incorsa nella contraddizione per un verso di rigettare l’appello perché i macchinari erano ancora utilizzati dalla conduttrice, per l’altro la domanda di riduzione del canone non è stata accolta con riferimento ai beni non più utilizzabili.
I motivi quarto e quarto bis, da trattare congiuntamente in quanto sostanzialmente coincidenti, sono inammissibili per la stessa motivazione di cui ai due motivi precedenti. La questione posta è infatti identica a quella alla base delle due censure appena esaminate, solo che qui viene posta sotto il profilo della motivazione inesistente in quanto contraddittoria, nei precedenti due motivi come violazione degli artt. 112 e 345 c.p.c..
Con il quinto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che sulla base della espletata CTU e dell’ATP non poteva presumersi la continuazione della fruizione dei beni locati da parte della conduttrice.
Il motivo è inammissibile. E’ incensurabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice del merito circa la valutazione della ricorrenza dei requisiti di precisione, gravità e concordanza richiesti dalla legge per valorizzare elementi di fatto come fonti di presunzione, rimanendo il sindacato del giudice di legittimità circoscritto alla verifica della tenuta della relativa motivazione, nei limiti segnati dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (fra le tante da ultimo Cass. n. 1234 del 2019). La censura risulta formulata con riferimento al giudizio di fatto della corte territoriale.
Con il sesto motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1615,1622 e 1584 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che, con riferimento alla pronuncia avente ad oggetto lo stato di obsolescenza, alla luce della disciplina relativa alla riduzione del canone per i tempo occorrente per le riparazioni deve ritenersi che laddove le riparazioni non vengano effettuate la riduzione del canone deve avere durata permanente.
Con il settimo motivo si denuncia omesso esame del fatto decisivo e controverso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Osserva la ricorrente che la corte territoriale ha omesso l’esame dei fatti da cui risultava la inutilizzabilità di gran parte dei beni mobili originariamente locati.
I motivi sesto e settimo, da trattare congiuntamente, sono inammissibili. Essi assumono a proprio presupposto una domanda (la riduzione del canone per inutilizzabilità per obsolescenza) su cui il giudice non ha pronunciato per averla ritenuta estranea alla domanda proposta (avente invece ad oggetto, secondo il giudice, il venir meno del godimento a titolo di locazione a seguito del fallimento del terzo proprietario e del relativo inventario).
Con l’ottavo motivo si denuncia omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che il fatto che la domanda di riduzione del canone per obsolescenza non fosse stata introdotta in giudizio non escludeva però che il giudice pronunciasse sul mancato godimento in termini di fatto.
Il motivo è inammissibile. La censura è inidonea a raggiungere lo scopo della critica della decisione perché non si comprende perché il giudice avrebbe dovuto pronunciare su una domanda che la stessa parte assume come non proposta.
Con l’ottavo motivo bis motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Osserva la parte ricorrente che risulta carente di motivazione la sentenza una volta che si sia ritenuto che la domanda di riduzione del canone sia stata proposta facendo valere anche lo stato di obsolescenza della gran parte delle macchine.
Il motivo è inammissibile per le stesse ragioni dei motivi sesto e settimo.
Con il nono motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697,1575,1576,1621 e 1460 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Osserva la parte ricorrente che la sentenza di primo grado di accoglimento della domanda riconvenzionale, confermata in grado di appello, non ha valorizzato alcuna delle ragioni a base dell’eccezione di inadempimento sollevata dalla conduttrice, ed in particolare: ***** doveva provare di avere posto in essere tutte le cautele per rendere i macchinari produttivi e non trincerarsi dietro la circostanza che i beni erano nella disponibilità di F.D.P.; l’onere di provare che il venir meno per obsolescenza dei macchinari fosse imputabile alla conduttrice era a carico di *****; la prova dell’inutilizzabilità di talune macchine spostava l’onere difensivo sulla controparte, che avrebbe dovuto dimostrare la non imputabilità del perimento della cosa.
Il motivo è inammissibile. In violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 la ricorrente non ha specificatamente indicato se e secondo quali modalità l’asserita eccezione di inadempimento abbia avuto ad oggetto l’inutilizzabilità dei beni per obsolescenza e non la mancata disponibilità a seguito dell’inventario fallimentare.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto al testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, il comma 1 – quater della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 26 maggio 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021
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