LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7882-2020 proposto da:
AGO UNO SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 109, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE IBELLO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
G.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PASUBIO 15, presso lo studio dell’avvocato LUCA MORANI, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2807/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 20/08/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 17/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. BOGHETICH ELENA.
RILEVATO
che:
la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 2807 depositata il 20.8.2019, riformando la pronuncia del giudice di prime cure, ha accolto la domanda di G.A. nei confronti di Ago Uno s.r.l. promossa per la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro subordinato a termine in data 30.10.2010 (stipulato, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1) rilevando l’acquisizione di un quadro probatorio idoneo a dimostrare lo svolgimento di attività lavorativa (in qualità di autista TPL) esorbitante l’oggetto del contratto stipulato tra le parti (servizi di trasporto in località ulteriori rispetto al Comune di Genzano), ed ha condannato la società al ripristino del rapporto ed al pagamento di un’indennità commisurata, L. n. 183 del 2010 ex art. 32, a cinque mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto;
avverso tale sentenza la società ha proposto ricorso affidato a tre motivi, illustrati da memoria; il lavoratore ha resistito con controricorso;
la proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c..
CONSIDERATO
che:
1. con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte territoriale, trascurato che la causale apposta al contratto a tempo determinato era assolutamente legittima in quanto la società aveva avuto l’affidamento temporaneo del trasporto urbano da parte del Comune di Genzano in seguito alla revoca (per gravi inadempimenti) dell’affidamento alla società precedentemente assegnataria, essendo pacifico in giurisprudenza che la causale apposta al contratto a tempo determinato può risutare anche indirettamente per relationem da altri testi scritti ed avendo, il G., piena consapevolezza della temporaneità dell’affidamento dell’appalto (conferito esclusivamente in attesa dello svolgimento della gara pubblica).
2. con il secondo motivo di ricorso si deduce omesso esame di un fatto decisivo (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) avendo, la Corte territoriale, adottato una motivazione apparente in relazione alle risultanze della prova testimoniale, che in realtà non avevano inequivocabilmente dimostrato l’utilizzo del G. anche per servizi di trasporto ulteriori rispetto a quello affidato temporaneamente dal Comune di Genzano (ed oggetto del contratto a tempo determinato).
3. con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 c.p.c. (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) avendo, la Corte territoriale, respinto l’eccezione di risoluzione del rapporto di lavoro, proposta dalla società, per inidoneità sopravvenuta del lavoratore, ricorrendo ad una argomentazione (la qualificazione di tale risoluzione quale licenziamento per giustificato motivo oggettivo e la conseguente applicazione dei requisiti di forma richiesti dalla L. n. 604 del 1966, art. 2) che non era mai stata avanzata dal lavoratore, con conseguente adozione di un provvedimento ultra petita;
4. il ricorso è inammissibile in quanto, il primo motivo di ricorso non coglie la ratio decidendi perché la società ricorrente insiste sulla mancata considerazione del rispetto, da parte del datore di lavoro, dei requisiti formali (indicazione specifica della ragione giustificatrice del contratto e sua temporaneità) del contratto di lavoro a tempo determinato ma nulla deduce sul motivo di invalidità rinvenuto dalla Corte consistente nel fatto che “l’odierno appellante (il G.) fosse adibito a servizi ulteriori e diversi rispetto a quelli oggetto del contratto di appalto che aveva giustificato l’assunzione a termine, con conseguente illegittimità del contratto” (pag. 6 della sentenza impugnata);
4.1. invero, le ragioni specificate nel contratto a tempo determinato (come richiesto dalla legislazione ratione temporis applicata nel 2010) devono essere trasparenti (seppur specificabili anche per relationem) al fine di garantire un adeguato controllo di effettività; la mera astratta legittimità della causale indicata nel contratto non basta a rendere legittima l’apposizione di un termine al rapporto, dovendo comunque anche sussistere, in concreto, una rispondenza tra la causale enunciata e la concreta assegnazione del lavoratore a mansioni ad essa confacenti, con conseguente sanzione di nullità del contratto per il caso di divaricazione tra mansioni indicate nel negozio e quelle effettivamente svolte (cfr. Cass. n. 15925 del 2020, Cass. n. 22628 del 2019, Cass. n. 5372 del 2018);
