LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 1918 del ruolo generale dell’anno 2020, proposto da:
P.S. (C.F.: *****) rappresentato e difeso dagli avvocati Ernesto F. Venta (C.F.: VNT RST 42H05 A018R) e Carlo Cicala (C.F.: CCL CRL 74C28 L219N);
– ricorrente –
nei confronti di:
*****, sito in ***** (AQ), loc. *****, ***** (C.F.:
non dichiarato), in persona dell’amministratore pro tempore, D.S.M.;
T.E. (C.F.: *****);
rappresentati e difesi dall’avvocato Francesco Camerini (C.F.: CMR FNC 64D03 A345F);
– controricorrenti –
nonché
COSTRUZIONI EDIL CASA S.r.l. (C.F.: non indicato), in persona del legale rappresentante pro tempore;
– intimata –
per la cassazione della sentenza della Corte di appello di L’Aquila n. 1770/2019, pubblicata in data 31 ottobre 2019 (e che si assume notificata in data 6 novembre 2019);
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio in data 17 giugno 2021 dal consigliere Augusto Tatangelo.
FATTI DI CAUSA
Il ***** di ***** (AQ), nonché la condomina T.E., dopo lo svolgimento di un procedimento di accertamento tecnico preventivo, hanno agito in giudizio nei confronti della Costruzioni Edil Casa S.r.l. (realizzatrice e venditrice degli appartamenti in condominio) nonché di P.S. (progettista e direttore dei lavori) per ottenere il risarcimento dei danni subiti dalle rispettive proprietà in conseguenza di carenze progettuali ed esecutive nei lavori di realizzazione dei fabbricati condominiali.
Le domande sono state accolte dal Tribunale di L’Aquila, che ha condannato in solido i convenuti a pagare agli attori l’importo di Euro 246.164,32, oltre accessori, nonché la sola Edil Casa S.r.l. a pagare agli stessi l’ulteriore importo di Euro 19.835,68, oltre accessori.
La Corte di Appello di L’Aquila ha confermato la decisione di primo grado, rigettando l’appello proposto dal solo P..
Ricorre il P., sulla base di tre motivi.
Resistono con unico controricorso il ***** e la T..
Non ha svolto attività difensiva in questa sede la società intimata.
E’ stata disposta la trattazione in Camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato inammissibile.
E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta. Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento agli artt. 115 e 116 c.p.c.”.
Il ricorrente sostiene, in primo luogo, che la corte di appello nel ritenere che egli avesse assunto la qualifica di direttore dei lavori non solo per l’aspetto strutturale ma anche per l’aspetto architettonico delle opere per cui è causa – non avrebbe correttamente valutato la documentazione prodotta in giudizio, dalla quale emergerebbe che egli in realtà aveva assunto esclusivamente l’incarico di progettista e direttore dei lavori delle strutture in cemento armato, mentre gli incarichi di progettazione “dell’architettonico” e di relativa direzione dei lavori erano stati espletati da altri professionisti. Di conseguenza, la corte avrebbe altresì errato ritenendo che egli, qualificandosi semplicemente direttore dei lavori, avesse attestato al comune la conformità degli stessi al progetto, dovendosi invece intendere tale dichiarazione come limitata alle sole opere strutturali.
Il motivo è inammissibile.
La corte di appello ha in realtà ritenuto non decisiva la circostanza che il P. avesse o meno assunto “il ruolo complessivo e definito di direttore dei lavori, comunque provato sulla base della documentazione tempestivamente depositata”, considerando in ogni caso sufficiente, ai fini dell’affermazione della sua responsabilità per i danni subiti dagli attori, che egli avesse espressamente attestato, con dichiarazione diretta al Comune di *****, “in qualità di progettista e direttore dei lavori sic et simpliciter del *****”, la “conformità dei lavori ultimati rispetto al progetto approvato nel quale erano previsti strumenti tecnici preventivi atti ad evitare e sensibilmente ridurre il rischio di infiltrazioni, che invece non furono affatto realizzati”.
Orbene, sia con riguardo all’assunzione del ruolo di direttore dei lavori da parte del P., sia, soprattutto, con riguardo alla circostanza assorbente della attestazione, da parte sua (indipendentemente dalla qualifica professionale rivestita), della conformità degli stessi al progetto, anche con riguardo agli strumenti tecnici di prevenzione del rischio di infiltrazioni, la corte territoriale ha effettuato degli accertamenti di fatto, sulla base della considerazione dei fatti storici principali emergenti dagli elementi di prova acquisiti agli atti, all’esito della prudente valutazione degli stessi. Si tratta di accertamenti sostenuti da adeguata motivazione, non apparente né insanabilmente contraddittoria sotto il profilo logico, come tale non sindacabile nella presente sede. D’altra parte, le censure di violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non risultano effettuate con la necessaria specificità, in conformità ai canoni a tal fine individuati dalla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, Rv. 640829 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016, Rv. 640192 – 01, 640193 – 01 e 640194 – 01; Sez. U, Sentenza n. 1785 del 24/01/2018, Rv. 647010 – 01, non massimata sul punto; da ultimo: Sez. U, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 02).
