Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.33094 del 10/11/2021

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13479-2020 proposto da:

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dell’avvocato EMILIO MASCHERONI;

– ricorrente –

contro

CONSORZIO DI BONIFICA 6 ENNA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OVIDIO 32, presso lo studio dell’avvocato NICOLO’ SCHITTONE, rappresentato e difeso dagli avvocati MAURIZIO NULA, ANTONIO LANFRANCHI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 503/2019 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 21/12/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 17/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. BOGHETICH ELENA.

RILEVATO

che:

1. La Corte di appello di Caltanissetta con sentenza n. 503 del 21.12.2019, decidendo sul gravame proposto da S.F. avverso la sentenza del Tribunale di Enna e in riforma della pronuncia di prime cure, ha respinto la domanda proposta nei confronti del Consorzio di bonifica n. 6 di Enna per l’accertamento dei contratti a tempo determinato intercorsi da maggio 2011 a dicembre 2014 e la conversione in contratto a tempo indeterminato;

2. la Corte territoriale, richiamato l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione e ricostruito altresì il succedersi delle leggi regionali, ha concluso che la L.R. n. 76 del 1995, laddove ha autorizzato i consorzi di bonifica a ricorrere alle assunzioni a tempo determinato non si poneva in contrasto con il divieto di assunzioni a tempo indeterminato dettato dalla L.R. n. 45 del 1995, art. 32, limitandosi a prorogare nel tempo l’utilizzo di forme di lavoro flessibile; ha, inoltre, respinto la domanda risarcitoria in quanto dedotta unicamente in connessione con la conversione del contratto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con insussistenza di una domanda risarcitoria avanzata ai sensi dell’art. 1218 c.c. per ricorso abusivo al lavoro flessibile;

3. avverso detta Statuizione il S. propone ricorso affidato a due motivi, al quale resiste il Consorzio con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria;

4. veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di Consiglio.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso si denunzia inammissibilità dell’appello incidentale proposto dal Consorzio e violazione degli artt. 291,350 e 436 c.p.c., per aver erroneamente, la Corte territoriale, ritenuto ammissibile l’appello incidentale del consorzio proposto senza il rispetto del termine minimo a difesa di almeno dieci giorni dall’udienza di trattazione;

2. con il secondo motivo si denunzia violazione dell’art. 99 c.p.c., degli artt. 2126, 2907 e 1218 c.c. e della L. n. 183 del 2010, art. 32, e falsa applicazione della L.R. n. 45 del 1995, art. 32, per aver erroneamente, la Corte territoriale, escluso il risarcimento del danno nonostante mancata impugnazione, da parte del Consorzio, dell’accertamento della illegittimità dell’apposizione dei termini ai contratti a tempo determinato svolto dal giudice di primo grado e nonostante domanda di risarcimento del danno avanzata nel ricorso introduttivo del giudizio, ove alle pagine 6-10 si denunziava la violazione di specifiche norme contrattuali, nonché nazionali e comunitarie sulla stipulazione ed esecuzione dei contratti a tempo determinato;

3. il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato;

3.1. questa Corte ha recentemente puntualizzato valorizzando il principio del giusto processo e di strumentalità e congruità delle forme rispetto allo scopo (cfr., in termini generali, Cass. s. u. 20.7.2016 14916), che esalta l’esigenza del raggiungimento del risultato rispetto al dato formale in presenza di vizi procedurali minori – che, con riferimento a fattispecie riferite a vizi della notificazione del gravame, solo nelle ipotesi di omissione di notifica o di sua inesistenza va ravvisata l’improcedibilità dell’appello (Cass. n. 21889 del 2020 nonché la giurisprudenza ivi richiamata, Cass. n. 19191 del 2016; Cass. n. 1175 del 2015 e, nella contigua materia locatizia, Cass. n. 1218 del 2017, tutte sulla scia di Cass. SS.UU., n. 20604 del 2008), dovendosi escludere analoghe conseguenze in relazione a difetto processuale meno grave (nullità della notifica o mancato rispetto dei termini previsti per la sua effettuazione), laddove il vizio non coinvolga proprio in sé l’instaurazione del contraddittorio (notificazione senza rispetto dei termini a comparire), ma solo i tempi utili all’esercizio del diritto di difesa;

3.2. di conseguenza, questa Corte, avendo riguardo all’inerzia prolungata dell’appellante incidentale nelle operazioni di avvio della notifica del ricorso incidentale (avviato alla notifica, nel caso esaminato da Cass. 21889 del 2020, un giorno prima dell’udienza), ha ravvisato una mera nullità della vocatio in ius, ritenendo il vizio sanabile;

3.3. invero, questa Corte ha rilevato che, nel caso dell’appello incidentale tardivamente notificato, l’appellante principale avrebbe potuto, anche soltanto chiedere un rinvio dell’udienza per usufruire dell’intero periodo previsto dalla legge al fine di apprestare un’adeguata difesa (cfr. Cass. n. 21889 del 2020 cit.; Cass. 9735 del 2018, Cass. 22166 del 2018 cit.);

4. il secondo motivo di ricorso è inammissibile;

4.1. pur volendo superare il profilo di inammissibilità conseguente alla violazione del principio di specificità dei motivi di ricorso in cassazione, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (dovuto alla mancata trascrizione dell’appello incidentale del Consorzio al fine di appurare la mancata impugnazione dell’accertamento della illegittimità dei contratti a tempo determinato), la censura (dedotta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) deve essere dichiarata inammissibile, in quanto attraverso il vizio di “error in judicando” si viene a veicolare un diverso vizio per “errore di fatto” ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avente ad oggetto la rilevazione od interpretazione del contenuto degli atti processuali, se non addirittura un “errore percettivo” circa la esistenza di un fatto incontrovertibile, ipotesi quest’ultima sindacabile esclusivamente attraverso il rimedio della revocazione ex art. 395 c.p.c., comma 1, n. 4;