4.2. secondo la giurisprudenza di questa Corte, “la proposizione, mediante il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata comporta l’inammissibilità del ricorso per mancanza di motivi che possono rientrare nel paradigma normativo di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4. Il ricorso per cassazione, infatti, deve contenere, a pena di inammissibilità, i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi carattere di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le dedotte violazioni di norme o principi di diritto, ovvero le carenze della motivazione… ” (Cass. 3.8.2007 n. 17125 e negli stessi termini Cass. 25.9.2009 n. 20652);
5. la prova della effettività della causale posta a base dell’impiego del lavoratore ricade sul datore di lavoro interessato ad avvalersene, trattandosi di un elemento imprescindibile ai fini della verifica della legittimità del contratto; l’accertamento in fatto delle condizioni che ne giustificavano l’utilizzo appartiene alla competenza esclusiva del giudice del merito, e non è sindacabile in sede di legittimità laddove non emerga un vizio motivazionale concernente un fatto decisivo che se fosse stato diversamente valutato avrebbe condotto, con grado di certezza e non di mera probabilità, ad un opposto esito della lite;
5.1. secondo l’orientamento espresso dalle Sezioni Unite (sentenza n. 8053 del 2014) e dalle successive pronunce conformi (cfr. Cass., 27325 del 2017; Cass., n. 9749 del 2016), l’omesso esame deve riguardare un fatto, inteso nella sua accezione storico-fenomenica, principale (ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o secondario (cioè dedotto in funzione probatoria), la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia carattere decisivo; pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori – come dedotto con il secondo motivo di ricorso – non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie;
6. infine, anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile posto che il vizio di “ultra” o “extra” petizione ricorre quando il giudice pronuncia oltre i limiti delle pretese e delle eccezioni fatte valere dalle parti, ovvero su questioni estranee all’oggetto del giudizio e non rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene della vita non richiesto o diverso da quello domandato, fermo restando che egli è libero non solo di individuare l’esatta natura dell’azione e di porre a base della pronuncia adottata considerazioni di diritto diverse da quelle prospettate, ma pure di rilevare, indipendentemente dall’iniziativa della parte convenuta, la mancanza degli elementi che caratterizzano l’efficacia costitutiva o estintiva di una data pretesa, in quanto ciò attiene all’obbligo inerente all’esatta applicazione della legge (cfr. da ultimo Cass. n. 20932 del 2019, Cass. n. 11304 del 2018);
6.1. la Corte territoriale ha rilevato che l’eccezione di risoluzione del rapporto di lavoro per inidoneità sopravvenuta del lavoratore era priva di efficacia estintiva della pretesa del G. posto che, dovendosi ricondurre tale modalità di cessazione del contratto ad una ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, le disposizioni normative vigenti (L. n. 604 del 1966, art. 2) richiedono la forma scritta a pena di inefficacia dell’atto di recesso;
6.2. costituisce, invero, principio acquisito alla giurisprudenza di questa Corte che la risoluzione del rapporto di lavoro nel settore privato può attuarsi unicamente nella duplice forma del licenziamento intimato dal datore di lavoro ovvero delle dimissioni rassegnate dal lavoratore; pertanto, deve escludersi la possibilità di introdurre un terzo genere di risoluzione c.d. automatico (per tutte v. Cass. n. 12942 del 1999, Cass. n. 21326 del 2004, Cass. n. 18196 del 2013); parallelamente va rimarcato che sempre secondo giurisprudenza di legittimità in tema di sopravvenuta inidoneità del lavoratore allo svolgimento delle mansioni assegnate, il licenziamento disposto dal datore di lavoro va ricondotto, ove il lavoratore possa essere astrattamente impiegato in mansioni diverse, al giustificato motivo oggettivo ai sensi della L. n. 604 del 1966, art. 3, diversamente dall’ipotesi in cui la prestazione sia divenuta totalmente e definitivamente impossibile, senza possibilità di svolgere mansioni alternative, nel qual caso va ravvisata una causa di risoluzione del rapporto che non ne consente la prosecuzione, neppure provvisoria ai sensi dell’art. 2119 c.c. (per tutte Cass. n. 7531 del 2010), provvedimenti che, in ogni caso, richiedono la forma scritta a pena di inefficacia;
7. in conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza;
8. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato – se dovuto – previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 200,00 per esborsi, nonché in Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 17 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021