LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Presidente –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21074-2015 proposto da:
A.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 212, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE MELISSARI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
DIREZIONE PROVINCIALE DEL LAVORO – UNITA’ OPERATIVA AFFARI LEGALI E CONTENZIONSO DI REGGIO CALABRIA, in persona del Direttore e legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI n. 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 62/2015 della CORTE D’APPELLO di REGGIO CALABRIA, depositata il 06/02/2015 R.G.N. 598/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/04/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCA SPENA.
RILEVATO
CHE:
1.Con sentenza in data 6 febbraio 2015 n. 62 la Corte d’Appello di Reggio Calabria confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva respinto la opposizione proposta da A.A. – in proprio e in qualità di Presidente alla Associazione Sportiva Dilettantistica CANOTTIERI Reggio Calabria (in prosieguo: la Associazione) – avverso la ordinanza ingiunzione notificata dal MINISTERO DEL LAVORO, DELLA SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI – Direzione Provinciale di Reggio Calabria (in prosieguo: Direzione Provinciale), con la quale veniva irrogata la sanzione di Euro 292,40 per omessa comunicazione al Centro provinciale per l’impiego del licenziamento del dipendente P.A. e mancata comunicazione all’INAIL del codice fiscale del medesimo lavoratore contestualmente al licenziamento.
2. La Corte territoriale osservava che la Direzione Provinciale, una volta qualificate le erogazioni corrisposte al P. come retribuzioni, aveva implicitamente contestato la applicabilità nella fattispecie della disciplina speciale di cui al D.P.R. n. 917 del 1986 ed alla L. n. 133 del 1999 e L. n. 342 del 2000. In ogni caso, si trattava di norme che disciplinavano il calcolo del reddito imponibile e non avevano attinenza con la diversa questione degli obblighi di comunicazione del datore di lavoro, in riferimento ai quali rilevava soltanto la esistenza di un rapporto di lavoro subordinato.
3. Neppure rilevava il fatto che il lavoratore avesse accettato il pagamento dei compensi come “rimborsi” e non come “retribuzione”, in quanto si contestava proprio la difformità fra lo schema negoziale ed il reale svolgimento del rapporto.
4. Il Tribunale aveva dato compiutamente conto del perché le somme erogate non potessero considerarsi rimborsi e, comunque, pur a voler ammettere che la prestazione resa in favore della Associazione Sportiva potesse non essere gratuita, non era rilevante ai fini di causa l’ambito degli obblighi tributari né quello degli obblighi previdenziali e contributivi.
5. L’onere della prova era stato posto dal Tribunale a carico della parte opposta e l’accertamento era stato compiuto sulla base dei documenti, comprese le dichiarazioni a contenuto confessorio dello stesso opponente.
6. Non era necessario ammettere la prova per testi richiesta dall’opponente, in quanto l’unico capitolo articolato conteneva meri giudizi e, comunque, contrastava con la prospettazione, sostanzialmente confessoria, contenuta negli atti dell’opponente.
7. Il Tribunale ben poteva tener conto delle dichiarazioni rilasciate dal lavoratore agli ispettori, dato che la Associazione non aveva introdotto elementi di segno contrario. Era generica la deduzione secondo cui sarebbero state ignorate le dichiarazioni di “altri soggetti” mentre le dichiarazioni del legale rappresentante potevano costituire prova soltanto contro di lui e non a suo favore.
8. Ha proposto ricorso per la Cassazione della sentenza A.A., in proprio e quale legale rappresentante della Associazione Sportiva, affidato a due motivi di censura; la Direzione Provinciale ha depositato atto di costituzione per la partecipazione alla udienza di discussione.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo la parte ricorrente ha testualmente dedotto:
“violazione e falsa applicazione di legge con riferimento agli artt. 2094,2222 e 2697 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., alla L. 23 marzo 1981, n. 91, art. 1 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte di merito essenzialmente posto al centro dell’operazione di qualificazione del rapporto di lavoro in contestazione l’attività espletata dall’Associazione, nelle forme della regolazione quantitativa, e la collocazione temporale delle prestazioni medesime. I predetti profili, non rilevano direttamente sulla qualità giuridica della prestazione, sibbene, ed unicamente sulla modalità della sua ricezione, vale a dire sulle condizioni necessarie affinché la prestazione lavorativa si riveli utile economicamente e non socialmente, in relazione all’organizzazione della medesima. Si assume, inoltre, che quanto ritenuto decisivo dalla Corte di merito ai fini della qualificazione in termini di subordinazione – l’esercizio della facoltà di coordinamento – connota tipicamente i rapporti di lavoro autonomi inquadrandoli nell’ampia categoria della parasubordinazione”.