4.2. invero, la rilevazione ed interpretazione del contenuto della domanda, è attività riservata al giudice di merito ed è insindacabile se non nei ridotti limiti in cui:

a) l’errore ridondi in un vizio di nullità processuale, nel qual caso è la difformità dell’attività del Giudice dal paradigma della norma processuale violata che deve essere dedotto come vizio di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

b) l’errore si traduca in un vizio del ragionamento logico decisorio, ma anche in tal caso, se la inesatta rilevazione del contenuto della domanda determina un vizio attinente alla individuazione del “petitum”, potrà aversi una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, che dovrà essere dedotto come vizio di nullità processuale ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4;

c) ove poi l’errore coinvolga la “qualificazione giuridica” dei fatti allegati nell’atto introduttivo, ovvero la omessa rilevazione di un “fatto allegato e non contestato da ritenere decisivo”, allora in tal caso, la censura va proposta, rispettivamente, in relazione al vizio di “error in judicando” ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, o al vizio di “error facti”, nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come modificato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv. in L. n. 134 del 2012.

4.3. escluso che nella fattispecie si verta in tema di “qualificazione giuridica” della fattispecie, o che si deduca un vizio di “violazione del contraddittorio” (con la sostituzione d’ufficio di un’azione diversa rispetto a quella formalmente proposta) o risulti violato il “principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato” (con riferimento al motivo di gravame, concernente il “tantum devolutum quantum appellatum”), la questione che si pone nel caso in esame attiene al significato da attribuire alle espressioni lessicali utilizzate nel contenuto testuale della domanda introduttiva, come ampiamente riprodotte in ricorso, venendo in rilievo pertanto l’interpretazione della domanda che è operazione riservata al giudice del merito, il cui risultato è censurabile in sede di legittimità solo quando ne risulti alterato il senso letterale o il contenuto sostanziale dell’atto, in relazione alle finalità che la parte intende perseguire (Cass. n. 2148 del 2004), e dunque risulti “travisato” il contenuto della domanda proposta con l’atto introduttivo del giudizio con conseguente errato convincimento che il suo successivo sviluppo costituisca domanda nuova (cfr. Cass. n. 11755 del 2004; id. n. 12909 del 2004);

4.4. il Giudice in tal caso deve procedere, nell’esercizio del potere di interpretazione e qualificazione della domanda, indipendentemente dalle espressioni adoperate dalla parte, ad accertare e valutare il contenuto sostanziale della pretesa, quale desumibile non solo dal tenore letterale degli atti, ma anche dalla natura delle vicende rappresentate dalla parte nonché dal provvedimento concreto dalla stessa richiesto (cfr. Cass. n. 27428 del 2005), soccorrendo a tal fine esclusivamente il criterio ermeneutico volto ad indagare il contenuto che emerge dal testo dell’atto, secondo il significato fatto palese dalle parole in base alla loro connessione logica, ed evincibile dalla complessiva lettura del contenuto dell’atto, avuto riguardo anche alla situazione dedotta in giudizio ed allo scopo pratico perseguito dall’istante con il ricorso all’autorità giudiziaria (cfr. Cass. Sez. U, n. 10840 del 2003; id. Sez. U, n. 3041 del 2007), restando esclusi – evidentemente – i criteri ermeneutici soggettivi ed oggettivi- previsti per gli atti negoziali, che implicano la ricerca della comune intenzione delle parti (cfr. Cass. n. 4754 del 2004; id. n. 24847 del 2011; id. n. 25853 del 2014);

4.5. ebbene, anche a volere riqualificare correttamente la censura svolta come errore sulla espressione lessicale intesa come fatto-significante, risolventesi in una omessa pronuncia sull’ulteriore, autonoma, domanda risarcitoria per abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato (ex art. 1218 c.c.), il motivo si palesa privo di fondamento in quanto dall’esame dell’ampio estratto del ricorso introduttivo del giudizio non emerge alcuna indicazione della specifica tipologia della voce di danno patrimoniale concernente la perdita di chance della occupazione alternativa migliore (cfr., con riguardo a tale specifico ed autonomo tipo di danno Cass. S.U. n. 5072 del 2016, che lo distingue nettamente dal danno per la perdita del posto di lavoro presso l’ente pubblico), ma anzi, all’opposto, si lamenta genericamente “l’illegittimità dei contratti medesimi e/o delle relative proroghe” e si chiede una liquidazione pari ai periodi di inoccupazione “attesa la difficoltà di reperire altra occupazione nella zona svantaggiata di residenza e l’ostacolo a tale ricerca derivante dall’aspettativa di reimpiego nel corso dell’anno nel periodo di vigenza di ogni singolo contratto e successivamente ad esso”; né – considerata la “nozione ampia” di “contratti successivi” (cfr. sul punto Cass. Sez. Un. 11374 del 2016) – emerge, dal ricorso introduttivo del giudizio, una compiuta e analitica descrizione dei contratti a tempo determinato stipulati con il Consorzio, le mansioni affidate, gli intervalli di tempo tra un contratto e l’altro (profili che qualificherebbero un ricorso abusivo a tale tipologia flessibile lavoro), facendosi anzi riferimento, diversamente dall’espressa indicazione temporale contenuta nella sentenza impugnata, a un “periodo ultradecennale di reiterazione di contrati a termine”, decorrenti dal 1996;

5. in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.

6. Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) pari a quello – ove dovuto – per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 2.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 20012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione civile della Corte di cassazione, il 17 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021

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