LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –
Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –
Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –
Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 31615-2019 proposto da:
C.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato ALESSIO ARIOTTO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO dell’ISTRUZIONE, dell’UNIVERSITA’ e della RICERCA *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 297/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 10/04/2019;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di Consiglio non partecipata del 17/06/2021 dal Consigliere Relatore Dott. DE FELICE ALFONSINA.
RILEVATO
che:
C.M., insegnante assunta a termine e poi immessa in ruolo, domanda la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Torino che, a conferma della sentenza del Tribunale della stessa città, ha rigettato la sua domanda di disapplicazione del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 485, che detta regole peculiari in materia di computo dell’anzianità di servizio e relativa ricostruzione della carriera del personale scolastico non di ruolo, stabilendo che dall’accertamento dell’anzianità di servizio per gli anni prestati fuori ruolo dall’insegnante, non era scaturito nessun riscontro fattuale circa la temuta violazione del principio di discriminazione rispetto ai docenti assunti ab origine a tempo indeterminato; che, pertanto, non si era verificata nessuna violazione della Clausola 4 dell’Accordo Quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE;
C.M. ha affidato le proprie difese a un unico motivo;
il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha resistito con tempestivo controricorso;
e’ stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di Consiglio.
CONSIDERATO
che:
con l’unico motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, parte ricorrente contesta “Violazione e/o falsa applicazione della clausola 4 della Direttiva 1999/70CE e del D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, art. 6”;
censura la sentenza gravata per aver escluso la disapplicazione del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 485, senza tener conto che, nel passaggio dal precariato alla stabilizzazione, la docente aveva seguitato a volgere le stesse mansioni, e che, di conseguenza, la deteriore valutazione dell’anzianità pregressa a suo discapito rispetto al personale assunto in ruolo fin dall’origine si era basato sull’unico elemento di differenziazione costituito dalla natura a termine del rapporto e che, quindi, la decisione era in palese contrasto con la Direttiva Europea;
il motivo è inammissibile;
questa Corte ha già deciso della questione in esame, stabilendo taluni principi di diritto che si attagliano anche a questo giudizio;
con sentenza Cass. n. 31149 del 2019 questa Corte ha precisato che il D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 485, va disapplicato, per contrasto con la stessa clausola 4 dell’Accordo Quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE, in tutti i casi in cui l’anzianità risultante dall’applicazione dei criteri dallo stesso indicati risulti inferiore a quella riconoscibile al docente comparabile assunto ab origine a tempo indeterminato;
a tal fine, prosegue la Corte di legittimità, il giudice del merito investito della questione relativa alla sussistenza di un’eventuale discriminazione, deve comparare il trattamento riservato all’assunto a tempo determinato poi immesso in ruolo, con quello del docente assunto ab origine a tempo indeterminato, senza valorizzare le interruzioni fra un contratto e l’altro, né invocare la regola dell’equivalenza fissata dal richiamato art. 489 e, nel caso in cui, tramite il suddetto accertamento, perviene alla disapplicazione, deve computare l’anzianità da riconoscere a ogni effetto al docente assunto a tempo determinato immesso in ruolo, sulla base dei medesimi criteri che valgono per il docente assunto a tempo indeterminato;
nel caso in esame il giudice del merito ha ritenuto che, ai fini dell’applicazione della regula iuris sancita dalla direttiva Europea sul divieto di discriminazioni tra dipendenti assunti a termine e a tempo indeterminato, rilevi l’accertamento, correttamente svolto in primo grado, con cui il Tribunale aveva escluso in concreto il contrasto fra il D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 485, e la Clausola 4 dell’Allegato alla Direttiva Europea;
va, infine, ribadito come il richiamo all’equivalenza delle mansioni, al quale si appella l’odierna ricorrente, sia espressamente ritenuto da questa Corte ininfluente ai fini dell’accertamento dell’asserita discriminazione, atteso che esso non esonera il giudice del merito dallo svolgere un compiuto accertamento di fatto (comparativo) sulle condizioni reddituali da riconoscere al lavoratore a termine successivamente stabilizzato, in osservanza del principio di non discriminazione contemplato dalla Clausola 4 dell’Accordo Quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE;
nel caso in esame la Corte territoriale, ha negato la disapplicazione del D.Lgs. n. 297 del 1994, art. 485, avendo effettivamente accertato in concreto come non vi fosse un contrasto tra l’applicazione della norma e il principio invocato nella Clausola 4 dell’Allegato alla Direttiva;
questa essendo la ratio decidendi della sentenza impugnata, appare evidente che il ricorso non ne ha colto il senso, limitandosi a riproporre un’asserzione di principio che, come rileva anche l’odierno controricorrente, pare piuttosto aver riguardo alla diversa questione della progressione stipendiale rivendicata dal lavoratore assunto a termine in virtù dell’anzianità acquisita per effetto dei contratti a termine stipulati;
in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
in virtù dell’inammissibilità del ricorso si dà atto che sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 2.200,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 17 giugno 2021.
Depositato in Cancelleria il 10 novembre 2021