2.Si deduce che mentre gli artt. 2094 e ss. c.c. disciplinano in via generale i rapporti di lavoro subordinato, la L. 23 marzo 1981, n. 91 regola i rapporti tra società e sportivi professionisti e che ogniqualvolta la fattispecie non presenti i tratti qualificanti della normativa speciale si ricade nell’ambito della più ampia disciplina generale in materia di lavoro subordinato; richiamati, in via generale, i criteri di qualificazione del rapporto come lavoro subordinato, si imputa alla Corte territoriale di non avere assunto come decisivo il parametro della subordinazione. Si contesta, altesì, l’effettivo inserimento del lavoratore nella organizzazione datoriale, in ragione del fatto che l’impianto sportivo (piscina) era gestito da altra associazione sportiva (A.S.D. RARI NANTES).
3.Con il secondo mezzo si denuncia, testualmente:
“violazione e falsa applicazione di norme di diritto e in particolare degli artt. 2094,2099,2727 e 2729 c.c., nonché degli artt. 115,210,240,357 e 421 c.p.c., dell’art. 1322 c.c. e della L. 11 agosto 1991, n. 266, art. 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, osservandosi che, sin dall’atto introduttivo, il ricorrente ha chiesto di essere ammesso a provare per testi la seguente circostanza: “Vero che il signor P.A. nella qualità di associato della A.S.D. Canottieri Reggio Calabria ha svolto attività di allenatore in piena autonomia decisionale e di orario, avvalendosi dello spazio d’acqua reso disponibile alla Canottieri dalla A.S.D. Rari Nantes presso l’impianto natatorio di Piazza della Pace Reggio Calabria, percependo “rimborsi forfettari”; allegata al ricorso di primo e secondo grado, indicativa della non sottoposizione del predetto al potere direttivo e svolgimento delle mansioni non su espresso incarico del Presidente. In ogni caso, il giudicante avrebbe dovuto sopperire alla ritenuta genericità mediante ricorso ai poteri doveri istruttori d’ufficio. Rilevanza preminente dell’entità del rimborso spese quale criterio di qualificazione del rapporto di lavoro di volontariato. Incertezze ermeneutiche”.
4. Si lamenta che il giudice dell’appello, in mancanza della prova del potere di direzione e controllo, avrebbe fondato la decisione su altri elementi – continuità del rapporto di lavoro, osservanza di un orario, collaborazione e predeterminazione di un programma – superando la volontà espressa dalle parti del contratto, che non era difforme dallo svolgimento del rapporto. Più in generale, si assume la incompletezza ed illogicità della motivazione; si sostiene che il P. doveva attenersi all’organizzazione stabilita da una diversa Associazione – la A.S.D. Canottieri di Reggio Calabria – che aveva la gestione dell’impianto sportivo. Ancora si afferma esservi prova documentale che il P. aveva svolto la prestazione in regime di tesseramento, in favore di una organizzazione di volontariato sportiva no profit ed all’interno della diversa organizzazione che aveva la gestione degli impianti, a titolo non oneroso.
5.I due motivi, che possono essere trattati congiuntamente in quanto si prestano ad analoghi rilievi, sono inammissibili.
6.Giova premettere che, come correttamente evidenziato nella sentenza impugnata, ai fini della sussistenza degli obblighi di comunicazione nei confronti del Centro per l’impiego e dell’Inail, sui quali verte la controversia, non rileva la speciale disciplina tributaria relativa alle Associazioni Sportive Dilettantistiche – (e la ricorrenza o meno dei relativi presupposti di fatto) – né viene in questione il regime della contribuzione previdenziale ma occorre unicamente accertare se l’attività di lavoro pacificamente resa dal signor P.A. in favore della Associazione Sportiva fosse qualificabile o meno come lavoro subordinato.