Tutte le censure in esame si risolvono dunque, in definitiva, nella contestazione di accertamenti di fatto svolti dai giudici di merito nonché nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito nel giudizio di legittimità.
2. Con il secondo motivo si denunzia “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento agli artt. 233 e 345 c.p.c. – Omessa pronuncia, ovvero in subordine, omessa motivazione sulla richiesta di giuramento decisorio formulata in grado di appello in ordine alla nomina, da parte del committente, dell’Ing. P.S. quale direttore dei lavori della sola parte strutturale”.
Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente si duole di una omessa pronuncia in ordine alla sua richiesta di deferimento del giuramento decisorio al legale rappresentante della società convenuta, con riguardo al conferimento dell’incarico di direttore dei lavori relativamente alla parte strutturale ed a quella architettonica del progetto.
Egli in primo luogo, peraltro, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, pur affermando che il giuramento decisorio era stato deferito solo con l’atto di appello, non chiarisce né se detto atto fosse stato sottoscritto dalla parte personalmente ovvero dal difensore munito di mandato speciale, come richiesto dall’art. 233 c.p.c. (cfr. in proposito Cass., Sez. 2, Sentenza n. 17718 del 25/08/2020, Rv. 658902 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 22805 del 28/10/2014, Rv. 633249 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 20125 del Ric. n. 1918/2020 – Sez. 6-3 – Ad. 17 giugno 2021 – Ordinanza – Pagina 4 di 7 18/09/2009, Rv. 609592 – 01), né se sulla richiesta fosse intervenuta una decisione istruttoria, ed in quali termini, e se essa fosse stata reiterata in sede di precisazione delle conclusioni.
E’ poi addirittura assorbente la considerazione che il giuramento deferito alla società convenuta, obbligata in solido con il ricorrente per il risarcimento dei danni lamentati dagli attori, non avrebbe potuto in nessun caso determinare la decisione parziale o totale della controversia, con riguardo alle domande proposte dagli attori nei confronti del P. e, comunque, che la censura non coglie adeguatamente le effettive ragioni della decisione impugnata, in quanto, come già osservato in relazione al primo motivo, la corte di appello non ha ritenuto decisiva la circostanza che il P. avesse o meno assunto il ruolo di direttore dei lavori, avendo invece considerato sufficiente, ai fini dell’affermazione della sua responsabilità, che egli avesse espressamente attestato la conformità degli stessi al progetto approvato, con riguardo agli strumenti tecnici di prevenzione del rischio di infiltrazioni.
Il giuramento decisorio deferito, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, non può quindi ritenersi decisivo ai fini della controversia e, dunque, esso non potrebbe comunque ritenersi ammissibile ai sensi dell’art. 2736 c.c., comma 1, n. 2.
3. Con il terzo motivo si denunzia “Art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento agli artt. 115 e 116… c.p.c.”.
Secondo il ricorrente, sarebbero state illegittimamente utilizzate, per la decisione della controversia in relazione alla sua posizione, le risultanze dell’accertamento tecnico preventivo espletato anteriormente al giudizio, al quale egli non era stato chiamato a partecipare.
Anche questo motivo è inammissibile.
La corte di appello ha espressamente precisato che nel corso del giudizio di primo grado era stata disposta una consulenza tecnica di ufficio e che il consulente nominato, pur avendo preso in esame anche la relazione espletata in sede di accertamento tecnico preventivo, aveva rinnovato tutte le indagini, espletando diversi sopralluoghi nel contraddittorio con le parti, ed era giunto ad autonome conclusioni, anche con riguardo alla determinazione dell’importo dei danni subiti dagli attori.
Il ricorrente contesta tale affermazione in modo del tutto generico. Sostiene che il consulente tecnico di ufficio non avrebbe in realtà effettuato una propria autonoma valutazione dei danni, limitandosi ad utilizzare i dati emergenti dall’accertamento tecnico preventivo ma, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non richiama in modo adeguato e completo il contenuto della relazione di consulenza, in modo tale che sia possibile verificare nel merito la eventuale fondatezza del suo assunto, contrastante con quanto affermato nella decisione impugnata (l’unico breve passo della relazione di consulenza trascritto nel ricorso risulta assolutamente equivoco, a giudizio del collegio e, comunque, non è certamente idoneo di per sé a dare conto della fondatezza degli assunti di parte ricorrente).
4. Il ricorso è dichiarato inammissibile.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
PQM
La Corte:
– dichiara inammissibile il ricorso;
– condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, liquidandole in complessivi Euro 10.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021
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