7.Va dunque evidenziato che nell’ambito delle controversie relative alla qualificazione delle prestazioni lavorative – come rese in regime di subordinazione oppure al di fuori dei parametri normativi di cui all’art. 2094 c.c. – è censurabile in Cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, secondo un pluridecennale insegnamento di questa Corte (tra le tante Cass. n. 1598/1971; Cass. n. 3011/1985; Cass. n. 6469/1993; Cass. n. 2622/2004; Cass. n. 23455/2009; Cass. n. 9808/2011), soltanto la identificazione operata dal giudice del merito dei criteri generali ed astratti sulla base dei quali individuare la subordinazione; può essere invece sindacata, nei limiti segnati dell’art. 360 c.p.c., n. 5, tempo per tempo vigente, la scelta delle circostanze del fatto concreto cui è stata attribuita rilevanza qualificatoria (cfr., più di recente, Cass. n. 11646 del 2018 e Cass. n. 13202 del 2019).
8.Va altresì aggiunto che gli indici cd. sussidiari della subordinazione (quali, ad esempio, la collaborazione, l’osservanza di un determinato orario, la continuità della prestazione lavorativa, l’inserimento della prestazione medesima nell’organizzazione aziendale e il coordinamento con l’attività imprenditoriale, l’assenza di rischio per il lavoratore e la forma della retribuzione) – lungi dal surrogare la subordinazione o, comunque, dall’assumere valore decisivo ai fini della prospettata qualificazione del rapporto – possono, tuttavia, essere valutati globalmente, appunto, come indizi della subordinazione stessa, tutte le volte che non ne sia agevole l’apprezzamento diretto a causa di peculiarità delle mansioni, che incidano sull’atteggiarsi del rapporto (Cassazione civile sez. lav., 10/03/2020, n. 6758).
9.Nella fattispecie di causa la sentenza impugnata non ha affatto pretermesso il requisito della cd. eterodirezione, come prospetta parte ricorrente, ma lo ha desunto da una serie di elementi, già valorizzati dal Tribunale (orario predeterminato, retribuzione fissa mensile, quotidianità della prestazione, obbligo di comunicazione degli impedimenti al lavoro) ai quali la consolidata giurisprudenza di questa Corte riconosce valenza indiziaria della esistenza della natura dipendente del rapporto.
10. Le doglianze complessivamente mosse in questa sede, nonostante il formale richiamo al vizio di violazione di norme di diritto, si risolvono nella critica della valutazione degli elementi probatori operata dal giudice dell’appello ed, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi elementi, devolvendo a questa Corte un’inammissibile rivalutazione del merito.
11. Sotto altro profilo, sì osserva che nel dedurre errori di diritto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 la parte ricorrente neppure indica, con la necessaria analiticità, le statuizioni della sentenza impugnata in cui si ravviserebbe una violazione di norme, la norma violata e le ragioni di tale violazione (cfr. Cassazione civile sez. un., 28/10/2020, n. 23745); piuttosto, sottopone a critica, complessivamente e genericamente, la soluzione della questione controversa accolta nella sentenza impugnata.
12. Si osserva, da ultimo, che nella fattispecie di causa vi è valutazione conforme sul fatto da parte dei due giudici del merito, il che esclude la deducibilità del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, trovando applicazione ratione temporis (il ricorso in appello è stato depositato nell’anno 2013) l’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5.
13. Ne deriva la incontestabilità della mancata ammissione della prova per testi, in quanto, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, l’omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova può essere denunciata per cassazione sotto il profilo del vizio di motivazione, nel caso in cui la prova non ammessa sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento (Cassazione civile, sez. III, 27/10/2020, n. 23660).
14. Per le ragioni sopra esposte il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
15. Non vi è luogo a provvedere sulle spese, per la sostanziale assenza di attività difensiva dell’amministrazione intimata.
16. Trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, il comma 1 quater) della sussistenza dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass. SU 20 febbraio 2020 n. 4315).
PQM
La Corte dichiara la inammissibilità del ricorso. Nulla per le spese.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 28 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021
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